Abbiamo parlato con il CT dell’Italseven, che sabato terrà un clinic molto interessante al Rovigo Rugby Festival
Andy Vilk, ormai da un lustro a questa parte, è il responsabile tecnico dell’Italseven. Il giovane coach inglese, grande protagonista sul campo negli scorsi tre lustri (tra nazionale a 7 inglese, e fruttuosa parentesi italiana nel 15, tra Benetton e Calvisano), è reduce dal bel weekend moscovita degli azzurri, e sarà grande protagonista del Rovigo Rugby Festival, sia come coach dell’Italia, sia come relatore. Motivi sufficientemente validi per intervistarlo, tra cattedre, ovali e psicologia.
Andy, avete iniziato molto bene il cammino nel Grand Prix 7s di Rugby Europe con un brillante terzo posto a Mosca. Immagino possiate ritenervi soddisfatti dell’esito di questa prima tappa.
Assolutamente. Il risultato di Mosca è stato positivo, anche perché è arrivato in un momento della stagione in cui i ragazzi sono appena rientrati dai loro impegni con l’attività a 15, dopo sei settimane nelle quali sono stati lasciati liberi di terminare i loro rispettivi campionati con i club. Un inizio sicuramente positivo, ma è solamente la prima tappa. Dobbiamo dimostrare di poter essere competitivi anche nelle prossime tre.
In effetti anche l’anno scorso il percorso nelle Series era cominciato piuttosto bene (quarto posto all’epoca), prima che le cose si complicassero nelle tappe successive. Su cosa avete lavorato in questi dodici mesi per limare i difetti emersi nel 2017?
La chiave di volta, secondo me, sta nel migliorare la gestione delle partite, e nell’avere la lucidità di capire il momento. Soprattutto negli ultimi possessi delle sfide della fase a gruppi, quando una vittoria o una sconfitta hanno un peso diverso anche in base allo scarto di punteggio finale. L’anno scorso siamo andati vicini a qualificarci alle top 8 anche in tornei che poi hanno assunto contorni più deludenti rispetto al primo, ma a volte per questione di piccoli dettagli. Per migliorare concretamente questo aspetto, la cosa più importante è fare esperienza a questi livelli.
Non deve essere facile per questi ragazzi che passano da una versione ovale all’altra diverse volte nel corso dell’anno farsi trovare immediatamente focalizzati sul Seven (e viceversa). Quanto tempo serve ai giocatori per ritrovare le giuste sensazioni in tal senso?
Ogni ragazzo reagisce in modo diverso, in tal senso. La sfida più grande per il Seven, come ho accennato prima, aldilà della diversa gestione dello spazio e del fatto che bisogna correre molto di più (ride, ndr), è la gestione (termine chiave) in senso lato di un torneo. Noi giochiamo tre partite rapide il primo giorno, tre il secondo, e, in più, la mattina solitamente facciamo un risveglio muscolare prima di colazione per rompere il fiato. L’ideale, per un giocatore sarebbe farsi trovare “acceso” sin da subito in ognuno di questi 8 appuntamenti del weekend, riuscendo, però, a “spegnersi” mentalmente tra un match e l’altro, per permettere a corpo e psiche di riposare. Anche qui subentrano le abitudini del singolo. Tutti i ragazzi devono conoscere bene loro stessi e sapere quali sono le attività più adatte per rilassarsi al punto giusto tra una gara e l’altra. Per qualcuno può essere utile leggere un libro, per altri dormire oppure uscire a gustarsi altri match.
Visto che non esiste un vero e proprio campionato di Rugby Seven, come vi muovete, con lo staff, per una valutazione capillare del materiale umano a disposizione sul territorio italiano in ottica convocazioni?
Io guardo più partite possibili di Eccellenza e mi confronto con tutti gli allenatori del massimo campionato nazionale per avere un loro parere sui singoli atleti. Però, visto che anche loro, come me, vedono i giocatori sempre nel contesto del Rugby a 15, non è facile “indovinare” il giocatore giusto per la versione a 7. Ecco perché, da qualche anno, quando a gennaio riprendiamo con l’attività, facciamo dei raduni un poco più allargati, in modo tale da visionare e poter valutare il numero maggiore possibile di atleti, per raffinare la selezione più avanti nel corso della stagione. A volte vediamo un giocatore a 15, sembra perfetto per noi, ma poi in raduno fatica più del previsto nell’immedesimarsi in quanto gli viene richiesto. Viceversa, capita anche che ragazzi sui quali abbiamo meno aspettative vengano in ritiro sorprendendoci positivamente.
Proprio per questo motivo quanta importanza rivestono, sia in ottica di una “valutazione tecnica” del tuo staff, sia per “formare” nuovi spettatori, eventi come il Rovigo Rugby Festival, che all’interno di un weekend a tinte ovali, dedicano uno spazio di peso al 7, proponendo un torneo di alto livello che coinvolge la nazionale azzurra ed altre squadre/selezioni di spicco?
Un evento come il Rovigo Rugby Festival ha importanza notevole. Ringraziamo sia il Rugby Rovigo che la città di Rovigo per la manifestazione e la possibilità di disputare un torneo del genere. Secondo me, promuovere il 7 non è una cosa fine a se stessa, ma può aiutare tutto il movimento italiano a crescere in senso lato. Ancor più ora che il rugby, proprio tramite il 7 è sport olimpico. Se poi abbiamo la possibilità di performare all’interno di un evento del genere, un’autentica festa ovale, connotato anche da ottimi tornei giovanili, un villaggio del divertimento ed altri appuntamenti interessanti (come “La mischia + grande del mondo“), ci rendiamo conto che è un’occasione buona per far capire a chi ci vedrà quanto sia difficile e faticoso il 7. Sono sicuro che questo ci permetterà di ottenere più rispetto e porterà ad un incremento del grado di conoscenza di questo sport meraviglioso.
Spero, inoltre, che questa esperienza di Rovigo si possa ripetere anche negli anni a venire, e magari si riesca, grazie anche al lavoro di Orazio Arancio, ad organizzare un vero e proprio circuito italiano di 7 (coinvolgendo anche il torneo di Roma),
Sarai in Veneto non solo nelle vesti di CT, ma anche in quelle di relatore, visto che terrai un meeting molto interessante dal titolo “Come perfezionare l’utilizzo e la gestione dello spazio nel rugby a 7”. Puoi darci qualche anticipazione sugli argomenti principali della lezione? Quale motto dai per convincere il pubblico di OnRugby a venire in aula (e sul campo)?
Il corso che propongo è sull’attacco, il nostro attacco. Condividerò in aula e sul campo quello che stiamo facendo in nazionale. Assieme a dei collaboratori, ho studiato lo sviluppo della fase offensiva della nostra nazionale negli ultimi 5 anni, al fine, in prima battuta, di presentare ai corsisti la storia e l’evoluzione recente dell’attacco azzurro. Questo perché ci siamo resi conto che rispetto alle nostre competitor non abbiamo grossi problemi in difesa, dove siamo ad un livello buono. La nostra lacuna, invece, sta proprio nella fase offensiva, nel segnare qualche meta in più. In seconda battuta, proveremo a spiegare come pensiamo si possa essere più efficaci in quell’aspetto (fondamentale) del gioco.
Sarò molto aperto. Mi piace condividere le mie/nostre esperienze con il 7, ma anche apprendere dagli altri ed ascoltare tutti i consigli del caso.
Matteo Viscardi
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