Analisi, interventi e programmazione per il futuro. Abbiamo parlato con coach Andrea Moretti del torneo azzurro
Mentre leggerete le parole di questa intervista, Andrea Moretti è atterrato in Nuova Zelanda e non per una vacanza lontano da tutto con la voglia di staccare la spina, ma per abbeverarsi e aggiornarsi direttamente dalla miglior fonte ovale del pianeta. Quella degli All Blacks, dopo aver effettuato negli anni passati esperienze anche in Australia e Sudafrica.
Uno dei coach – assieme a Fabio Roselli – della Under 20 italiana reduce dall’ottavo posto ai Mondiali di categoria svoltisi in Francia sarà prima ad Auckland con i Blues, ospite del suo ex compagno di squadra (ai tempi del rugby giocato) Tana Umaga, e poi a Wellington per incontrare il guru della mischia neozelandese Mike Cron. Noi di On Rugby l’abbiamo intercettato qualche ora prima di mettere piede sul volo che l’avrebbe portato nell’Emisfero Sud. Ecco che cosa ci ha raccontato.
Partiamo dal risultato: è stato consolidato l’ottavo posto a livello mondiale ottenendo però una affermazione in più sul campo, rispetto all’anno scorso. Possiamo dire che l’obiettivo è stato centrato?
Il nostro obiettivo era quello di riconfermarci fra le prime otto, possibilmente migliorando. La cosa non era per nulla scontata, ma ce l’abbiamo fatta e per questo siamo soddisfatti.
Quanto è stato difficile preparare un torneo così serrato facendo i conti con lo stato di salute e dei giocatori e le variabili complicate che possono venire fuori in un competizione del genere?
È difficile, da fuori, avere una reale visione delle difficoltà che si incontrano. Si giocano cinque partite in venti giorni e lo spazio di recupero fra un match e l’altro è davvero risicato. La rosa dei giocatori è ristretta e le insidie sono davvero tante.
Va quindi fatto un lavoro durante l’anno sia sotto il profilo tecnico sia sotto quello strategico: il Mondiale in sé deve essere gestito per quello che è. Anno dopo anno questo è un torneo che sta crescendo. Intensità e fisicità sono di un altro livello, anche rispetto al nostro Sei Nazioni. In previsione futura, il focus deve essere rivolto alla ricerca di un attitudine mentale e fisica ancor più alta, con una preparazione su standard ulteriormente elevati.
Stringiamo lo zoom di un’ideale telecamera sugli azzurrini partendo dalle vittorie: le partite con Scozia e Argentina hanno fornito, alla fine, lo stesso esito ma con andamenti profondamente diversi ed oscillanti. Come mai?
Contro la Scozia è arrivata una vittoria in rincorsa: le energie mentali e la voglia di non mollare mai sono state determinanti. Questo ci ha permesso di vincere una partita, la prima del Mondiale, che si era messa male ed era fondamentale per iniziare bene il nostro percorso, nonostante avessimo pochissimo margine e pochi allenamenti sulle gambe, a livello collettivo.
Il duello con l’Argentina invece è da analizzare partendo dal match che lo ha preceduto, ovvero quello in cui abbiamo fronteggiato l’Inghilterra. Con i britannici l’obiettivo era quello di cercare di arrivare almeno al punto di bonus, ma non ci siamo riusciti. Terminata la partita avevamo ragazzi con acciacchi e altri che avevano bisogno di rifiatare, questo però non ci ha fermato. Abbiamo ripreso il lavoro quotidiano e con i Pumitas siamo scesi in campo provando a dare tutto da subito. Ne sono venuti fuori cinquanta minuti al meglio, con ottime sequenze di gioco e mete al largo cercando di mettere in fila ogni singolo mattoncino per arrivare all’ottantesimo con la vittoria fra le mani.
Le sconfitte patite invece, sono sempre state piuttosto nette: il confronto contro l’Australia, in particolare, ha lasciato tutti un po’ straniti.
La partita contro i Wallabies è stata piuttosto difficile da analizzare. Il rosso ha rotto gli equilibri e ha scompaginato le dinamiche di gioco, ma non per questo i ragazzi in campo hanno pensato che fosse tutto più facile: paradossalmente questo episodio ha fatto emergere tutta la loro qualità. Non va dimenticato che loro sono una grande squadra e che sarebbero potuti rientrare nel novero delle migliori quattro.
Hanno giocato con intensità, velocità e fisicità. Tutte cose su cui dobbiamo ancora migliorare per essere al livello di queste formazioni. Se non sei in grado di controbattere, come è successo a noi, la partita ti scivola dalle mani e questo ci è dispiaciuto. Ci ha lasciato l’amaro in bocca, ma ci ha fatto capire che abbiamo ancora della strada da fare per stare al passo delle prime squadre mondiali.
Il match col Galles invece si può leggere in maniera diversa: abbiamo avuto da subito qualche problema in mischia, poi loro con malizia e astuzia ci hanno messo in difficoltà giocando sui nostri errori quando ancora non vi era un gap clamoroso in termini di punteggio. Questo ci ha portato a disunirci e di conseguenza anche a calare fisicamente. Il tutto gli ha quindi consentito di legittimare un successo meritato.
In tutte le partite citate però, siano state esse vittorie o sconfitte, abbiamo osservato un problema costante: quello della disciplina. Come si migliora questo aspetto?
È certamente un’area del gioco su cui dobbiamo intervenire. L’aspetto comportamentale è da migliorare: subire uno o due cartellini a questi livelli pesa enormemente. A volte sono stati commessi falli stupidi, per mancanza di lucidità, altre volte perchè non riuscivamo a sostenere l’intensità che la partita richiedeva. Ci manca ancora quel rigore strategico che in questi match viene “preteso”, non solo dall’arbitro, ma dalle situazioni di campo stesse.
Concludendo: il gruppo azzurro della Under 20, con quali prospettive va via dalla Francia e si rigetta nella nuova stagione?
In generale stiamo crescendo e di questo siamo molto contenti. Il fatto che non si lotti più per retrocedere, ma che si cerchi di stare nel gruppo fra il quinto e l’ottavo posto ci dà consapevolezza della positività del percorso che stiamo affrontando. Abbiamo bisogno però di diventare costanti sul lungo periodo: uno o due anni non ci devono bastare per pensare di colmare il gap con squadre che hanno serbatoio e tradizioni più grandi delle nostre.
Per il futuro, diversamente, il fatto di aver chiamato qualche ragazzo nato nel 2000 e avere già dei ’99 impiantati stabilmente nel gruppo ci lascia ben sperare. Era importante fargli capire cosa volesse dire respirare l’aria di questi tornei e le esigenze che l’alto livello impone. Il serbatoio di riferimento sarà quello dell’Accademia Nazionale, ma non solo. Vogliamo un collettivo allargato, che lavori con meritocrazia. Abbiamo visto che nel Sei Nazioni e nel Mondiale gli infortuni sono stati spesso “dietro l’angolo” e avere una profondità con cui sopperire a questi problemi, può solo che farci bene. Noi, come coach, vogliamo metterci al servizio dei ragazzi per farli migliorare mentalmente tecnicamente e fisicamente. L’Under 20 deve essere un momento di verifica e slancio verso il mondo senior: l’obiettivo dei ragazzi deve essere quello di arrivare un giorno a vestire la maglia della nazionale maggiore.
Di Michele Cassano
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