Gli USA non possono ancora permettersi eventi come Sudafrica-Galles, ma intanto la nazionale cresce insieme alla MLR
Come si conquistano gli Stati Uniti ovali? Non con degli improvvisati Test Match tra le seconde (o terze?) squadre di Sudafrica e Galles in un RFK Stadium semivuoto, a quanto pare. Forse nemmeno esportando una singola partita di Premiership, visti i riscontri. Ci sarebbe poi quell’idea sull’espansione del Super Rugby, ma anche lì si resta nel campo degli esperimenti volti al trapianto di una maggiore passione ovale all’interno del Paese.
Con il pessimo risultato complessivo di Sudafrica-Galles, tuttavia, sembra evidente come la fase di sperimentazione debba essere ancora rimandata. Meglio continuare a rafforzare le basi individuate negli ultimi anni, per poi spostarsi su terreni a prima vista un po’ più scivolosi. È quello che succederà il 3 novembre.
Al Soldier Field di Chicago, nello stesso giorno, si disputeranno tre partite: ad aprire le danze saranno la nazionale femminile statunitense e le Black Ferns neozelandesi; dopo toccherà a Irlanda (che ben si sposa con la Windy City) e Italia, mentre gli ideali headliner di un festival di grande spessore internazionale saranno i Maori All Blacks e la nazionale maschile locale. Anche a distanza di quattro mesi dall’evento, sembra impronosticabile un insuccesso della manifestazione vista la caratura degli ospiti invitati e il sicuro coinvolgimento del pubblico generato dalla presenza degli irlandesi e dei neozelandesi, sebbene non con la prima squadra.
La direzione da seguire per World Rugby probabilmente è ancora questa: puntare sulle poche squadre che generano un ritorno economico certo e un’atmosfera di primo livello, per poi cominciare a spostare la propria attenzione su prodotti perlomeno oggi meno appetibili. Dei Test Match naif nelle intenzioni come Sudafrica-Galles, slegati da qualsiasi altra iniziativa (almeno la Premiership, a Philadelphia, organizzò una serie attività collegate al di fuori dal campo) non sembrano adeguati per dare seguito ad un eventuale percorso di crescita a stelle e strisce, di cui peraltro non si riescono a decifrare ancora gli effettivi margini futuri.
Le aquile prendono quota?
Mentre il mondo ovale continua ad arrovellarsi su come ottenere maggiori profitti con la nazione a stelle e strisce, dal suo interno la nazionale maschile prova a cullare il proprio personale American Dream. La storica vittoria contro la Scozia ci ha ricordato come gli USA siano ormai più vicini al gruppo formato da Georgia, Tonga, Italia, Giappone e Fiji (in ordine crescente di forza) che non ai loro inseguitori nel ranking mondiale, ovvero Romania, Uruguay, Canada e Russia.
Non a caso, gli Eagles hanno battuto queste ultime tre da febbraio ad oggi con punteggi roboanti: 19-61 a Montevideo contro i Teros, 62-13 contro i russi e 17-42 contro il Canada, in una rivalità nordamericana ormai completamente sbilanciata verso gli USA anche a causa del forte declino dei Canucks nelle ultime stagioni. Rispetto alle altre nazioni sopraccitate resta ancora qualche gradino da scalare, ma lo scorso novembre ad esempio la sfida in Georgia si concluse con un risicato 21-20 per i padroni di casa. Un segno dei tempi.
Vincendo in Europa, inoltre, la striscia ancora aperta di otto vittorie consecutive sarebbe arrivata ora in doppia cifra. In ogni caso, si tratta di gran lunga del filotto di successi più corposo nella storia del rugby statunitense (il record precedente era appena di 4), iniziato con l’Americas Rugby Championship (vinto con Grande Slam) a febbraio e proseguito a marzo.
L’allenatore, il sudafricano Gary Gold, può certamente beneficiare della presenza della Major League Rugby, il campionato professionistico lanciato quest’anno con sette squadre e in via di espansione verso New York e Washington nei prossimi due anni. Dodici elementi che componevano la lista dei 23 (di cui sette titolari) per la gara contro la sperimentale Scozia provenivano proprio dalla MLR, a testimonianza di come il torneo possa avere un buon impatto sulle prestazioni della nazionale. Gli europei come Manu Samoa dal Tolone, AJ MacGinty da Sale, Joe Taufete’e da Worcester e capitan Blaine Scully da Cardiff hanno ancora una marcia in più, ma sarebbe sorprendente il contrario.
In tutto ciò, le divergenze tra USA Rugby e MLR (che non è sotto l’egida federale) permangono, stando alle parole del general manager della nazionale, Dave Hodges, che comunque si è espresso con ottimismo al Guardian sul rapporto tra le due parti: “Loro hanno una strategia, noi ne abbiamo un’altra. Ma c’è un rapporto molto amichevole e penso che entrambi sappiamo che si tratta di un rapporto che ci rende migliori a vicenda, se lo facciamo con intelligenza”.
“Facciamo il nostro meglio per comunicare quali giocatori ci interessano, quando vogliamo che vengano rilasciati in caso di infortuni. Penso che al termine della stagione potremo parlare di come migliorare ancora”. Hodges poi spiega come in che cosa le due parti possano collaborare proficuamente, ovvero a livello di fitness e preparazione atletica: “Vogliamo aiutare la MLR in questo, perché una competizione dove ragazzi che giocano a pieno ritmo per ottanta minuti di gioco diventerebbe ancor più stimolante”.
Il rapporto tra la Federazione e la lega, insomma, potrebbe evolvere, e a trarne beneficio saranno inevitabilmente anche gli Eagles. La loro striscia di vittorie si interromperà quasi certamente il prossimo 3 novembre contro i Maori All Blacks, ma non sembra essere la cosa più importante.
Daniele Pansardi
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