Dalla finestra estiva è uscita una nazionale sconfitta ma forte, in crescita e in grado di mettere in difficoltà anche i migliori
Il quinto posto nel ranking mondiale deve stare stretto a questa Australia. Nonostante la sconfitta nella serie contro l’Irlanda (quella del Grande Slam, quella seconda nel ranking, quella che ha conquistato l’Europa con i suoi club), i Wallabies hanno infatti dimostrato di stare acquisendo una forma sempre più definita e, nonostante qualche punto debole, di avere immensi margini di crescita e di poter essere una spina nel fianco per tutti.
La buona notizia è che il pacchetto di mischia sta cominciando a delinearsi in maniera definitiva. Il ritorno di David Pocock è stato una manna dal cielo ed ha improvvisamente incrementato il valore di una terza linea che, con il giocatore originario dello Zimbabwe al fianco di Michael Hooper, si trasforma immediatamente in un reparto di prima categoria. Manca forse un giocatore che completi il trio in maniera soddisfacente: un numero 6 o un numero 8 potente, primariamente un ball carrier che equilibri il reparto. Il neo-Wallaby Pete Samu non risponde a questo profilo, mentre Caleb Timu e Lukhan Tui non hanno particolarmente incantato.
L’altro tassello ancora incerto è quello del tallonatore. Brandon Paenga-Amosa ha giocato tutti e tre i test con l’Irlanda da titolare, ma il giocatore che rubato maggiormente l’occhi è stato il suo rincalzo Tolu Latu, 25enne nato a Tonga ma già nelle fila dell’Australia under 20. Paenga-Amosa forse può dare qualcosa in più in mischia chiusa, dove l’Australia ha fatto passi da gigante ed ha trovato una solida coppia di piloni in Scott Sio e Sekope Kep, ma il suo lancio in touche è lacunoso. Latu da par suo porta invece una dinamicita e un impatto che lo rendono davvero una terza linea aggiunta.
Il reparto arretrato è invece collaudato, con Kurtley Beale stabilmente a numero 12 come creatore massimo di scompiglio, a inventare sui tanti palloni che l’Australia gioca in situazioni rotte, provenienti dai tentacoli delle terze linee che recuperano il pallone in ruck.
Nei test estivi è stato un po’ in ombra Israel Folau, più al centro dell’attenzione per le sue poco simpatiche dichiarazioni omofobe e per le polemiche relative al giallo comminatogli nel terzo test che per le sue prodezze sportive. Il giocatore, però, non si discute: classe da vendere e mezzi atletici impareggiabili. Prendiamo ad esempio proprio il cartellino giallo preso, una situazione nella quale l’Australia sfrutta Folau per andare a prendere il pallone sul calcio d’inizio semplicemente perché è il migliore al mondo nella ricezione dei palloni aerei, una qualità che ha affinato con l’aussie rules, il football australiano, soprattutto. Al di là del merito dell’espulsione temporanea (giusta, secondo l’opinione di chi scrive), il fatto è che ci troviamo in una dinamica quasi soprannaturale dal momento che Folau arriva a contendere il pallone alla stessa altezza di un terza linea di un metro e novanta sollevato sopra la testa da un altro terza linea di un metro e novanta.
Intorno a questi due straordinari talenti si muovono Samu Kerevi, che da secondo centro ha principalmente le funzioni di un tir in corsa contro le difesa avversarie, Marika Koroibete, ottimo finisher ma soprattutto solidissimo difensore dal placcaggio devastante, e Dane Haylett-Petty, che in questi test di giugno a sopravanzato Reece Hodge nelle funzioni di doppio estremo del triangolo allargato di Cheika. In cabina di regia la collaudata coppia Genia-Foley ha il solo problema di essere unica: i rincalzi non sono sufficienti.
Ecco dunque uno dei problemi che affliggono maggiormente la mente di Michael Cheika mentre il tecnico dell’Australia si prepara ad affrontare la Bledisloe Cup del prossimo 18 agosto, giornata inaugurale del Rugby Championship: ora che l’Australia ha tutto sommato trovato una quadra sia dal punto di vista della struttura di gioco (quanto di più simile al contropiede calcistico si sia visto un campo da rugby) sia da quello dell’organico (con le eccezioni sopra descritte) il problema più grosso sembra essere la famigerata coperta corta: in tanti ruoli l’Australia non ha dei rincalzi all’altezza che possano permettere di coprire eventuali infortuni. Un problema a cui Cheika deve rispondere in fretta, visto che la Rugby World Cup si avvicina. Finora il tecnico di origini libanesi non ha però mai trovato il modo e lo spazio per sperimentare quel tanto che basta per rendere più completa la propria rosa.
Lorenzo Calamai
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