Racconti di rugby: come allenare i calci piazzati nella giungla delle Fiji

Matteo Mazzantini ha raccontato sul suo blog un aneddoto (insieme ad Andrea Scanavacca) sul tour nel Pacifico del 2000

andrea scanavacca

ph. Reuters

Racconti di rugby è un blog aperto alcuni anni fa da Matteo Mazzantini, ex mediano di mischia di Benetton, L’Aquila, Rovigo, Viadana, Parma, Livorno e Nazionale, in cui ha raccolto gli episodi più interessanti vissuti lungo la sua decennale carriera da giocatore. Gli abbiamo chiesto di riprendere alcuni estratti anche su OnRugby, per cercare di mantenere il più vivo possibile il ricordo di quei momenti e l’unicità di quei racconti, come quello che leggerete di seguito.

La prima sfida contro le Fiji era prevista tra le rispettive seconde squadre. La coppia mediana di riserva della nostra Nazionale era Mazzantini-Scanavacca. Ci toccava testare anche questa compagine. Il match si sarebbe giocato a Sigatoka, una cittadina ad un centinaio di km di distanza dalla nostra base. Il programma prevedeva di avvicinarci alla città, dormire là e il giorno dopo affrontarli.

Una volta arrivati nel solito hotel affacciato su di un golfo bellissimo con colori da sogno eccetera eccetera, ad ognuno la sua camera. Io e “Pepe” andiamo dal responsabile figiano a chiedere se ci fosse un campo nei paraggi per fare un po’ di pratica di calci. “Certo che c’è un campo! Alle Fiji ci sono solo campi da rugby! Ahahahah”. Solita risposta del solito allegro isolano.

Ci vestiamo con pantaloncini, maglia e scarpette ed andiamo all’ingresso dell’hotel ad aspettare il personaggio che dovrebbe portarci al campo. Dopo i canonici 10 minuti di ritardo, detti “Fiji Time”, vediamo arrivare il tipo rigorosamente in infradito, pantaloni corti e senza maglia. Ci saluta e ci dice di seguirlo.

Pensiamo, visto che non si vedono né taxi né macchine, che il campo sia proprio vicino. Infatti partiamo al passo con le sacche dei palloni e il conetto di Pepe. Attraversiamo la strada e, seguendo la guida, ci infiliamo nella giungla. Pepe comincia a fare qualche battuta sarcastica, ma a me la cosa diverte. Il tipo, appena dentro i cespugli, si toglie pure le ciabatte e, scalzo, comincia a camminare spedito. La giungla intanto si fa sempre più fitta, il terreno sempre più morbido. Insetti, soprattutto ragni, ovunque. Odio i ragni, soprattutto quelli grossi come una mano e tutti pelosi.

Comunque, nonostante le nostre proteste, la guida ride e scherza. Per non fare la figura dei soliti “cittadini” continuiamo malvolentieri ad avanzare. Ma…

Davanti a noi si apre un fiume impetuoso largo una trentina di metri. Il tipo ci guarda e dice: “Siamo quasi arrivati, appena al di là del torrente c’è il campo.” Si volta e parte, sempre scalzo, per guadare il fiume. “Aspetta un attimo! Amico! Dove vai?!” Niente, era già con l’acqua fino al cavallo dei pantaloni e puntava l’altra sponda.

Io mi metto a ridere, guardando Andrea che era piuttosto preoccupato e innervosito. “Ma cazzo! Possibile che non ci fosse un’altra strada? Non ci credo! Quello ci prende in giro! Ma quale campo vuoi che ci sia in questo posto?! Siamo nella giungla, chi ci giocherebbe in quel campo?!” Cerco di metterla sul ridere, ma il mio tentativo riesce solo ad innervosirlo ancora di più. “Io non vengo! Torno indietro e prendo un taxi, pago io! Ma possibile che queste storie tocchino sempre a noi? Ho le scarpe nuove! Ci saranno piranha, coccodrilli, serpenti…”. Tutte le scuse erano buone, era partito per la tangente. Cerco di farlo ragionare e, dopo 10 minuti, ci togliamo le scarpe e tentiamo l’impresa.

La sensazione ancora più viv, era quella melma molliccia sul fondo che risucchiava i piedi. Un vero schifo! Alla fine, con le scarpe in mano come il figiano, arriviamo in una radura della giungla con i pali da rugby piantati dai due lati. Ce l’abbiamo fatta.

Tempo di togliersi quella cosa nera appiccicata alle dita dei piedi e mettersi le scarpe, ci siamo calmati. Cominciamo l’allenamento. Corsetta di riscaldamento, allungamento e qualche calcetto tra di noi. Non passano 5 minuti che dai cespugli esce un ragazzino. Probabilmente ha sentito colpire la palla coi piedi ed è venuto a curiosare. Si avvicina e, timidamente, ci chiede se può prendere una palla. “Certo bimbo. Prendila pure!”

In un attimo il campo si riempie di ragazzi di ogni età che si mettono a giocare a rugby. È un misto tra il touch rugby ed il bracciolo rugby. Alcuni giocano al tocco, altri preferendo un gioco più maschio, placcano duro alla maniera isolana… al collo. È bello vederli. Sono bravi, veloci, scattanti e talentuosi. Tutti rigorosamente scalzi, se le danno di santa ragione e ridono in continuazione. Se qualcuno rimane a terra dolorante, nessuno si preoccupa per lui, ma tutti si complimentano con il placcatore… Penso: “Poi ci chiediamo perché placcano così duro quando vengono a giocare in Italia…”

Intanto faccio il mio allenamento di calci nel box, mentre Andrea di piazzati. Dopo una mezzora finisco e raccolgo i miei palloni. Vado verso il mio compagno e gli chiedo quanto gli resti da fare. Gli ricordo che dobbiamo guadare il fiume prima del buio… “Gli ultimi e arrivo”.

Fino a quel momento stava calciando abbastanza bene. Un ragazzo si avvicina, capendo forse che stavamo finendo e ci chiede un pallone per provare. È scalzo, come tutti. Prende la palla, si posiziona quasi sulla linea di touche, e appoggia il pallone a terra senza piazzola, solo con un paio di grattate in terra con le unghie del piede. Prende una rincorsa a caso e bum! Pali centrati perfettamente.

Pepe, intanto stava preparando il suo calcio. Vede la scena e perde la concentrazione, decide di ricominciare da capo la sua trafila. Nel frattempo, il ragazzo prende un’altra palla ed in un attimo piazza il secondo pallone. Pepe prova il suo e sbaglia.

“Ok, per oggi è anche troppo! Prendiamo i palloni ed andiamocene… Subito!”

Feriti nell’orgoglio, ce ne torniamo in albergo.

Matteo Mazzantini

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