Dietro le quinte della nazionale: intervista con il video analyst David Fonzi

Da un decennio con gli azzurri, Fonzi ci ha spiegato suo lavoro, le tecnologie utilizzate e l’approccio ideale da avere con questo strumento.

David Fonzi, il primo da sinistra (ph. Sebastiano Pessina)

Quando le telecamere inquadrano il settore della tribuna stampa in cui siede lo staff tecnico azzurro, avrete certamente notato una figura comune a tutte le ultime tre gestioni della nazionale: mentre Nick Mallett, Jacques Brunel e (ora) Conor O’Shea e assistenti tecnici si sono avvicendati nel corso degli anni, al loro fianco un uomo e il suo computer sono passati attraverso tutte queste stagioni. Chi è? Cosa fa? Lo abbiamo chiesto direttamente a lui, a David Fonzi, video analyst della nazionale italiana ormai da un decennio.

Come nasce l’idea di diventare video analisti e come ti sei formato?

Ho iniziato a collaborare con lo staff di Pierre Berbizier nei Test Match del novembre 2006. Alla Coppa del Mondo 2007 ho lavorato in remoto con Simone Santamaria, il video analyst dell’epoca, poi la Federazione mi ha chiesto se mi interessava diventare responsabile della video analisi della nazionale maggiore. Ho iniziato ufficialmente con il ciclo di Nick Mallett, infatti la mia prima partita è stata al Sei Nazioni 2008 La mia formazione è stata sul campo. Non esistono corsi accademici, mi sono appoggiato agli allenatori per andare a cercare un determinato corso o un altro, o entrare in contatto con i club o staff più evoluti.

Tu hai anche giocato alla Rugby Roma per diversi anni: cercavi di analizzare le partite già da allora?

Sono stato un po’ fortunato e bravo, perchè quando ero nelle giovanili della Rugby Roma avevamo una squadra molto forte e c’era un ambiente che puntava in alto. Il nostro era uno dei pochi casi in Italia, in cui la nostra prestazione ci veniva fatta rivedere. Lì è nata un po’ la mia passione, poi io ho sempre messo gli studi davanti allo sport. Ho preso una laurea in scienze motorie, ma prima di quella ero ingegnere.

Quali sono le tecnologie usate e qual è stata l’evoluzione negli anni?

Siamo sempre stati al passo con le nostre contender negli anni. Seguiamo gli standard, e abbiamo gli stessi strumenti e le stesse potenzialità di Nuova Zelanda, Galles, Irlanda e altri: ad esempio, il software che usiamo per l’analisi, SportsCode, è lo stesso. Oltre a Sportscode, ci avvaliamo anche di una piattaforma per la gestione dei giocatori, sviluppata da IQUII, dove riportiamo i dati delle varie categorie delle nazionali con tutti i giocatori suddivisi per ruolo. Attraverso le informazioni possiamo fare dei filtraggi e quindi monitorare la parte della performance sia tecnica che fisica.

Un esempio di cosa si può fare con Sportscode?

In mischia possiamo vedere le direzioni di spinta, l’angolazione delle spalle e della schiena, mentre nel lancio del tallonatore possiamo vedere l’angolazione degli arti superiori nel momento in cui lancia la palla e la velocità d’arrivo e d’uscita della stessa. Inoltre, con Sportscode possiamo analizzare l’avversario in modo schematico, creando un database con le fasi di gioco con le cose più caratteristiche che ci possiamo aspettare.

Come pianifichi la tua settimana tipo all’interno di una finestra internazionale?

Possiamo dividere la match analysis in due grosse categorie. Una la chiamiamo training, la formazione: c’è un lavoro quotidiano di analisi specifihe; un lavoro tattico, sia individuale sia di reparto. Ed è tutto finalizzato alla prestazione singola al servizio del collettivo. Poi c’è un discorso diverso da fare relativo alla partita: quello include lo studio dell’avversario, di un piano di gioco ma anche di un’uscita dal nostro piano di gioco proposto. Questo è il preview, poi c’è il live, che può essere la conferma, la modifica o l’adattamento alla partita. Quindi c’è un post, in cui abbiamo delle soglie prestabilite che ci danno un’idea di dove dobbiamo ambire per poter essere competitivi e in cui verifichiamo il raggiungimento dei KPI (Key Performance Indicator) È una fotografia dell’intera attività.

Invece, quando non gioca l’Italia, come si sviluppa il tuo lavoro?

È un lavoro di aggiornamento in rapporto all’evoluzione del gioco, di osservazione. Riguarda anche i nuovi strumenti e nuovi metodi di apprendimento che si possono utilizzare con i ragazzi. Per esempio, a breve andrò a fare un giro di club come Saracens, Exeter e Gloucester per vedere come propongono le riunioni, che tipo di analisi dell’avversario svolgono e in rapporto a quali dati rilevanti o meno… Diciamo che lontano dalle competizioni si ha un aggiornamento e una preparazione alla competizione successiva. Poi da quando c’è Conor O’Shea, nel rapporto con le franchigie c’è molta più condivisione. Ho rapporti splendidi sia con Niccolò Gaetaniello delle Zebre sia con Nicola (Gatto) a Treviso. Monitorare e seguire i nostri giocatori è molto più facile.

Qual è il tuo rapporto con lo staff tecnico e quali direttive segui?

Si è un po’ modificato nel corso degli anni, perché è strettamente collegato al rapporto con head coach e assistenti. Oggi curo di più lo studio dell’avversario: siamo noi analisti a dare una prima selezione sul modello di gioco e sugli schemi delle altre squadre. Poi da lì lo staff tira fuori le strategie specifiche per ciascun reparto. Mi interfaccio con i giocatori ogniqualvolta ne hanno esigenza. Sono un po’ il portatore del verbo dello staff tecnico, visto che collaboro con tutte le figure di attacco, mischia, touche e difesa. Raaccogliendo tutte queste informazioni, molti giocatori vengono da me o da Simonluca (Pistore) a chiederci chiarimenti.

Di un avversario, in genere, quante partite si devono visualizzare per comprenderne i trend?

In media 4 o 5 partite al massimo. Ci sono delle variabili da tenere in considerazione: ad esempio, se c’è un possibile cambio nello staff tecnico si ricercano le partite della squadra precedente che ha allenato, oppure il meteo e le formazioni della nazionale avversaria, perché magari l’analisi era stata fatta con altri giocatori che vengono poi modificati. Queste sono le tre condizioni primarie che incidono sull’analisi dell’avversario.

Nella tua carriera hai trovato avversari difficili da analizzare, per un motivo o per un altro?

Sicuramente le squadre isolane, perché fino a qualche anno fa era difficile reperire dei video. Avevamo veramente poco materiale per analizzare le squadre del Pacifico, come pure per le Tier 2. Ma contro Fiji, Samoa e Tonga le difficoltà riguardano anche le formazioni, perché hanno dei nomi talmente strani che spesso anche voi media confondete. E poi hanno un sistema di gioco totalmente anarchico e istintivo.

Durante una partita, invece, che cosa fai e che dati possono essere utili all’intervallo?

Mi concentro di più sul gioco generale: analizzo sia le fasi statiche sia il gioco aperto, mentre Simonluca si occupa del tempo effettivo e dei dati in rapporto a possesso e territorio. All’intervallo abbiamo 15 minuti negli spogliatoio in cui cerchiamo di dare le informazioni con un principio di selettività efficace. Spesso ci ritroviamo di fronte a giocatori che hanno bisogno di più tempo prima di poter essere ricettivi, per cui è un continuo adattamento.

I ragazzi, invece, che approccio hanno alla video analisi?

Rispetto alla media si applicano molto. Sono esigenti, richiedono l’analisi della loro prestazione e ogni volta nel post match fanno domande. Si prendono cura di analizzare e studiare l’avversario, una cosa che nello sport moderno – ma specialmente nel rugby – non possono permettersi di non fare. Loro in questo sono veramente disciplinati e sono migliorati molto. Anche per questo, ho chiesto di avere Simonluca Pistore con me, per rispondere alle esigenze attuali.

Che approccio avevano alla video analisi gli allenatori con cui hai lavorato? Hai dovuto superare anche qualche scetticismo?

Più che altro tutto dipende dall’approccio che ha l’allenatore alla video analisi. Prima si utilizzava semplicemente per rimarcare gli errori commessi dai giocatori: se hai un approccio di questo tipo, dall’altra parte c’è chiusura totale. Non era un confronto, non era un’azione condivisa, ma quasi un’accusa. Oggi è diverso: non dico che il gameplan si fa insieme, ma c’è condivisione e responsabilità di ciò che si andrà a fare durante la partita. Questo ha tutto un lavoro a monte di dialogo, e infatti io parlo di match analysis oggi come uno strumento di apprendimento sia per il giocatore sia per l’allenatore. Non può esserci un divisorio.

Secondo te, su quale aspetto del gioco il video analyst riesce a incidere di più?

Da quando abbiamo a disposizione una wide camera, ovvero una camera fissa che permette di vedere sempre tutto il campo e tutti i trenta giocatori, l’aspetto su cui posso incidere di più è il gioco senza palla sia in attacco sia in difesa.

Quali rischi legati alla video analisi hai individuato nella tua carriera?

Ne ho notati due. Uno riguarda gli allenatori: se tu dai tanti dati allo staff, si perdono. Oggi la capacità di selezionare i dati rilevanti da parte del video analyst è fondamentale. Per i giocatori, invece, bisogna considerare anche la sensibilità nella gestione dei dati da parte dello staff. Oggi attraverso social e app si può comunicare h24 con i giocatori e qualche anno fa, quando sono usciti questi strumenti, nei club non si faceva altro che notificare in continuazione qualsiasi cosa ai giocatori. La conseguenza? I giocatori non aprivano più l’app quando arrivava la notifica. Bisogna avere una certa sensibilità nel fare le richieste e nel capire a chi farla.

Passiamo al capitolo statistiche: noi da, fuori, abbiamo accesso a dati quali i placcaggi, placcaggi mancati, metri guadagnati, possesso, territorio eccetera. Quali statistiche più complesse invece raccogliete voi e come ci si districa tra i numeri?

Ci sono statistiche che, a livello macroscopico, ci danno degli indicatori della prestazione. All’interno di questi, ogni staff associa un valore a un dato evento del giocatore. Noi abbiamo i nostri KPI, le altre nazionali ne hanno altri ancora. Questi indicatori ci permettono di visualizzare direttamente ciò che è andato e ciò che non è andato: in nazionale ne abbiamo cinque (che sono già tanti), perché in ogni KPI ci sono più temi tecnici sia di attacco sia di difesa. La media più o meno è questa. All’interno di ogni indicatore, tutti cercano di associare le statistiche raccolte per avere un unico dato, in modo da non perdersi in troppi dettagli.

Ci sono statistiche però che spesso possono essere fuorvianti, per esempio i placcaggi mancati o i metri guadagnati.

È vero per i placccaggi mancati, perché dipende dall’attitudine della difesa nell’andare a prendere l’attacco. In una difesa rovesciata, per esempio, l’uomo più esterno sale sparato sull’avversario e impedisce un passaggio nello spazio, ma chiaramente c’è un’altissima possibilità che manchi il placcaggio. Viceversa, gli attacchi poi sono organizzati in ‘cellule’ che escono dal canale del placcatore; in quel momento, segnalare un placcaggio mancato può essere sindacabile, perché un avversario può essere uscito dalla tua zona di competenza.

Se volessi dare un consiglio a chi vuole diventare un video analyst, cosa diresti?

Iniziare a guardare le partite con distacco, senza essere coinvolto da quello che succede in campo. È una cosa che aiuta tantissimo.

Daniele Pansardi

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