La squadra di Michael Cheika è una delle più spettacolari al mondo, ma saprà essere continua al punto giusto?
L’Australia di Michael Cheika si presenta spesso come un libro di Glenn Cooper: schema narrativo fluido e interessante, colpi di scena e giocate di grande classe in serie, personaggi di grande talento ma – spesso, non sempre – quella sensazione di generale inconsistenza se paragonata ai giganti del suo genere. Le partite dei Wallabies si guardano dall’inizio alla fine tutte d’un fiato, perché spettacolari e imprevedibili, ma al termine non è inusuale chiedersi come mai questa squadra non riesca ancora ad essere completa, nonostante delle trame sempre di altissimo livello.
L’ultima serie giocata con l’Irlanda ha messo in mostra queste tendenze, tant’è che secondo molti esperti irlandesi e australiani gli uomini di Joe Schmidt avrebbero vinto la serie grazie ad una maggiore attenzione ai dettagli e alla maggiore astuzia nei punti d’incontro rispetto agli avversari. Nessun divario evidente (il punteggio complessivo è stato 55 pari, del resto), un’inferiorità magari non percepibile in superficie ma che ha preso forma con il passare dei minuti, a cui i Wallabies non hanno saputo rispondere adeguatamente.
Dall’altra parte, l’Australia ha comunque confermato il suo status di terza forza mondiale, sebbene il ranking la posizioni al quinto posto ora. In pochi, d’altronde, possono contare su individualità come il miglior flanker di tutti (e uomo più temuto dagli All Blacks), David Pocock, il miglior primo centro, Kurtley Beale, il miglior estremo, Israel Folau, e uno dei mediani di mischia più forti dell’ultimo decennio, Will Genia.
Attorno a questi quattro pilastri, a un abile regista come Bernard Foley e a un altro leader come Michael Hooper, Cheika è riuscito a costruire una squadra efficace e che può essere definita in costante crescita, considerando il rendimento negli scorsi Test Match di giugno (sconfitta in casa contro la Scozia, vittorie poco convincenti contro Fiji e Italia). Un’ulteriore (piccola) spinta è arrivata anche dalle franchigie del Super Rugby, in ripresa dopo un 2017 sconfortante soprattutto sotto il segno dei Waratahs dell’asse Foley-Beale-Folau, una delle squadre più divertenti del torneo e sconfitti solo in semifinale dai Lions. Il rugby australiano, insomma, ha vissuto momenti ben peggiori di recente.
Cosa aspettarsi, dunque
I Wallabies danno il meglio di sé quando riescono ad attivare velocemente la propria linea di trequarti, sfruttando lo schieramento molto profondo che di solito adotta il reparto arretrato per avere maggiori margini di manovra. Non a caso, l’Australia è anche una delle squadre dotata degli schemi più ingegnosi dalle fasi statiche, che spesso hanno portato a mete spettacolari (e ora ci sarà anche un Matt Toomua in più nel motore).
Non è una nazionale di straordinari ball carrier, invece. Gli unici realmente pericolosi erano a loro volta dei trequarti, ovvero Tevita Kuridrani e Samu Kerevi: entrambi però salteranno tutto il Championship e lasceranno sguarnita una casella importante, che dovrebbe ricoprire l’eclettico Reece Hodge (dotato anche di una bombarda dalla piazzola che non fa mai male a questi livelli). L’ascesa del Tongan Thor, Taniela Tupou, in questo senso è da seguire con curiosità, perché il 23enne pilone ha tutte le qualità per diventare la principale testa di ponte dei Wallabies già oggi, oltre che domani.
David Pocock e Michael Hooper saranno invece i deputati a seminare il panico sui punti d’incontro, da cui spesso possono partire azioni di turnover micidiali per le squadre avversarie (l’Italia lo ha pagato sulla propria pelle un anno fa). Che è anche il modo in cui i Wallabies sono riusciti a vincere l’unica partita della serie contro l’Irlanda, facendo sfoggio di una difesa per una volta davvero eccezionale.
La continuità difensiva sarà un altro turning point del torneo australiano: agli irlandesi i Wallabies hanno concesso meno di venti punti di media a partita, risultato senz’altro positivo e indicativo dei progressi compiuti, ma che andrà confermata soprattutto nelle prime due settimane contro gli All Blacks. Nelle ultime quattro partite del back-to-back di inizio Championship, infatti, i punti di media concessi ai rivali storici sono stati 40: prendere un’altra batosta, dopo la vittoria dello scorso ottobre, potrebbe facilmente influenzare negativamente il prosieguo del torneo.
Scenario migliore
I Wallabies vincono quattro partite e ne perdono due: battono gli All Blacks alla prima giornata e il Sudafrica con 20 punti di scarto, per poi perdere in Nuova Zelanda e in casa degli Springboks con margini ridotti. Folau marca mete a ripetizione, Beale si candida prepotentemente a miglior giocatore dell’anno e Pocock domina il breakdown. Il torneo, comunque, va alla Nuova Zelanda, perché sognare è gratis ma fino a un certo punto.
Scenario peggiore
Gli All Blacks rifilano di nuovo 50 punti all’Australia davanti ad uno stadio tutto esaurito a Sydney, perdendo fiducia in vista del ritorno in Nuova Zelanda che viene vinto senza troppi problemi dai padroni di casa. Nella doppia sfida contro il Sudafrica arrivano un pareggio casalingo e una sconfitta esterna, mentre con l’Argentina arrivano due vittorie senza convincere. Michael Cheika perde la brocca con gli arbitri dopo ogni partita e viene squalificato fino al prossimo anno.
I convocati dell’Australia
Avanti: Jermaine Ainsley, Allan Alaalatoa, Rory Arnold, Adam Coleman, Folau Faingaa, Ned Hanigan, Michael Hooper (captain), Sekope Kepu, Tolu Latu, Brandon Paenga-Amosa, David Pocock, Tatafu Polota-Nau, Tom Robertson, Izack Rodda, Pete Samu, Rob Simmons, Scott Sio, Caleb Timu, Lukhan Tui, Taniela Tupou.
Trequarti: Tom Banks, Kurtley Beale, Israel Folau, Bernard Foley, Will Genia, Dane Haylett-Petty, Reece Hodge, Marika Koroibete, Jack Maddocks, Billy Meakes, Sefa Naivalu, Jordan Petaia, Nick Phipps, Joe Powell, Curtis Rona, Matt Toomua.
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