Due vittorie, pronostici rispettati ma nessuno può dirsi davvero contento. I temi più interessanti dal weekend italiano di Pro14
Benetton e Zebre non avevano mai vinto insieme alla prima giornata di campionato. Lo hanno fatto battendo rispettivamente la penultima e l’ultima squadra del torneo per potenziale e attuale valore, restituendo un senso di normalità quasi inedito quando si parla di italiane-impegnate-nel-torneo-celtico. Per normalità non s’intende la perfezione, ma la realizzazione di certe (più o meno semplici) aspettative: sia Benetton sia Zebre non hanno fatto altro che svolgere il loro compito, che non poteva non prevedere la vittoria considerando le premesse. Non deve essere una brutta sensazione.
Passando al merito dei match, invece, entrambe le franchigie sono state ben lontane dall’essere perfette o pienamente convincenti. Sarebbe stato forse più preoccupante il contrario, e quindi ammirare già due squadre a pieno regime e pimpanti, ma alcuni elementi di discussione sono emersi con chiarezza.
A prescindere da quanta ruggine ci sia ancora nelle gambe degli atleti dopo la preparazione estiva, si sono viste delle Zebre al solito propositive e a tratti arrembanti, ma anche tanto disordinate e quasi caotiche, frutto di scelte ed esecuzioni non sempre azzeccate. Stesso discorso può essere fatto per la difesa, sempre molto aggressiva e intenzionata a rubare spazio all’attacco, ma non sempre capace di centrare l’obiettivo.
Solo un’eccessiva voglia di strafare contro un avversario dato per spacciato? Possibile, ma le risposte più concrete a questa domanda arriveranno già a Galway, la settimana prossima, dove i ducali a febbraio ottennero una delle più belle vittorie del 2017/2018, in pieno stile Zebre bradleyane.
Come i colleghi parmigiani, pure il Benetton è uscito alla distanza al Rodney Parade di Newport, un campo dove le italiane hanno sofferto sempre più di quanto la forza dell’avversario avrebbe fatto pensare. L’andamento dei biancoverdi durante gli ottanta minuti è stato regolare a livello di intensità e concentrazione: la differenza di cilindrata era evidente e solo alcune iniziative individuali dei Dragons hanno impensierito la difesa, che ha pagato soprattutto disattenzioni individuali.
I problemi maggiori ci sono stati in attacco, dove sono stati regalati troppi turnover per errori di timing e forzature non richieste, a testimonianza anche di una maggiore voglia di osare (che spesso è sfociata nell’incoscienza però). Questione di dettagli, verrebbe da dire: il libro che il Benetton sta iniziando a scrivere per la stagione sembra comunque parecchio interessante, e non solo dalla copertina.
Gli altri temi del weekend
Come guadagna campo il Benetton
Soprattutto nel primo tempo, il leitmotiv per il Benetton sembrava essere il seguente: grande guadagno territoriale grazie al piede di Tebaldi, Allan e Hayward o alle corse di Tavuyara e Ioane, recupero dell’ovale nelle fasi seguenti e perdita del possesso in maniera banale nell’imbastire un multi fase. Sorvolando su quest’ultimo aspetto, già toccato in precedenza, c’è da dire che i Leoni sono stati decisamente efficaci tra la propria area di meta e la metà campo, sia nella copertura del campo alle spalle della linea (Hayward è sempre Hayward) sia nel cogliere impreparata la retroguardia avversaria con i calci di spostamento dei due mediani. E in alternativa c’erano sempre le due ali.
Due pilastri delle Zebre
Uno è stato effettivamente scelto come Man of the Match dell’incontro, l’altro poteva essere considerato il principale sfidante per la palma di migliore in campo. Renato Giammarioli e Mattia Bellini sono ripartiti da dove erano rimasti, perlomeno a livello di franchigia: il numero otto è stato autore di una prestazione di grande spessore (7,5 metri corsi per carica, 3 clean break, 4 difensori battuti e 2 offload, 10 placcaggi fatti e nessuno mancato) con cui ha subito rimesso il suo nome sulla mappa, dopo l’infortunio che lo aveva tenuto fuori da febbraio in poi. Bellini ha confermato come il Pro14 sia il suo terreno di caccia ideale al momento e ha seminato il panico nella difesa sudafricana: 7 metri corsi per carica, 2 clean break, 5 difensori battuti, 2 offload e almeno un placcaggio decisivo per fermare una ripartenza pericolosa dei Kings. Per qualità tecniche e atletiche, nel sistema di Bradley sembrano realmente imprescindibili.
Due giocatori di culto
Non i più forti, non necessariamente i più ortodossi, ma quelli che per un motivo o per un altro suscitano interesse e possono esaltare i tifosi per le loro gesta in campo. Giocatori con cui il pubblico empatizza facilmente, insomma. Per il Benetton, chi possiede le qualità per diventare un feticcio di Monigo è Engjel Makelara: il tallonatore nato in Macedonia ha giocato appena 189 minuti dall’estate 2017 con i biancoverdi, ma nei pochi spezzoni di gara giocati si è messo in mostra per uno stile molto aggressivo in difesa e nei placcaggi, portati molto spesso uscendo a tutta velocità dalla linea. Il tipo di interventi che farebbe infiammare qualunque platea rugbistica.
Per le Zebre, lo status di potenziale giocatore di culto è per Apisai Tauyavuca. Non poteva essere altrimenti, trattandosi di un figiano semi-sconosciuto, alto quasi due metri e con una discreta tendenza a tenere il pallone con una mano sola per cercare l’offload (ne ha fatto uno nei cinque minuti in cui è stato in campo venerdì sera). L’impressione è che potrebbe regalarne ancora molti altri.
Daniele Pansardi
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