Racconti di rugby: la disciplina ferrea di Mike Brewer a L’Aquila

Ovvero: giocare per 40 minuti effettivi senza far mai cadere la palla a terra. Per Mazzantini&co. non fu proprio semplice

mike brewer

Mike Brewer, quando allenava i Sale Sharks (ph. Reuters)

Racconti di rugby è un blog aperto alcuni anni fa da Matteo Mazzantini, ex mediano di mischia di Benetton, L’Aquila, Rovigo, Viadana, Parma, Livorno e Nazionale, in cui ha raccolto gli episodi più interessanti vissuti lungo la sua decennale carriera da giocatore. Gli abbiamo chiesto di riprendere alcuni estratti anche su OnRugby, per cercare di mantenere il più vivo possibile il ricordo di quei momenti e l’unicità di quei racconti, come quello che leggerete di seguito.

Una partita di rugby è uno spettacolo offerto agli spettatori, proprio come una rappresentazione teatrale. A teatro, gli attori provano tutti i giorni, per ore, giorni, mesi per presentarsi alla “prima” pronti e preparati. Mike Brewer aveva questa idea del rugby. Ore e ore di prove.

Ci allenavamo alle 14:30, dopo una prima parte di allenamento tradizionale, con i classici 3 vs 2, placcaggi, pulizie dei punti incontro. Cominciava la rappresentazione della partita. Dava la squadra per la domenica e i 15 prescelti provavano gli schemi. Solo i 15 titolari. Le riserve si allenavano a stare seduti in panchina. Incredibile: o giocavi, quindi ti allenavi, oppure te ne stavi seduto a guardare gli altri che provavano gli schemi. Le uniche speranze erano  gli eventuali errori del tuo diretto concorrente: ne erano concessi due, al terzo ti accomodavi in panchina e la tua riserva subentrava nella rappresentazione. Nessuna eccezione, mai. Un po’ strano ma aveva una sua logica, la disciplina. Non fu proprio facile adattarsi al suo metodo di allenamento, ma col tempo riuscimmo a farlo.

Era la metà del campionato, con il solito allenamento dalle 14:30. È l’ultimo prima della partita della domenica, piuttosto importante anche se non ricordo contro chi. Cominciamo con un quarto d’ora di riscaldamento, poi l’annuncio della formazione e la prova degli schemi, ma questa volta con una postilla: “Dobbiamo crescere, dobbiamo imparare a non perdere palla per almeno 40 minuti”. La conseguenza pratica era il provare le giocate per 40 minuti senza fare un “in avanti”. Beh, si provava a vuoto, senza avversari… Sembrava fattibile.

Prima azione, palla a terra. Seconda azione, molto bene, finiamo il campo e segnamo. Mike ferma il tempo, devono essere 40’ effettivi. Si riparte dalla nostra area di meta e facciamo un altro campo senza errori. Andiamo avanti belli sciolti per una ventina di minuti durante i quali sembriamo davvero un ottima squadra. Penso: “Dai che stiamo facendo un buon allenamento!” Ma a questo punto cade la palla… Mike azzera il cronometro e ci fa ripartire da capo. Conoscendolo, nessuno si aspettava che ci abbonasse l’errore. Un pò’ infastiditi, ricominciamo.

Avanti, indietro, avanti. Maciniamo chilometri di campo facendo le giocate preordinate. Passano 25 minuti e cade un altra palla. Cazzo! Dai ragazzi, mettiamoci un po’ di attenzione! Si ricomincia, 5 minuti e un’altra palla va a terra. Poi altra azione ed altro errore. Perdiamo la concentrazione e la cosa si fa difficile. Intanto Brewer sta lì, conta i minuti e non dice nulla, se non il cambio Carpente per Rotilio che aveva perso due palloni.

Passa il tempo e siamo sempre più stanchi. Sono un po’ scoraggiato. Dopo due ore e mezzo che siamo in campo, si sente tutta la fatica fisica e mentale. È veramente stressante. Cominciamo a litigare tra noi. Quando qualcuno sbaglia, gli altri 14 vorrebbero ucciderlo, finchè non ti trovi nella situazione opposta e capisci che se hai fatto un errore non è perchè eri distratto. Possono esserci mille motivi. E siamo stanchi.

Mike ci chiama per una pausa acqua. Ci spiega la storia del teatro, la prende lunga, ma alla fine conferma che se non riusciamo a fare 40’ senza perdere una palla non ce ne andiamo. Che palle, non ne vuole sapere di venirci incontro.
Saranno le 17 più o meno. Quindici minuti di stop e ripartiamo. I 15 giocano e la panchina a sedere.

Questa volta cambio strategia. Partendo da touche, chiamo la spinta e faccio avanzare, davanti non c’è nessuno e non è utile, ma almeno rischiamo di meno. Earl Va’a, l’apertura, chiama giocate facilissime, spesso non la passa neanche per non rischiare. Siamo decisi a fare quei maledetti 40’ di gioco senza perdere palla.

Nonostante tutto, l’allenamento va avanti ad oltranza. Siamo nervosi e tesi, tutti contro tutti, ma soprattutto tutti contro Mike. Ebbene si, il collante più forte della squadra è l’odio verso quel generale del diavolo.vAlla fine, dopo più di 4 ore e mezzo ce la facciamo. 40’ senza sbagliare, un eternità. Sono le 19 ed è finita. A livello mentale è stato molto peggio che giocare una partita. è stata durissima.

Quella squadra l’anno prima si era salvata alla penultima giornata di campionato, ad un anno di distanza avrebbe battuto il Benetton Treviso in casa loro. A qualcosa era servito insistere tanto sulla disciplina.

Matteo Mazzantini

Da giocatore, Mike Brewer è sceso in campo 32 volte con gli All Blacks tra il 1986 e il 1995. Successivamente ha allenato il Blackrock College, il West Hartpool, L’Aquila (con cui ha giocato tra l’88 e l’89) tra il 1999 e il 2001, il Belvedere, le Fiji e i Sale Sharks nel 2010.

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