In Nuova Zelanda ha fatto discutere la scelta di non cercare i pali per vincere contro gli Springboks. Che significato c’è dietro?
C’è stato un momento, prima delle ultime fasi di gioco, in cui Damian McKenzie si era schierato sullo stesso asse di TJ Perenara per ricevere un suo passaggio e tentare un drop, da quella posizione – dentro i 22 – nemmeno così difficile. Sarebbe stata la soluzione più logica, con gli Springboks schiacciati sulla propria linea di meta, ma non la più facile. E agli All Blacks, probabilmente, le cose facili non piacciono più. O meglio: dopo tutto il dominio degli ultimi anni, agli All Blacks le cose facili non bastano più.
Qualche secondo dopo, infatti, McKenzie ha abbandonato la posizione assunta in precedenza ed è tornato all’esterno di Beauden Barrett insieme agli altri trequarti. L’azione è continuata, ma nel frattempo la possibilità di tentare un drop e risolvere la questione una volta per tutte era già stata accantonata. Perché? Lo ha spiegato TJ Perenara nel post partita, facendo emergere un aspetto della mentalità di questi All Blacks che dall’esterno diventa complicato toccare con mano.
“La chiamata era di tentare un drop lì – si legge sul New Zealand Herald – Volevamo costruirlo, ma poi abbiamo notato di avere un 3 vs 2 all’esterno. E per me possono andare molte cose più storte in un drop piuttosto che in un 3 vs 2. Se l’avessimo eseguito, non avremmo avuto questa discussione sul drop. La decisione di provare a calciare è arrivata sicuramente […], ma guardando indietro penso ancora che giocare sia stata la chiamata più giusta”. E, per lui, anche la più facile (!). In pochi forse la penserebbero come il mediano di mischia degli Hurricanes.
I neozelandesi non hanno volutamente ignorato la possibilità di piazzare in mezzo ai pali, ma hanno semplicemente cambiato idea in corso d’opera. All’ottantesimo, dopo una decina di fasi, con una partita da vincere, davanti al proprio pubblico. Il riassunto della parole di Perenara sembra dirci che gli All Blacks non sono una squadra da drop, in fondo. Si può parlare di arroganza o supponenza? Oppure bisogna restare nell’ambito del coraggio e della fiducia nei propri mezzi? E poi: è realmente più rischioso tirare un drop da dentro i propri 22 piuttosto che allargare il gioco con una pressione del genere?
Alle prime due domande, di fatto abbiamo già risposto: vista la scioltezza con cui eseguono qualunque cosa, lo sfruttare una superiorità numerica all’esterno potrebbe essere considerato come un esercizio di normale amministrazione, reso più difficile dal fatto di essere in un contesto da do or die. Un’altra sfida da superare, nella lunga maratona contro se stessi che gli All Blacks stanno correndo allo specchio ormai da tanti anni; una sfida il cui obiettivo finale è cercare di eliminare tutte le variabili esterne che loro non possono controllare.
Anche questa volta sembravano esserci riusciti, ma a McKenzie è sfuggito banalmente il pallone a terra prima di passarlo a Ben Smith, libero di andare a schiacciare alla bandierina, se solo l’ovale gli fosse arrivato. Sarebbe stata una giocata straordinaria, un po’ come quella con cui i neozelandesi batterono l’Australia un anno fa, nei minuti finali. In quel caso filò tutto liscio, questa volta no. Può succedere, quando l’abitudine a stravincere rende superflua l’idea di un drop.
E se la stessa situazione dovesse ripresentarsi alla Coppa del Mondo del prossimo anno? Dan Carter, nel 2015, tirò fuori dal cilindro due sublimi calci di rimbalzo sia in semifinale sia in finale per togliere le castagne dal fuoco degli All Blacks. E da posizioni e in contesti difficilmente immaginabili. In confronto, il drop che sarebbe toccato ieri a Barrett e McKenzie era un calcio di rigore calcistico a porta vuota.
Certo, la risposta a quest’ultima domanda potrebbe essere altrettanto semplice: potrebbero non averne bisogno. Anche perché il grosso della sconfitta, naturalmente, è maturato negli ottanta minuti precedenti al possibile drop/non drop, tra errori difensivi marchiani, una superficialità non certo da prima squadra al mondo e il 2/6 di Barrett dalla piazzola.
Del resto, dalla Coppa del Mondo 2015 vinta ad oggi, in quante occasioni ai neozelandesi sarebbe servito un drop a tempo scaduto per vincere? Indoviniamo con una: nel terzo test contro i British & Irish Lions. Anche in quel caso, le variabili in gioco erano troppe per poterle controllare. E fu pareggio. Forse l’unica lezione nella loro immensa storia a non aver imparato.
Daniele Pansardi
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