Come nasce, cresce e si sviluppa l’amore incondizionato per il mediano di mischia degli Springboks
“Tante sono le forme che l’amore crea, che l’amore stesso è fantasia” cantava il Bardo, ossia quel seconda linea dello Stratford-upon-Avon chiamato William Shakespeare. Come dimostra il verso, conosceva bene il poeta il mondo del gioco di Rugby, che d’altronde dista da Stratford appena una mezz’oretta abbondante di automobile, qualcosa in più a cavallo.
Forme, per dire, se ne hanno di tutti i tipi sul rettangolo di gioco delimitato dalle H: dinoccolati e ingobbiti dinosauri della mischia ordinata, mercuriali pié veloci del gioco aperto, fisici poco più che ordinari in cervelli da ingegneri. E fra queste forme, ognuna delle quali vanta la sua schiera di aficionados (l’amore di cui si parlava prima) negli stadi e sui divani di tutto il mondo, c’è anche quella del folletto. Per dirla con il genio della lampada (proprio quello della Disney): fenomenali poteri cosmici, in un minuscolo spazio vitale.
In Sudafrica, dove le dimensione contano e nella palla ovale si producono in serie colossi dai fisici straripanti, nel corso degli anni si è sviluppato un certo feticismo per i piccoli: da Breyton Paulse a Cheslin Kolbe, passando per Gio Aplon e Brent Russell, sono in tanti ad aver vestito la maglia degli Springboks pur non arrivando al metro e ottanta.
L’amore dei tifosi Bokke si è recentemente rovesciato su un ragazzo di Nelspruit, passato dalla stelle alle stalle e poi di nuovo alle stelle: Faf de Klerk. E anche noi, che siamo tifosi esterni e neutrali, innamorati solo di quello che accade sui campi, abbiamo attraversato le tipiche quattro fasi del deklerkismo, ovvero di come si sviluppa un amore incondizionato per il mediano di mischia sudafricano.
“Ma chi cavolo è quel barattolo platinato?”
La carriera da professionista di de Klerk incomincia nel 2012, alla corte dei Pumas sudafricani. Gioca qualche partita in Vodacom Cup, quindi nel 2013 esordisce in Currie Cup. Che il ragazzo abbia dei mezzi si vede subito, ma ai più rimane sconosciuto.
Un più vasto pubblico incomincia ad accorgersi di lui dal 2014, quando passa ai Lions nel Super Rugby e prende in mano la squadra con Elton Jantjies, nella scalata dei biancorossi ai vertici del supercampionato australe.
E’ da questo momento che il grande pubblico incomincia a porsi la domanda che identifica la prima fase dell’innamoramento. Con sospetto, alzando il sopracciglio, vediamo questo giocatore di 173 centimetri frullare per il campo come una trottola.
Infatuazione
“Ma sai che non è mica male quel barattolo platinato?”
Nel 2016 arriva la stagione della consacrazione: i Lions sono la miglior squadra della stagione regolare e a colpi di faffismo arrivano in finale, dove verranno sconfitti dagli Hurricanes.
E’ la stagione della passione: l’infatuazione per Faf non conosce tregua, mentre il nostro scorrazza per tutti i campi dell’emisfero australe rimbalzando di placcaggio in placcaggio, trovando break affascinanti, venendo utilizzato anche in mezzo al campo.
I Lions giocano un rugby davvero interessante, e de Klerk è la dinamo che accende il motore, mentre Jantjies il pilota che lo guida verso dorati lidi. La stagione gli vale la convocazione e l’esordio con gli Springboks. Vince il suo primo cap contro l’Irlanda nel giugno del 2016, e gioca da titolare tutti i test del Sudafrica fino agli internazionali di novembre, ivi compreso il Rugby Championship.
Disillusione
“E’ troppo piccolo per giocare al rugby di oggi. Un sopravvalutato”
Dopo la sonora sconfitta nella finale del Super Rugby 2016 contro gli Hurricanes, tanti Lions vengono convocati da Allister Coetzee per il Sudafrica che sta costruendo. Ma durante il Rugby Championship qualcosa si rompe: gli Springboks perdono a Salta, in Argentina, e da lì infilano una impressionante serie di sconfitte che culmina con quella di Firenze, ad opera dell’Italia.
Non c’è Springbok che si salvi dalla debacle, eppure Faf, sottotono per tutto il tour di novembre, ne fa le spese. Coetzee non lo convoca neanche ai due training camp che seguono la trasferta in Europa. Si dice che Coetzee attribuisca al mediano di mischia grosse responsabilità nelle difficoltà dei suoi, e ne abbia criticato soprattutto il gioco al piede.
Da titolare a reietto, mentre nei Lions perde progressivamente rilevanza nei confronti del rivale per la maglia numero 9 Ross Cronjé, che gli ruberà anche la maglia della nazionale.
Siamo onesti, anche noi quella volta abbiamo pensato che in fondo, se non arrivi al metro e settantacinque, forse in questo rugby internazionale non ci puoi stare. E poi va bene quel pizzico di follia, il ritmo forsennato, e tutto quello che volete, ma de Klerk non ha nemmeno questo gran passaggio. Insomma, la delusione è tanta, ma quella più grossa deriva dal pensare di aver sbagliato giudizio.
Innamoramento
“Faf <3″
Faf va in esilio. Prendi i soldi e scappa: a 25 anni lascia il Sudafrica e si accasa a Sale. In Premiership, al primo anno, gioca 22 partite su 22, mettendo a segno anche 4 mete. Gli Sharks lo fanno anche calciare: 17 calci di punizione e 13 trasformazioni all’attivo, 94 punti alla fine della stagione. E’ un nuovo Faf, rinvigorito nel fisico e nello spirito.
Nel frattempo, la panchina di Coetzee salta. In Sudafrica arriva Rassie Erasmus, e il divieto autoimposto di non convocare giocatori militanti all’estero salta praticamente da subito. La nazionale che costruisce Erasmus è imperniata sulle peculiarità del deklerkismo: ritmo forsennato, attacca quando vuoi, calci nel box a profusione per tenere lontani gli avversari. E chi se ne importa se qualche passaggio finisce per le terre.
Faf instaura con Willie le Roux un rapporto di gioco che frutta al Sudafrica il trionfo nella serie contro l’Inghilterra a giugno. E’ il miglior giocatore delle tre partite. La catarsi si completa nel momento in cui placca Nathan Hughes, tre volte più grosso di lui, portandolo indietro di dieci metri. Continua a incantare anche al Rugby Championship, fra segnature individuali e grandissimi assist per i compagni.
Libero, pieno di fiducia e con l’ok dello staff tecnico, Faf torna a brillare e noi, spettatori del suo personalissimo circo, cadiamo definitivamente vittime di un amore incondizionato, perdonandogli anche il passaggio ai cartelloni pubblicitari a mezzo metro dalla linea di meta degli All Blacks.
Lorenzo Calamai
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