Cosa sappiamo di questa Georgia?

Il percorso dei Lelos negli ultimi anni, i loro punti e i loro punti deboli. Un focus sull’atteso avversario dell’Italia

georgia

Dalla fine della Coppa del Mondo 2015, chiusa al terzo posto nel proprio girone dopo le vittorie su Namibia e Tonga, la Georgia è scesa in campo trenta volte. Lo score con cui arriva alla “partita della vita” contro l’Italia è ragguardevole: 21 vittorie, 8 sconfitte ed un pareggio. Nello stesso lasso di tempo, e giocando lo stesso numero di match, gli azzurri hanno ottenuto 25 sconfitte (quasi tutte molto pesanti) e 5 vittorie, favorendo l’esaltazione dei caucasici e offrendo una sponda favorevole per le richieste del CT Milton Haig di sostituire l’Italia nel Sei Nazioni con i Lelos, o di implementare un sistema di promozioni e retrocessioni per il torneo più antico del mondo ovale.

Quei numeri, come noto, nascondono però alcuni dettagli non da poco, visto che la Georgia dal 2016 ad oggi ha affrontato solo in rare occasioni squadre di un livello superiore (ma in questa sede non parleremo delle storture del calendario internazionale): nella fattispecie, si è trattato di Giappone, Fiji, Galles, Scozia e Argentina. Contro questi avversari, la Georgia ha conquistato una vittoria (nelle Fiji nel 2016), una grande prestazione contro i Dragoni a Cardiff e un totale di sei sconfitte, alcune delle quali piuttosto nette. L’Italia, al contrario, ha giocato contro delle Tier 2 sette partite su trenta, vincendone cinque e perdendo malamente contro Tonga nel 2016 a Padova e contro le Fiji a Suva nel 2017.

– Leggi anche: la formazione della Georgia

Il cammino caucasico

Se la Georgia reclama a gran voce un posto nel rugby d’élite europeo, insomma, è dovuto più che altro alla duratura e inarrestabile crisi di risultati dell’Italia piuttosto che per reali meriti propri, almeno per il momento. A Firenze i Lelos avranno la straordinaria opportunità di alzare la voce in modo definitivo, ma risultati e prestazioni degli ultimi due anni non sembrano restituire l’immagine di una nazionale maggiore in straordinaria ascesa, o comunque così competitiva da avere gli argomenti necessari per scalzare l’Italia dal suo posto nel Sei Nazioni (ferme restando le gravi mancanze del movimento azzurro).

Prendiamo il tour nel Pacifico del giugno scorso, per esempio, a cui non hanno partecipato Nariashvili e Aprasidze. I Lelos hanno confermato la propria superiorità sulle Tonga, seppur di un solo punto, ma hanno poi perso malamente sia contro le Fiji (37-15) sia contro il Giappone (28-0). È pur vero che per le squadre europee i tour estivi rappresentano sempre un momento molto particolare della stagione, a cui spesso non arrivano al massimo, ma in scontri diretti del genere – tra le Tier 2 più quotate di Ovalia – ci si poteva aspettare di più dai Lelos.

In casa, nell’ultimo triennio, è andata ovviamente meglio (da segnalare un autorevole 54-22 sul Canada del 2017) ma non sempre i georgiani hanno impressionato contro avversari sulla carta più inferiori di loro. Nel 2017 è arrivata per esempio una risicata vittoria di un punto sugli Stati Uniti, mentre lo scorso marzo hanno dovuto sudare più del previsto per regolare la Spagna a Tbilisi.

L’highlight in positivo degli ultimi anni per i georgiani resta invece la bella prestazione sfornata alla già citata prestazione sfornata contro il Galles al Principality Stadium. A prescindere dalla formazione rimaneggiata scelta da Gatland nell’occasione, per i Lelos quel 13-6 maturato a Cardiff con assalto finale alla linea di meta rimane un biglietto da visita molto rilevante, anche se forse con i contorni di un exploit difficilmente ripetibile. Ma agli azzurri, negli ultimi tempi, non è riuscito nemmeno quello.

I punt forti

Basta digitare le parole “georgian scrum” su YouTube per capire. Non è un mistero che la Georgia abbia la mischia più efficace e dominante del pianeta, e alcuni dei piloni più abili e impressionanti nel gestire gli ingaggi con il pack avversario.

“Non so cosa gli abbiano dato da mangiare quando era bambino, ma è stato il più forte pilone destro che abbia mai incontrato. Era come cercare di combattere un trattore. Dovevo dare tutto me stesso per cercare di sollevare quel ragazzo”. Le parole provengono dalla biografia di Wyatt Crockett e si riferiscono a Levan Chilachava, che ha messo in croce il pilone degli All Blacks nella partita di Coppa del Mondo in Inghilterra. Il neozelandese ha poi aggiunto: “Se la mischia fosse uno sport a parte, la Georgia sarebbe sempre campione”.

Chilachava, 27enne passato al Montpellier in estate, partirà solo dalla panchina perché è appena rientrato da un infortunio, ma al suo posto giocherà Davit Kubriashvili, 32enne con dieci anni di esperienza in Top 14 e non meno preoccupante per Andrea Lovotti. Dall’altro lato, il titolare Mikheil Nariashvili (anche lui del Montpellier) sarà regolarmente in campo e ingaggerà una sfida molto interessante con Simone Ferrari.


Lo scorso inverno, Eddie Jones convocò i georgiani addirittura in Inghilterra per una sessione di allenamento
con la sua nazionale. E il pack inglese si prese un paio di discrete arate. Con un coach rispettato e dal grande curriculum come Graham Rowntree a guidare il reparto, le cose potrebbero ancora migliorare.

Al di fuori dalle fasi statiche, la Georgia può mettere in difficoltà qualunque squadra sul piano fisico e nelle collisioni. I Lelos sono rinomati per la propria ruvidità a contatto, tant’è che la strategia offensiva si fonda – naturalmente – soprattutto sul soppiantare dal punto di vista fisico l’avversario lavorandolo ai fianchi.

La squadra di Haig, inoltre, non punta sempre ad occupare tutta l’ampiezza del campo con i propri otto uomini; solo di rado uno dei flanker si schiera insieme ai trequarti in posizione più allargata, ma la tendenza è quella di convergere nella porzione centrale del campo per alimentare il più possibile un gioco molto verticale.

Nel reparto dei trequarti, invece, tutti gli occhi saranno puntati su Soso Matiashvili. Estremo classe 1993, Matiashvili è l’unico ad avere nel proprio repertorio cambi di direzione, sidestep e la velocità di punta per creare qualcosa di diverso nella sua squadra. La Georgia di solito non sembra trovarsi a proprio agio nel ripartire dalla propria metà campo a spron battuto, ma se la palla è in mano a Matiashvili la miccia potrebbe accendersi da un momento all’altro.

Punti deboli

Potrebbe sembrare uno stereotipo o un luogo comune, ma la Georgia effettivamente fa ancora fatica a sviluppare un gioco offensivo armonico e totale. Non è solo una questione di come viene tecnicamente trattato l’attrezzo, ma anche delle scelte che vengono compiute palla in mano e per le linee di corsa tracciate, spesso troppo prevedibili per le difese avversarie.

Raramente si vede qualche seria variazione sul tema nello spartito offensivo, anche perché né il mediano d’apertura titolare (il modesto Khmaladze) né i centri di solito hanno la qualità e la fantasia per sparigliare le carte con guizzi individuali (la cerniera 12-13 scelta da Haig con Mchedlidze e capitan Sharikadze sarà tuttavia inedita).

Quando provano a giocare a ridosso della linea del vantaggio, i georgiani inoltre muovono il pallone sempre troppo lontano dalla stessa, non complicando eccessivamente la vita ai difensori che possono individuare l’uomo da marcare con anticipo (un vantaggio per le difese in particolare da prima fase).

L’altro grande problema emerso negli ultimi tempi è l’incapacità di gestire il possesso quando la Georgia è chiamata a farlo nella propria metà campo, nello specifico dentro i propri 22. Il Giappone ha saputo esporre alla luce del sole queste difficoltà dei caucasici, marcando ben due mete da palloni recuperati vicino all’area di meta nel 28-0 di giugno.


Qui la Georgia perde palla in modo fin troppo banale per essere vero. E questo è solo il replay 
di quanto accaduto pochi minuti prima.

L’Italia, in un certo senso, può prendere spunto dai nipponici per come questi ultimi hanno confinato i Lelos nella propria metà campo grazie ai tanti calci di spostamento fatti per guadagnare territorio. Non è la tattica più congeniale agli azzurri, ma potrebbe essere necessaria per mettere sotto pressione gli avversari.

L’altra carenza importante dei georgiani, come già detto, è la loro poca precisione nel gioco al largo e nel compiere le scelte giuste al momento giusto, soprattutto in situazioni di superiorità numerica.

A Matiashvili basterebbe fissare l’ultimo uomo dello schieramento difensivo spagnolo per creare un 3 vs 1, considerando anche la sua rapidità. Invece spara subito il pallone verso il suo compagno più esterno e lo fa anche male. Non arriverà la meta, un po’ incredibilmente.

Pregi e difetti della Georgia, insomma, sono piuttosto evidenti. Contro una difesa solida e rocciosa sui punti d’incontro, l’Italia dovrebbe far valere la sua proverbiale superiorità tecnica e atletica dei suoi uomini migliori, e puntare su un gioco dinamico e senza eccessivi rallentamenti per non rischiare di impelagarsi in una lotta corpo a corpo che non vedrebbe gli azzurri per forza favoriti.

Una difesa organizzata (come quella vista per diversi tratti contro l’Irlanda) e in cui tutti svolgono individualmente il proprio lavoro (come non si è visto invece contro l’Irlanda) potrebbe bastare per fermare un attacco tutt’altro che travolgente nel complesso, che potrebbe trovare sfogo solo con qualche iniziativa individuale. Basta volerlo. E se c’è una partita che l’Italia deve vincere prima di tutte le altre, è proprio quella contro se stessa. Il resto a quel punto diventerebbe molto più facile.

Daniele Pansardi

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