Il successo contro la Georgia ha confermato – nel bene e nel male – quello che sapevamo dell’Italia
Battuta la Georgia, archiviate le manfrine su chi meriterebbe di giocare nel Sei Nazioni ed espugnata una Firenze ben poco azzurra sugli spalti, l’Italia può tornare a concentrarsi sull’intricato percorso da affrontare davanti a sé. Perché negli ultimi mesi, un po’ inevitabilmente, l’attenzione si era spostata solo sulla sfida decisiva contro gli agguerriti Lelos, che pure O’Shea ha detto di considerare “una partita molto importante per continuare nel nostro progetto” nella conferenza stampa post partita. Lui che ha sempre rivolto lo sguardo al disegno generale del suo lavoro da CT, piuttosto che al singolo match.
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E quindi, questa Italia?
È assodato che l’Italia abbia dimostrato anche sul campo di essere superiore alla Georgia. Lo si diceva con convinzione alla vigilia, ma forse con qualche timore di poter essere smentiti durante la partita. Nonostante lo svantaggio iniziale, gli azzurri hanno effettivamente messo sotto i georgiani non appena hanno trovato continuità in attacco e alzato la qualità della circolazione dell’ovale, evidenziando delle competenze e una struttura di gioco di livello più elevati a cui la Georgia non è riuscita quasi mai a trovare una risposta.
Più che nella costruzione della fase offensiva e nel modo in cui hanno aggirato la difesa georgiana, la differenza più rimarchevole è emersa nelle rimesse laterali e in maul. Budd&co. hanno chiuso con un perfetto 10/10 sui lanci a favore, quasi una rarità per la nazionale, mentre hanno rubato una touche agli avversari e ne hanno sporcata un’altra, sempre con Budd.
In più, ogni tentativo di maul georgiana è stato disinnescato con autorevolezza, soprattutto in quelle fasi del secondo tempo in cui gli azzurri non hanno saputo tenere in mano il pallino del gioco. Nessun carrettino ospite ha mai impensierito l’Italia, che al contrario ha sempre colpito nel profondo della loro difesa con le maul. Alla vigilia, non tutti avrebbero scommesso su questo trend.
Non è tutto oro
Un’altra opinione comune, al fischio finale, era che il 28-17 maturato all’ottantesimo fosse troppo risicato per l’Italia. Chissà perché, poi. Gli azzurri non hanno saputo andare oltre i propri acclarati limiti ad un certo punto della sfida, e se ciò non accade contro la Georgia diventa difficile pensare che una nazionale come quella di Conor O’Shea possa ottenere di più. Come nel secondo Test Match in Giappone, quella di sabato pomeriggio è stata una vittoria normale. Avrebbe potuto essere eccezionale con un altro paio di mete, con una quarantina di punti a referto, ma tutto questo semplicemente non è nelle corde degli azzurri (e chissà se lo sarà mai).
Più che una critica, è una constatazione. Ad esempio, l’Italia, pur avendo brillato in fase di costruzione del gioco (diciamo nella zona tra la linea di metà campo e i 22 georgiani), ha confermato le proprie difficoltà nel gestire i momenti a lei favorevoli e a prendere le scelte giusto al momento giusto. Come ha detto anche Allan ai nostri microfoni in zona mista, “a volte possiamo fare un passaggio in più invece di andare a sbattere, e potevamo avere più pazienza dentro i 22”. Nel rispetto del piano di gioco, insomma, l’Italia è stata efficace; nelle interpretazioni personali, probabilmente spesso ha prevalso la voglia di strafare o limiti individuali nelle letture di gioco (la meta divorata da Tommaso Castello rientra invece in un’altra categoria, non ancora identificabile).
Risuonano in continuazione, invece, i campanelli d’allarme per la fase difensiva. Da una squadra che decide di non contestare quasi mai i punti d’incontro, ci si aspetterebbe quantomeno una buona ridistribuzione della linea difensiva e un’occupazione degli spazi ordinata. Gli azzurri tuttavia sono andati in eccessiva difficoltà nella difesa al largo, certamente non per meriti di una Georgia poco creativa in attacco ma quasi esclusivamente per propri errori. I Lelos non ne hanno saputo approfittare, ma gli australiani potrebbero essere meno clementi sabato prossimo.
Ma tutto torna
L’Italia, insomma, ha fatto il suo. Senza strafare, senza prendersi eccessivi rischi, o comunque li ha presi in misura proporzionale a quelli corsi per esempio contro il Giappone sempre nel secondo Test: in quell’occasione, i nipponici (in casa) seppero rimontare da 3-19 fino al 22-25 finale, mentre questa volta la Georgia da 28-10 ha accorciato solo sul 28-17 (del resto, i Lelos sono una squadra abbondantemente inferiore pure alla nazionale del Sol Levante).
La costante, in tutto questo, sembra invece il modo in cui l’Italia gestisce il risultato di vantaggio, o in generale come l’Italia vada in apnea quando le cose iniziano a giraremale. È successo nei due Test in Giappone e pure sabato a Firenze, ovvero nelle tre partite che da inizio anno erano considerate (a ragione) quelle decisive per capire qualcosa di più della nazionale. Nella prima gli azzurri sono stati travolti dagli eventi, mentre nelle altre due hanno saputo resistere ma senza mostrare né sangue freddo né straordinarie capacità di nascondere l’ovale agli avversari.
La somma algebrica di tutte queste caratteristiche definisce l’Italia di oggi: una squadra di seconda fascia, nominalmente indicata come Tier 1 ma a tutti gli effetti una Tier 2. E perlomeno sembra essere la più forte e organizzata di questo gruppo. Niente che non si sapesse già, ma la vittoria contro la Georgia – nel bene e nel male – lo h a confermato.
Daniele Pansardi
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