Il momento non facilissimo del rugby australiano, verso la sfida dell’Euganeo di sabato pomeriggio
Quando si parla del rugby australiano e delle oggettive difficoltà – sia in termini di risultati che di coinvolgimento del pubblico locale – che l’union sta incontrando attualmente, almeno rispetto ai momenti di fulgido splendore del passato, prima di sbilanciarsi in giudizi trancianti, vale sempre la pena dare uno sguardo al frastagliato ed intrigante panorama sportivo che contraddistingue la terra dei canguri.
Rispetto ad anni fa, l’ovale non deve più competere solamente con l’Aussie Rules, sempre predominante a livello nazionale (con l’AFL che dal 1989 si è espansa oltre lo stato di Victoria), ed arginare la crescita esponenziale del league, ma ha la necessità di guardarsi le spalle con grande circospezione anche dal calcio e dal basket, senza dimenticare le presenze ingombranti di discipline di tradizione notevole come nuoto, cricket e surf, oltre al netball. Il soccer, nonostante una generazione di talenti meno incisiva sulla scena globale rispetto a quella di metà anni ’00, cresce a vista d’occhio in ambito domestico (l’A-League, massimo torneo locale, ha già approvato un’estensione da 10 a 12 team per il ’19/’20), con il derby di Sydney, tra Sydney FC (che fu di Del Piero) e Western Sydney Wanderers, che recentemente ha attirato all’ANZ Stadium oltre 61mila spettatori. Il basket vola, anche grazie alla spinta di diversi talenti protagonisti in NBA, come la stella dei Philadelphia 76ers Ben Simmons. Il panorama natatorio non è quello formidabile dei primi anni ’00, ma può comunque contare su figure di spicco come le sorelle Campbell, Mack Horton e Kyle Chalmers, questi ultimi entrambi campioni olimpici a Rio.
Muoversi in un contesto del genere, dunque, ancor più in un paese dalla straordinaria cultura sportiva ma abitato da “soli” 25 milioni (quindi con un “bacino d’utenza” limitato), non è affatto banale per il rugby union che vive un periodo di appannamento.
Il post mondiale
L’entusiasmante cavalcata britannica nella Coppa del Mondo 2015, sublimata dal memorabile successo di Twickenham ai danni dei padroni di casa inglesi e conclusasi solo in finale, al cospetto di una famelica Nuova Zelanda, è stata l’ultimo grande lampo del rugby australiano, che dal 2016 in poi sta vivendo un periodo non esattamente sensazionale.
I vicecampioni del mondo in carica, dopo la più recente rassegna iridata, hanno archiviato 22 sconfitte, a fronte di 40 gare giocate (2 i pareggi, 16 le vittorie). Una situazione ancor meno incoraggiante se si estende l’analisi anche ai risultati delle franchigie del Super Rugby. Nelle ultime tre stagioni, infatti, su 24 posti complessivi a disposizione nella post season del torneo australe, solamente 3 (Brumbies nel ’16 e nel ’17, Waratahs nel ’18) sono stati occupati da team della ARU, con la semifinale di quest’anno dei Waratahs (persa malamente contro i Lions) come miglior traguardo raggiunto.
Un 2018 deficitario
Quella di Padova contro l’Italia sarà la dodicesima partita stagionale per i ragazzi di Michael Cheika, che sabato tornerà laddove nel ’99 ebbe inizio, con il Petrarca, la sua brillante carriera da coach. Il bilancio complessivo, attualmente, è piuttosto negativo, anche ponderando la forza notevole degli avversari affrontati. Sin qui, infatti, sono arrivate ben 8 sconfitte (5 delle quali, va detto, patite contro All Blacks ed Irlanda, prime 2 del ranking), assolutamente non controbilanciate adeguatamente dai 3 successi, pur di rilievo, ottenuti contro Irlanda e Sudafrica (in casa) ed Argentina (rimontata nella pazza notte di Salta).
Tale ruolino di marcia ha generato diverse polemiche attorno alla figura dell’head coach di origini libanesi, già pesantemente sotto accusa dalla stampa down under prima della vincente trasferta in casa dei Pumas ad inizio ottobre. Il clamoroso secondo tempo in terra andina, valso uno dei più incredibili ribaltoni ovali recenti, aveva allontanato momentaneamente le nubi sopra la testa dei Wallabies, tornate tuttavia minacciose dopo i due k.o. filati con All Blacks e Galles.
Le rassicurazioni della Castle
Comprendendo il momento complesso per giocatori e staff tecnico, a distanza di pochi giorni dall’opaca sconfitta (9-6) di Cardiff, Raelene Castle, CEO di Rugby Australia, ha scelto di spendere parole importanti in favore di Cheika, confermando all’ex Leinster la fiducia della federazione fino al prossimo mondiale. “Il contratto di Michael Cheika è tale per cui arrivi sino al prossimo mondiale. C’è frustrazione generalizzata in questo momento, perché in Galles tutti si sono impegnati al massimo, la partita poteva svoltare in ambo i sensi e ci è andata storta. Noi comunque sosteniamo Michael ed il suo staff. A fine anno, assieme, faremo una revisione per capire in quale aree dovremo lavorare di più in vista della Coppa del Mondo”, ha dichiarato ad AFP.
L’importanza e i personaggi della gara con gli Azzurri
La sensazione, però, è che per l’Australia una vittoria a Padova, possibilmente in larga misura, non sia negoziabile. Una situazione, dunque, molto scomoda per gli Azzurri, che si troveranno di fronte un team ultramotivato. Una squadra, tra l’altro, profondamente rinnovata rispetto all’uscita in Galles, con la presenza del veterano Adam Ashley-Cooper, assente da due anni dall’arena internazionale, e due debutti degni di nota. All’ala, in Veneto, sarà la prima volta per Jordan Petaia, formidabile trequarti classe ’00 visto all’opera con grande efficacia ai recenti mondiali under 20, che diventerà il terzo giocatore più giovane della storia ad indossare la divisa dei Wallabies. Esordio, in mediana, anche per il consistente numero 9 dei Waratahs Jake Gordon, che dopo aver battuto la concorrenza di Phipps con il club del New South Wales, sembra aver superato il compagno di reparto anche con la maglia della nazionale. Chi non esce mai dalla distinta è la coppia di fetchers più temibile d’Ovalia: Pocock e Hooper, infatti, guideranno la terza linea australe, reparto principe del team, con Foley e Folau, invece, che restano nel XV di partenza, pur cambiando numero. Il primo fa spazio a To’omua in mediana, prendendosi la numero 12, il secondo torna all’estremo, con Haylett-Petty inizialmente in panchina (Cheika teme relativamente la battaglia aerea con gli Azzurri, e rinuncia così a uno dei due ricevitori prinicipe in tale situazione).
Una vittoria come trampolino per Londra
Uscire dall’Euganeo con il bottino pieno, inoltre, è una conditio sine qua non per poter preparare con un minimo di serenità l’ultimo attesissimo test autunnale, a Twickenham, contro l’Inghilterra. Una partita che, come accaduto alla Coppa del Mondo 2015, in caso di vittoria (mancata lo scorso anno, nell’ultimo precedente stravinto dai britannici), potrebbe rappresentare la svolta di cui il movimento ovale australiano necessità per tornare a fare la voce grossa nel variegato panorama sportivo nazionale.
Matteo Viscardi
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