I problemi dell’Italia quando bisogna marcare

Contro l’Australia ce ne sono stati diversi. Ne abbiamo raccolti alcuni tra i più importanti, che hanno segnato la partita degli azzurri

dean budd italia

ph. Sebastiano Pessina

Uno dei grandi problemi dell’Italia emersi in tutta la sua gravità contro l’Australia è stata la scientifica capacità di non concretizzare nessuna delle occasioni create durante la partita. Pur producendo una notevole mole di gioco, gli azzurri non sono mai riusciti a superare i propri limiti una volta arrivati dentro gli ultimi dieci metri avversari: sostegni in ritardo, poca velocità nell’uscita della palla, posizionamento non sempre ideale dei ricevitori e letture non sempre perfetta della situazione.

La retroguardia australiana, da par suo, non ha certamente sfigurato ed è stata spesso abile nel ripiegare velocemente o a ricomporsi, ma non sembrava così straordinaria da non concedere nemmeno una meta in situazioni di difesa ad oltranza sugli ultimi 10 metri. Vediamo nel dettaglio alcune situazioni che l’Italia non ha gestito al meglio.

Sostegni in ritardo

Gli azzurri muovono bene palla prima in mezzo al campo con gli avanti, per poi accelerare con una “ondata” dei trequarti all’esterno ben eseguita da Castello, Campagnaro e Bellini. Si entra nei 22: Tebaldi va da Budd che va a sbattere contro Dempsey e Pocock, con il secondo che con la solita rapidità impressionante va a contendere il pallone.

Ghiraldini e Zanni sono le prime persone ad arrivare sul punto d’incontro, ma partono da troppo lontano e soprattutto troppo in ritardo; in casi come questi, sarebbe indispensabile che gli azzurri si ritrovino velocemente nel classico pod di tre avanti in cui le squadre generalmente organizzate al giorno d’oggi, considerando le croniche difficoltà dell’Italia nel far uscire rapidamente l’ovale dalle ruck. Con uno come Pocock (o Ardie Savea, tra due giorni) in giro poi…

Poi magari Dempsey, il placcatore, sarebbe dovuto rotolare via,
ma Gauzere non era esattamente in forma quel giorno

Staticità e lentezza

Nel secondo tempo, l’Italia insiste con maggiore vigoria e continuità, nonostante le tante touche sprecate per incomprensioni nelle chiamate o per scelte facilmente leggibili dai Coleman e i Rodda di turno. Ciò nonostante, gli azzurri mettono in seria difficoltà gli aussie, sempre fino ai fatidici 5 metri. Quello che contraddistingue l’Italia nella lotta corpo a corpo è spesso la staticità degli uomini in ricezione, che però è solo la conseguenza di una causa nota: la fatica bestiale nel vincere la battaglia sui punti d’incontro quando la squadra avversaria fa di tutto per sporcare il possesso azzurro.

Le due cose comunque si mescolano: se la palla uscisse velocemente, Steyn e Negri potrebbero essere lanciati dentro ad una velocità superiore. Dall’altra parte, nessuno si propone dal lato sinistro di Tebaldi per chiamare un pallone con una linea di corsa più invitante. La carica di Steyn, pur essendo da fermo, sarà comunque positiva perché crea avanzamento, ma sono le qualità di ball carrying del sudafricano a fare la differenza. Non la scelta in sé.

Leggere la situazione

L’Australia è in 14 per il cartellino giallo a Scott Sio, l’Italia ha una mischia con introduzione a favore quasi sotto i pali e si trova nella situazione ideale: può decidere su quale grande porzione del campo giocare e sfruttare la superiorità numerica. Le speranze, però, si infrangono non appena Steyn alza il pallone per Palazzani, che decide di andare a sbattere subito, vanificando la possibilità di manipolare al meglio la difesa.

Il problema è che il mediano di mischia non aveva grandi alternative a disposizione. Castello e Canna sono schierati troppo piatti e non offrono profondità, ideale per avere più margine di manovra contro una difesa salita con grande velocità come quella australiana. Per di più, i due giocatori delle Zebre avrebbero attaccato pure la stessa linea, semplificando il lavoro agli avversari. Non la migliore delle strategie, considerando il momento.

Poca lucidità

Non sempre, poi, gli azzurri hanno dimostrato di avere la giusta lucidità nel compiere le scelte giuste in una frazione di secondo, anche dal punto di vista individuale. Tommaso Castello, per esempio, è andato solo molto vicino a mettere la ciliegina sulla torta che aveva lavorato grazie ad un break a 30 metri dalla linea di meta, ma proprio sul più bello ha deciso di forzare un offload troppo difficile per un Pasquali puntuale nel sostegno.

Ha peccato di eccessiva foga e voglia di strafare invece Braam Steyn, forse il miglior azzurro del tour di novembre finora per l’altissimo work rate e l’incidenza palla in mano in attacco. Proprio quando l’Italia sembrava aver costruito un buon momentum in attacco, con una bella carica centrale di Polledri, il sudafricano si inserisce sulla traiettoria di un passaggio che molto probabilmente non era diretto a lui (bensì a Canna, dietro di lui), entrando a tutta velocità. Troppa, perché infatti Steyn si ritrova davanti rispetto all’ovale e non riesce a controllarlo, innescando il contropiede di Folau.

Daniele Pansardi

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