Il 22 novembre 2003 l’Inghilterra conquistava il trofeo più ambito grazie anche al piede del suo numero 10
“Per me, la bellezza non è il drop allo scadere della finale 2003: è il percorso che ci ha portato lì, il modo in cui ci siamo arrivati. È cominciato tutto con una rimessa laterale. Il punteggio era di parità, 17 a 17, la squadra australiana aveva appena segnato una punizione e restavano, non so, forse cento secondi per vincere la partita… già è difficile in campo internazionale, ma con gli australiani e in Australia! Negli ultimi secondi della Coppa del Mondo, potete scommetterci che sarebbero stati pronti a tutto. C’è stato bisogno di trovare una soluzione, la migliore delle soluzioni. Ed è qualcosa che abbiamo fatto tutti assieme, tutti sulla stessa lunghezza d’onda. Ciascuno sapeva quel’era il suo compito. Si è cominciato con una rimessa in gioco, che abbiamo calciato in un angolo del loro terreno: sapendo che sarebbero andati a cercare la linea del fuori, e che avremmo avuto la palla a 45 metri dalla loro linea di meta. Di colpo, dalla rimessa laterale, i nostri avanti hanno guadagnato il pallone perché potessimo avanzare fino alla loro metà campo. Su una touche è il tallonatore che deve lanciare l’ovale, mentre gli alti avanti sollevano il saltatore. Lo hanno fatto bene, con precisione. Dopo mi hanno passato il pallone, e io l’ho passato a quello che mi stava accanto, che l’ha preso ed è avanzato. Tutti i giocatori della nostra squadra erano nella stessa zona. E’ impossibile spiegare come sia potuto accadere, ma noi quindici giocatori ci muovevamo insieme come se seguissimo un copione già scritto. Era strano. Il nostro mediano di mischia ha fintato il passaggio per provocare una breccia nella linea difensiva avversaria. Ha tentato l’uno contro uno per andare a segnare la meta, ma non è andata bene. Subito dopo, gli avanti hanno provocato un raggruppamento per continuare ad avanzare. Martin Johnson, il capitano, ha deciso di prendere il pallone ancora una volta perché vedeva che la difesa era salita per impedire qualsiasi tentativo di drop. In quei momenti, a ogni secondo, ero perfettamente cosciente che ero io, l’ultimo anello della catena, a dover calciare il pallone. Ed è andata proprio così, appena trenta secondi prima del fischio finale! Per me, la bellezza bisogna vederla in tutto lo svolgimento dell’azione, non nel gesto finale. Quello che è davvero bello è questa capacità di agire, di connettersi con gli altri, di trovare un modo di comunicare con loro più profondo delle parole e dei segni. Questo è il risultato degli allenamenti, naturalmente, ma anche del tempo che abbiamo passato insieme al ristorante, in albergo… La bellezza non è un gesto isolato, ma la connessione di tutti i giocatori.”
Jonny Wilkinson
Da Rugby Quantistico – un dialogo tra sport e fisica, ADD Editore, Italia 2013
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