Benetton e Zebre sono in piena corsa per la qualificazione ai quarti, e dice molto della loro crescita
L’ultima volta che il Benetton aveva battuto una squadra inglese in una competizione europea era il 4 dicembre 2004. Si giocava Benetton-Bath, davanti ai circa 4000 spettatori dello stadio Monigo, cifra più o meno simile a quella di sabato scorso per gli Harlequins (4600 ca.). I biancoverdi vinsero 29-23, con 24 in campo di Marius Goosen, una mediana composta da Troncon e Franco Smith, Brendan Williams come estremo, Ongaro in prima linea e Parisse in panchina. Non servì una meta allo scadere, bensì una gestione del cospicuo vantaggio accumulato nel corso della partita (un massimo di 16 punti di distanza tra le due squadre).
Fine del momento amarcord. Torniamo al presente, cercando di capire cosa ci può dire la splendida vittoria di sabato del Benetton, facendo un ragionamento più ampio. Due le opzioni:
a) che il movimento italiano può battere uno storico club inglese solo una volta ogni quattordici anni? Si tratta di una tantum?
b) è un’altra legittimazione del percorso iniziato ormai due anni fa dal Benetton?
Propendere per la a) significherebbe ignorare il lavoro svolto da Kieran Crowley e dal suo staff dal momento del loro insediamento, e la crescita costante avvenuta nel corso di queste stagioni. La vittoria di sabato, simbolicamente, è invece solo un altro passo dolomitico che il Benetton ha scollinato, forte dei tanti chilometri e delle fatiche accumulate fino a questo momento. Non solo fisiche, ma anche mentali.
Segnare una meta in 14 contro 15, con il punteggio di 21-21, all’ultima azione utile è sintomo di una notevole maturità, che forse gli stessi biancoverdi stanno imparando a conoscere in questi mesi. Non a caso, nel post partita Barbini ha detto – quasi con un senso di colpa – che “solitamente le partite nel finale le perdiamo” (anche se in questa stagione il Benetton aveva già vinto allo scadere contro Cardiff), a sottolineare un cambiamento avvenuto anche nella consapevolezza degli stessi giocatori.
A tutto questo, va aggiunta anche la particolare atmosfera che sembrava avvolgere il Monigo, vuoi per il calore del pubblico, vuoi per la riapertura della nuova tribuna, vuoi per la volontà dei giocatori di vincere per il loro compagno Nasi Manu. Facile pensarlo a posteriori, ma difficilmente il Benetton avrebbe potuto perdere quella partita. I Leoni dovevano portarla a casa, a qualunque costo: si spiega così quell’haywardata (s.f. – Termine per indicare il tipico zig zag di un estremo tra i malcapitati difensori avversari, a velocità non sostenuta ma con grandi risultati), l’offload quasi disperato di Luca Sperandio e la finalizzazione sontuosa di Monty Ioane (breve parentesi sull’australiano: quante volte , su un campo da rugby, si è sentito un incitamento di tutto lo stadio ad un singolo giocatore?). Forse era destino, ma il Benetton ha saputo sfruttare tutte le occasioni come poche volte gli era capitato finora.
Qualificazione alla portata
Dieci punti in tre partite rappresentano un bottino di tutto rispetto ovviamente, ma la strada se possibile si fa ancora più in salita ora. Delle prossime tre partite, solo una sarà in casa: contro Agen. E i cinque punti, in quel caso, non potranno essere negoziabili. Più difficili gli impegni in casa del Grenoble e, ovviamente, al Twickenham Stoop contro gli Harlequins tra una settimana.
Ma quando il Benetton di inizi anni 2000 vinceva con più regolarità a livello internazionale, capitò anche che gli Arlecchini venissero battuti due volte nella stessa edizione del torneo. Era l’edizione dell’Heineken Cup 1999/2000, e i trevigiani guidati da Moscardi, Properzi, Checchinato, Dallan e Pilat sbancarono prima Londra 19-22 per poi concedere il bis a Monigo (24-23).
Questa squadra, molto efficace palla in mano e in difesa anche se ancora discontinua nell’arco degli ottanta minuti, può riuscire di nuovo nell’impresa? Le potenzialità ci sono, come abbiamo visto. Una sconfitta, in ogni caso, non comprometterebbe ancora nulla, soprattutto se dovesse arrivare con un punto di bonus.
Lo stesso discorso non può essere applicato alle Zebre, che con un autorevolezza hanno portato via cinque punti dall’insidiosa trasferta in Russia contro l’Enisej. Ai ducali serve lo stesso bottino anche sabato prossimo al Lanfranchi, obiettivo ampiamente raggiungibile considerando l’esito dell’ultimo match. A quel punto, la doppia sfida con La Rochelle – che dovrebbe qualificarsi aritmeticamente in casa contro Bristol – diventerebbe davvero affascinante.
Ed è qui, probabilmente, il vero cambiamento. Uno dei successi di Benetton e Zebre dell’ultimo anno è la possibilità di poter ragionare in ottica qualificazione, cosa impensabile nei pochi anni in cui le due franchigie italiane sono state competitive in Challenge Cup.
Nel 2015/2016 le Zebre di Gianluca Guidi raccolsero tre vittorie su sei, è vero, ma senza mai conquistare un bonus offensivo e chiudendo con soli 13 punti, bottino che potrebbe essere già superato dai ducali sabato prossimo. Nel 2016/2017 il Benetton vinse due partite a dicembre contro Bayonne, ma non diede mai l’impressione di poter andare oltre quegli 8 punti raccolti a fatica. A prescindere da come andrà a finire – che non vuol dire che andrà tutto bene in ogni caso -, la musica è davvero cambiata.
Daniele Pansardi
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