L’apertura inglese ha fatto il bilancio dell’anno appena concluso proiettandosi verso l’obiettivo iridato
Un anno sulle montagne russe. Owen Farrell ha festeggiato la fine del 2018 un paio di giorni fa con un’intervista rilasciata al Guardian nel quale ha stilato un po’ il bilancio di ciò che c’è sono stati gli ultimi dodici (non esaltantissimi) mesi.
Dichiarazioni – quelle del trequarti – che hanno riguardato un po’ tutti gli aspetti della vita rugbistica, compresi quelli che si possono mutuare dalla vita quotidiana.
Un viaggio dentro se stessi
“La cosa che mi è piaciuta di più è stata quella di darsi un’occhiata interiore per vedere cosa stessi facendo e come stessero andando le cose”. Essere diventato co-capitano dell’Inghilterra in un momento così delicato della nazionale non dev’essere stata una cosa certamente facile per il classe ’91, che insieme a Dylan Hartley ha dovuto superare la “buriana” di un Sei Nazioni chiuso al penultimo posto e di una serie estiva persa contro il Sudafrica: per un totale di cinque sconfitte consecutive, nella prima parte dell’anno.
“Ho lavorato su me stesso, sulle mie esperienze personali (Farrell è laureato in “Management e Leadership”) riesaminando i miei comportamenti in base a ciò che mi stava succedendo o che mi era successo in passato. Ho letto cose nuove e approfondito ulteriori aspetti: questa è la cosa che mi è piaciuta di più.
Non ci sono stati stravolgimenti, ho provato soltanto ad andare più a fondo nelle cose che faccio. Per questo devo ringraziare anche i miei compagni ai Saracens: ho intervistato molti di loro discutendo sui metodi di apprendimento e miglioramento delle nostre competenze”.
La gestione della pressione
Il suo parlare molto in campo e qualche placcaggio al limite del regolamento (se non oltre…come ad esempio a novembre nelle sfide contro Sudafrica e Australia) lo hanno messo nell’occhio della critica: un capitano non può avere questi atteggiamenti hanno qualche volta tuonato i media e l’opinione pubblica inglese.
“L’essere co-capitano mi ha reso più calmo, anche se tendo a perdere un po’ il controllo delle mie emozioni durante la partita: sia che vi siano episodi a favore sia a sfavore. E’ importante reagire in modo autentico. Un errore non sarà mai un problema se le intenzioni sono buone, ma devi dimenticartene subito. E’ inutile stare a recriminare sugli sbagli. Tutti cerchiamo di dare il massimo, fare meglio, e queste sono situazioni che possono capitare.
Dobbiamo fare i conti anche coi risultati: un numero alto e consecutivo di sconfitte ci ha certamente tolto fiducia in tante partite portandoci a compiere gesti dettati a volte dalla “disperazione”: abbiamo commesso qualche fallo di troppo e provato qualche azione individuale in più. Ora abbiamo ritrovato consapevolezza e fiducia nei nostri mezzi”.
Il 2019, la Coppa del Mondo e suo padre
“L’anno che sta arrivando fra un anno passerà, io mi sto preparando è questa la novità…” cantava Lucio Dalla e Farrell sembra fare sue queste parole.
Il Sei Nazioni è dietro l’angolo e l’opening game di Dublino sembra contenere per il numero 10 inglese tutto quello che si potrà vivere nel 2019 e oltre: la prima partita di un anno che si concluderà con la kermesse iridata in Giappone, la caratura degli avversari da sfidare (che inevitabilmente dovrebbero essere fra i contender sia per il trofeo più antico e prestigioso dell’Emisfero Nord sia della Rugby World Cup), e l’incrocio con il papà Andy che diventerà proprio l’allenatore dell’Irlanda dopo il Mondiale nipponico: “Se chiedete a mio papà sarà il primo a dirvi che il suo stile non passa solo dalla difesa, ma ha l’idea di unire entrambe le fasi di gioco. La vittoria dell’Irlanda sugli All Blacks è stata impressionante.
Pensando a noi invece posso dire che l’idea è si quella di analizzare gli avversari e i loro comportamenti, ma in primis vogliamo focalizzarci su noi stessi cercando un gioco che ci diverta e ci liberi da ogni pressione facendoci esprimere al meglio. Stiamo cercando di imparare anche a fare questo”.
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