Un rapporto federale e degli episodi del passato hanno fatto emergere alcuni dati su cui la RFU sta riflettendo
L’infermeria della nazionale inglese è ormai piena da tempo, senza alcuna possibilità di schierare una formazione che si avvicini il più possibile a quella titolare? La colpa principale sembra essere del ct Eddie Jones e delle sue sessioni di allenamento. Alla vigilia del Sei Nazioni 2019 spunta un altro problema per il coach della Nazionale della Rosa. Ecco come, secondo un rapporto federale, i suoi metodi e i continui stop dei giocatori sarebbero collegati.
Dal 2002-2003 l’anno di grazia, 2017-2018 l’annus horribilis
Per effettuare delle comparazioni la RFU è partita da una certezza: i dodici mesi che hanno preceduto la vittoria mondiale di Wilkinson e soci. In quell’annata gli infortuni furono ridotti al minimo, mentre nel recentissimo passato i numeri parlano di un aumento cinque volte maggiore di traumi e lesioni.
Training camp troppo duri
Sam Jones (Wasps, flanker), Beno Obano (Bath, pilone) : due nomi che in questo momento sono purtroppo famosi, e non per le loro gesta sul campo. Il terza linea infatti ha dovuto cessare la sua attività nel 2016 quando, durante una sessione di judo – allenamenti specifici voluti da Eddie Jones – in ritiro con la nazionale, ha riportato una drammatica rottura della gamba; mentre il prima linea non è più disponibile per il suo club dallo scorso maggio, visto che il suo legamento ha subito una lesione piuttosto seria. Quest’ultimo episodio ha fatto scattare l’ira di Bruce Craig, proprietario di Bath, che non si è certo tirato indietro nel definire “totalmente inaccettabili” i numeri di infortunati verificatisi durante i training camp.
La posizione della RFU
I vertici del rugby d’Oltremanica, davanti al quadro prospettatosi, non hanno perso comunque la loro lucidità esaminando i dati e cercando possibili rimedi: “Abbiamo constatato la problematica – ha affermato Nigel Melville – e stiamo cercando di capire come risolverla, anche perchè sappiamo che i giocatori di livello internazionale devono essere allenati in maniera particolare. Stiamo intervenendo già adesso e pensiamo di raccogliere da subito segnali positivi”.
Le esposizioni mediche
Il compito più difficile ovviamente, quando si parla di infortuni, è toccato al dottor Kemp. Il capo dei servizi sanitari della RFU dopo aver verificato un aumento dei giorni necessari al recupero di un giocatore infortunato (che per rientrare in campo ci metteva prima 32 giorni, mentre ora ce ne mette 37), una diminuzione nei casi di concussion, individuabili con più frequenza addirittura nel terzo anno di attività internazionale consecutiva e una possibile richiesta a World Rugby di ulteriore revisione sulle regole di altezza dei placcaggi, si è anche soffermato sui terreni sintetici affermando che le lesioni subite su quelle superfici costringono gli atleti a tempi di pausa più lunghi rispetto a quando le medesime condizioni si verificano su un campo da gioco in erba naturale.
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