Il Super Rugby è pronto a offrire spettacolo

Si inizia venerdì, con i Crusaders grandi favoriti per la tripletta. Australiane, sudafricane e Jaguares rincorrono le neozelandesi

ph. Reuters

Il Super Rugby 2019 è alle porte. Venerdì 15 inizierà la 24esima edizione del torneo professionistico che è considerato da molti appassionati e addetti ai lavori il più divertente del mondo ovale, la sesta con quindici squadre. Nello specifico, il format sarà uguale a quello dello scorso anno: tre Conference, sedici partite per ogni team nella regular season con due turni di riposo, otto squadre ai playoff con quarti, semifinali e finale e le vincitrici delle Conference sicure di giocare il quarto in casa, a prescindere dai punti fatti.

Ogni squadra giocherà partite di andata e ritorno con le squadre della propria Conference, mentre affronteranno solo una volta quattro squadre delle altre due Conference. C’è tuttavia una sola grande differenza rispetto agli anni passati: in fondo al traguardo non ci sarà solo la vittoria del titolo, ma anche la Coppa del Mondo in Giappone, che dovrebbe far rivedere piani a Federazioni e squadre per tutelare gli atleti.

In Nuova Zelanda, per esempio, è stato un raggiunto un accordo di questo tipo: come riportato dal New Zealand Herald, tutti gli All Blacks (quelli che presumibilmente faranno parte della squadra) non potranno giocare più di cinque partite consecutive, dovranno saltare almeno due turni e quando saranno a riposo non dovranno allenarsi con la squadra o essere coinvolti in altre attività. Politiche simili saranno applicate anche in Australia, ed è lecito aspettarsi che anche le squadre sudafricane, Jaguares e Sunwolves facciano un turnover “scientifico” per preservare  propri uomini migliori.

classifica super rugby

Conference neozelandese

È la conference delle squadre più forti e interessanti del torneo, per restare stretti. E anche quella della squadra campione nelle ultime due edizioni, i Crusaders, favoriti anche quest’anno. I rossoneri hanno mantenuto intatta l’ossatura della squadra che ha dominato ultimamente nell’emisfero Sud: sono andati via Tamanivalu, Crockett e Pete Samu, ma Scott Robertson e soci possono sopperire alle loro assenze.

Nelle gerarchie, dietro i rossoneri c’è una certa confusione. Gli Hurricanes di Perenara e Beauden Barrett hanno forse più talento nei singoli, ma hanno perso Tatialofa, Shields, Thomson nel pack e sono ripartiti non più con Chris Boyd ma con il suo assistente, John Plumtree, alla sua prima esperienza da head coach nel Super Rugby. Gli Highlanders hanno dimostrato di essere una squadra capace di fare tutto e il contrario di tutto, hanno un pack con diversi giovani molto interessanti e delle incognite in mediana: l’uscita di Sopoaga è stata rimpiazzata dal ritorno di Marty Banks, dall’arrivo di Bryn Gatland e dalla promozione di Josh Ioane, apertura classe ’95.

Partono forse un passo indietro i Chiefs, che hanno visto andare via tanti elementi di spessore: Tu’inukuafe, Bird, Messam, Ngatai e Nanai-Williams. In più non ci sarà Sam Cane a causa del grave infortunio degli scorsi mesi. Potrebbe essere una stagione di transizione, in cui diversi giovani (tra cui l’ala classe ’99 Etene Nanai-Seturo) potrebbero mettersi in mostra.

Infine ci sono i Blues, la squadra al solito più indecifrabile: ad Auckland sembra esserci un rinnovato entusiasmo, ma gli uomini di Leon MacDonald devono pur sempre smaltire le delusioni degli anni passati e cercare di tornare a vincere un derby contro una connazionale, cosa che non succede da 19 partite. Gli arrivi di Tu’inukuafe e soprattutto Ma’a Nonu daranno una grossa mano, ma è difficile dire fino a che punto.

Conference australiana

Quando si parla di franchigie australiane c’è sempre una grossa commistione di talento, psicodrammi e fragilità varie. L’intero movimento non se la passa granché bene, se si considerano sia le tante sconfitte dell’Australia di Michael Cheika sia le stagioni poco felici di Brumbies, Rebels, Waratahs e Reds negli ultimi anni. Lo scorso anno l’unica franchigia ad accedere ai playoff – arrivando poi in semifinale – furono i Waratahs di Kurtley Beale, Israel Folau, Michael Hooper, Bernard Foley, Sekope Kepu e, da quest’anno, di nuovo pure di Adam Ashley-Cooper, che a 35 anni ha lasciato il Giappone per ritornare a pieno regime nel rugby internazionale.

Il primo posto nella Conference potrebbe essere un affare tra la franchigia di Sydney e quella di Melbourne. I Rebels hanno una trequarti forse irripetibile in Australia: la coppia Will Genia-Quade Cooper è la più attesa del Super Rugby, ma la loro partnership con Toomua, Koroibete, Haylett-Petty e Hodge potrebbe essere esplosiva. Nel 2018 partirono molto bene, per poi cominciare a navigare a vista e finire con appena due punti in più dei Brumbies.

A Canberra si riparte dalle solite certezze rappresentate Rory Arnold e Sam Carter in seconda linea e in generale da un buon pack, con David Pocock e il neo acquisto Pete Samu a trascinare la squadra. Tra i trequarti non c’è nessun fenomeno eccezion fatta per Tevita Kuridrani, chissà che non emerga qualche nome nuovo anche per Cheika. Nel Queensland, invece, Brad Thorn ha tra le mani forse la squadra più debole tra le australiane: toccherà a Taniela Tupou, Izack Rodda, Scott Higginbotham e Samu Kerevi prendersi le maggiori responsabilità.

Infine ci sono i Sunwolves, che molto spesso lo scorso anno hanno fatto dubitare analisti e commentatori sulla bontà della loro partecipazione al Super Rugby. I giapponesi, allenati dal neozelandese Tom Brown, hanno aggiunto diversi stranieri di valore alla rosa come Renè Ranger, Hendrik Tui, Dan e Kara Pryor e Phil Burleigh, soprattutto nell’ottica di risparmiare i migliori giocatori nazionali in vista della Coppa del Mondo casalinga. Riusciranno a replicare le tre vittorie del 2018?

Conference sudafricana 

Come per la conference australiana, anche tra le sudafricane non si intravede una vera e propria rivale per i Crusaders per la lotta al titolo. Gli unici in grado di impensierire lontanamente le neozelandesi, i Lions, hanno perso troppe pedine importanti per poter essere considerati delle contender: gli addii di van Rooyen, Dreyer, Mostert e Jaco Kriel (seppur assente nell’ultima stagione) peseranno nel pack biancorosso, che pure ha mantenuto l’ossatura sulla trequarti.

È difficile dire tuttavia se solo con il talento di Kwagga Smith, Jantjies, Dyantyi, Mapoe e Skosan sarà sufficiente mantenere il primo posto nella conference. Allo stesso tempo, tuttavia, è anche complicato stabilire chi potrebbe rimpiazzarli nelle gerarchie. Lo scorso anno furono i Jaguares si attestarono al secondo posto guadagnando anche l’accesso ai playoff, ma quest’anno rappresentano un’incognita soprattutto a causa della partenza di Nicolas Sanchez, passato allo Stade Francais. Bisognerà capire anche come i giocatori assorbiranno l’arrivo di Gonzalo Quesada; da seguire i giovani Lucio Sordoni (pilone) e Santiago Carreras (estremo).

Gli Sharks, stando alle parole di Robert du Preez, cercheranno di seguire una filosofia più offensiva del solito e saranno guidati da un altro Robert du Preez (il figlio) in mediana, tornato dalla parentesi inglese a Sale (sempre Sharks anche in quel caso). I Bulls hanno cambiato allenatore dopo l’addio di John Mitchell e hanno fatto un solo grande acquisto: Duane Vermeulen. Non è poco, ma chissà se sarà abbastanza. Infine, gli Stormers sembrano avere un potenziale più elevato dei miseri 29 punti raccolti un anno fa: in rosa hanno aggiunto Ruhan Nel, giocatore con un centinaio di partite con i Blitzboks, e hanno una diffusa qualità nella squadra. Basterà per risalire?

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