Un racconto fatto di immagini e parole per farvi assaporare l’atmosfera di uno dei templi del rugby
Dicendo che Twickenham è lo stadio del rugby per eccellenza – a nostro parere insieme al Millennium di Cardiff – non raccontiamo certamente nulla di nuovo, soprattutto a chi ha avuto la fortuna di andarci almeno una volta. Al di là della sua struttura, della capienza (sabato per Inghilterra-Italia c’erano 82.022 spettatori), dei pub, dei negozi, delle aree hospitality, del museo, dell’hotel con camere “vista partita”, tutto è strutturato alla perfezione per offrire a giocatori, pubblico e addetti ai lavori la migliore esperienza possibile.
A partire dall’arrivo delle squadre, che percorrono un breve tratto a piedi tra due ali di folla offendo ai fan la possibilità di vedere da vicino i giocatori. Per non parlare delle strutture interne allo stadio riservate a giocatori, staff, giornalisti, cameraman e fotografi (con personale preparatissimo e timing, organizzazione ed efficienza «svizzere»).
Qualche minuto prima del match, quando sul campo inizia la coreografia fatta di musica, bandiere e fiamme lo stadio sembra ancora abbastanza vuoto, salvo riempirsi ordinatamente pochissimi secondi prima dell’ingresso delle due formazioni.
Nota a margine: in omaggio a Sergio Parisse, alla sua ultima partita a Twickenham, abbiamo dedicato un’immagine al suo ingresso solitario sul terreno di gioco. Alla prima nota dell’inno della squadra ospite tutti gli ottantamila (gli adulti rigorosamente con il loro “cestello” porta birre pieno) si alzano in piedi per onorare gli avversari, per poi intonare “God save the Queen” che già da solo vale il prezzo del biglietto.
Anche durante il match, oltre ovviamente a ciò che accade sul campo di gioco, sono i suoni a farla da padrone. Il frastuono per le folate offensive inglesi, gli “uuooh” per i placcaggi più duri, il silenzio in occasione dei calci e naturalmente “Swing Low, Sweet Chariot” (l’inno non ufficiale del XV della rosa) intonato come sostegno e festeggiamento finale.
Anche le luci, come in ogni grande teatro che si rispetti, sono tutte puntate sul “palco di gioco”, lasciando il pubblico in penombra al calar del sole. Quest’anno c’è stata inoltre una simpatica novità (dell’era tecnologica): verso la fine del match, gli spettatori hanno acceso le torce dei telefoni creando una coreografia davvero suggestiva (potete vederla nella foto di Polledri nella gallery). Questa è Twickenham: “the home of rugby”.
La gallery di Sebastiano Pessina
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