Breve riflessione su due episodi accaduti sabato all’Olimpico
Sabato l’Italia ha disputato l’ultimo match di un Sei Nazioni difficile. Una partita che gli Azzurri potevano e volevano vincere, per riportare un po’ di entusiasmo all’interno del gruppo, per ricreare un po’ di fiducia intorno alla squadra ma anche per salutare al meglio tre monumenti del nostro rugby (Parisse, Zanni e Ghiraldini), alla loro ultima partita all’Olimpico e nel torneo. Un match segnato anche da due episodi che in un contesto super professionistico colpiscono particolarmente poiché richiamano ai valori più autentici dello sport, due episodi bellissimi (nella loro drammaticità) che meritano di essere sottolineati e che ispirano una riflessione allontanandoci per un attimo dai risultati della classifica.
Il gesto di Maxime Médard e Yoann Huget , la corsa di Parisse
Al minuto 60, in un contrasto, Leo Ghiraldini resta a terra. L’infortunio al ginocchio destro appare subito serio (si ipotizza una rottura dei legamenti). Il giocatore visibilmente dolorante viene immediatamente soccorso dallo staff medico della nazionale. Porta le braccia sopra la testa, si copre il volto. Passano pochi secondi e il gioco viene fermato. È allora che Yoann Huget e Maxime Médard si avvicinano e si chinano sul loro compagno di club nello Stade Toulousain. Lo confortano, il primo gli prende la mano, il secondo lo consola con una carezza. Anche Sergio Parisse risale il campo con una corsa di 60 metri per accertarsi delle condizioni del suo vice, appare scosso.
Le lacrime del capitano in conferenza stampa
Conferenza stampa post partita. Sergio Parisse siede accanto a Conor O’Shea. Tutto come sempre, salvo che, con ogni probabilità, Parisse non tornerà più a giocare sul prato dello Stadio Olimpico. Dopo il mondiale, il Capitano azzurro, uno dei giocatori più forti e talentuosi del rugby mondiale, dirà addio alla maglia azzurra. Sergio è, come al solito, serio, disponibile, lucidissimo, estremamente professionale. A lui il compito ingrato di spiegare le ragioni della sconfitta. Fa solo un rapido riferimento ai suoi 35 anni per sottolineare come “abbiamo fatto la scommessa di cercare di allenarci ad altissima intensità…il lavoro che è stato fatto in questi due mesi, che ovviamente nessuno ha visto, è il più duro in tanti anni di Sei Nazioni”. Risponde poi alla domanda di un giornalista e articola una lunga risposta: “Credetemi se a voi da fastidio, se a voi rode, vi posso garantire non siete neanche minimamente vicini al sentimento che sto provando io e che proviamo tutti insieme” (riferendosi al gruppo azzurro, ndr).
Prosegue nella sua analisi, poi improvvisamente si zittisce, abbassa la testa, sopraffatto dalle emozioni. L’infortuno di Ghiraldini è stato un colpo durissimo. Vederlo rientrare in campo con le stampelle a fine partita è un dispiacere troppo grande. Si scusa per le lacrime e con la voce ancora rotta dalla commozione ribadisce il concetto “è stato un sentimento veramente duro perché c’è veramente tantissimo sacrifico dietro le quinte”. Parla poi del mondiale, dice che vorrebbe Ghira in campo, di un progetto e di un obbiettivo che lui e compagni non smetteranno mai di perseguire. Quello del Capitano non è uno sfogo, ma il desiderio di far comprendere l’impegno, la fatica e la dedizione. Lacrime che esprimono tutta la sua personale frustrazione, il dispiacere per il clima di sfiducia intorno alla squadra e il suo profondo attaccamento alla maglia della Nazionale. Aggiunge “non me ne importa niente se il mondo intero non crede in noi io e i ragazzi ci crediamo”.
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