I padovani sono già andati oltre le aspettative, e sabato si giocano la Coppa Italia. Abbiamo intervistato Polla Roux, Director of Rugby dei biancocelesti
Il Valsugana Rugby è una realtà con dei tratti distintivi piuttosto netti tra le squadre del massimo campionato italiano. Dei ventitré che ogni volta compongono la lista gara nel weekend, almeno una quindicina provengono dal settore giovanile dei padovani, vera e propria fucina di talenti nell’ultimo decennio. Non a caso, il Valsu può anche essere considerato come un simbolo di progettualità e orgnizzazione societaria lodevole, che nella scorsa primavera lo ha portato fino al Top 12.
Anche se in molti lo consideravano spacciato e destinato forse a raccogliere ben pochi punti, i padovani invece possono ancora sperare nella salvezza con due scontri diretti (contro Verona e Lazio) da giocare in casa e quattro punti da recuperare in classifica. Contro ogni pronostico, inoltre, sabato pomeriggio al ‘Lanfranchi’ il Valsugana si giocherà addirittura la finale di Coppa Italia contro il Valorugby (sabato 30, ore 16, nessuna diretta).
È difficile dire se le fatiche del campionato magari presenteranno il conto nelle prossime settimane a una squadra con dei limiti piuttosto evidenti, ma per quanto dimostrato finora i biancocelesti non possono essere dati per scontati. Del momento più importante della stagione ne abbiamo parlato con Polla Roux, Director of Rugby della squadra.
“Veniamo da settimane molto difficili. Non è stato un periodo molto facile con le sfide contro Fiamme Oro, Calvisano, Rovigo e Viadana (tutte in trasferta, ndr) soprattutto per una neopromossa come noi – ha detto il sudafricano – Ci ha messo alla prova fino in fondo e vedo che i ragazzi lo hanno sentito. Stiamo cercando di recuperare energie: se guardiamo le ultime due partite, abbiamo commessi troppi errori in fasi del gioco in cui prima eravamo più precisi”.
“La finale di Coppa è una grande soddisfazione per tutti visto il grande lavoro fatto negli ultimi tre anni – ha continuato, parlando del traguardo raggiunto nel torneo – Vogliamo fare bene e onorarla, anche se sicuramente il Valorugby parte da favorito. Ci ha battuto due volte in campionato, ma dobbiamo dimostrare di aver guadagnato questa partita con il nostro gioco”.
Non c’erano grandi aspettative sul Valsugana, invece siete più che mai in corsa anche in campionato.
“È vero, tutti ci hanno detto che avremmo preso 80 punti. La squadra ha fatto bene finora. Sarà importante ritrovare l’equilibrio. Per noi forse salvarci in campionato ha più valore rispetto alla finale di Coppa Italia”.
La partita contro il Verona (in programma sabato 6 aprile, ndr) è quindi già nei vostri pensieri.
“Si pensa anche a come battere questo Verona, sì. È una squadra che conosciamo anche dalla Serie A. Gli scontri diretti sono importanti, quindi dobbiamo vincere quello contro il Verona e poi contro la Lazio alla fine”.
Ma questo cammino in Coppa Italia è stato inaspettato anche per voi oppure lo avevate messo un po’ nel mirino?
“Diciamo che non abbiamo mai posto obiettivi di questo tipo. Siamo cresciuti e siamo arrivati dove siamo lavorando sul campo, poi i risultati vengono da soli. Lo stesso si può dire della Coppa Italia. Durante il girone, anche cambiando qualche elemento, la squadra però si è comportata bene e ha avuto un buon atteggiamento.
È il segno di una squadra che va in campo a dare sempre il massimo, riuscendo a ottenere risultati grazie all’unità del gruppo. Abbiamo raggiunto successi a cui non pensavamo di arrivare. Dico sempre che questi ragazzi riescono a fare 1+1 e ad arrivare sempre a 3”.
La grande forza del Valsugana è proprio la sua identità?
“È un gruppo che sta crescendo da tre anni. Nel passaggio da Serie A a Top 12 poi non abbiamo cambiato molto. Cerchiamo sempre di trattare i ragazzi come dei professionisti e dare un gioco che secondo me può funzionare su di loro, senza copiare da altre squadre, guardando che tipo di giocatori abbiamo in rosa.
È bello vedere che una struttura funziona con tutta la rosa, sia con chi gioca titolare sia con chi entra dalla panchina. In questo gruppo poi tanti provengono dalle giovanili del Valsugana: c’è quindi uno spirito d’appartenenza e un attaccamento alla maglia molto importante. Ci sono anche difficoltà, perché noi formiamo i giocatori e le altre società ce le portano via (ride, ndr).
Abbiamo un bel vivaio e anche per il futuro avremo dei bei giocatori, perché al momento abbiamo cinque ’99 e due ’98. Se riusciamo a rimanere nel Top 12, avranno tutti più esperienza e faranno un campionato ancora migliore”.
A parte qualche match, ha impressionato del Valsugana anche la capacità di restare sempre in partita in ogni momento: come si costruisce questa mentalità?
“Quello che stiamo provando è di non pensare a quello che è successo quando subiamo una meta, ma di pensare a noi e a cosa possiamo fare e creare. Per noi la partita non deve finire mai. E i ragazzi non hanno mai mollato. Tutto questo si crea quando c’è attaccamento alla maglia; quando si gioca per il compagno vicino a te; quando si gioca per la tua società e per i 500 bambini che ti vedono al campo”.
Prima ha parlato del momento un po’ difficile: d‘è qualcosa che la preoccupa in maniera particolare?
“Contro Rovigo e Viadana nei minuti iniziali non siamo riusciti a restare nella nostra struttura di gioco. Abbiamo commesso un paio di errori per mancanza di fiducia e un po’ di stanchezza, ma spero di ritrovarci nelle prossime partite sia in attacco sia in difesa”
Tornando alla finale, l’ultima partita contro il Valorugby (38-7 per i reggiani a febbraio, ndr) invece è stata un po’ particolare: avete subito in difesa e nei duelli individuali, prendendo 33 punti solo nel primo tempo, mentre nel secondo solo 5. E la mischia era andata davvero molto bene.
“Avevamo giocato anche senza il nostro pilone destro titolare (il sudafricano Swanepoel, ndr), che è un nostro punto di forza quest’anno. Siamo andati bene anche in touche. Non ci abbiamo creduto fino in fondo, avevamo fatto errori banali e subito tre mete in pochissimi minuti. Il risultato poteva essere molto diverso, ma con tanti ragazzi giovani e un avversario così forte può essere molto duro a volte.
La finale è una partita secca, quindi bisogna giocare al massimo delle nostre possibilità e credere che si possa battere quest’avversario così forte”.
All’inizio magari avevate meno da perdere e meno pressione addosso. Ora invece? C’è più pressione sul gruppo?
“Da una parte è positivo avere a fine campionato avere certe partite alla portata. Dall’altra, se le avessimo avute prima avremmo potuto mettere in cassaforte dei punti importanti con un po’ di anticipo. In ogni caso, ho sempre visto che quando c’è pressione e c’è da dimostrare qualcosa i ragazzi si fanno trovare pronti. Alla fine forse è meglio così: sappiamo che ci sono delle partite da vincere.
L’ultimo argomento che volevo affrontare è il Top 12 nel suo complesso, dove sei tornato ad allenare dopo diversi anni. Che campionato stiamo vedendo e qual è il livello?
“Il livello mi pare più basso. Se guardiamo la classifica, solo le prime cinque hanno un record positivo tra vittorie e sconfitte. Questo può essere un po’ preoccupante. È bello far crescere i giovani e formare i nostri giocatori, ma non possiamo nemmeno abbassare troppo il livello. Già a dicembre si sapeva quali erano le squadre dei primi quattro posti, chi sarebbe stato in alto e chi sarebbe stato in basso.
Non so se la formula a dodici squadre è l’ideale. Forse sarebbe stato meglio avere otto squadre, perché non so se il campionato italiano ne ha abbastanza per farne dodici forti. Lo dico anche se una squadra come la nostra rimarrebbe fuori dalle otto magari. È difficile inoltre per le due squadre promosse in Serie A sopravvivere nel massimo campionato, perché il livello è diverso rispetto al Top 12.
Per quanto riguarda le filosofie di gioco, c’è un’evoluzione in corso o lo stile è ancora troppo conservativo?
“Da parte mia, ho portato avanti sempre la mia filosofia di tenere sempre il possesso e non farlo avere alla squadra avversaria. Non l’avrei cambiata solo perché siamo saliti nel Top 12. Ho notato che tante altre squadre hanno provato ad avere questa mentalità, anche se forse con un altro sistema e un torneo a otto le cose andrebbero ancora meglio. Squadre come Valorugby, Rovigo e Calvisano comunque stanno giocando un bel rugby, cercando di tenere la palla sempre viva”.
È il modo migliore forse per sviluppare e far crescere anche i giocatori
“Personalmente penso che la difesa sia l’aspetto più facile da allenare, mentre l’attacco è un processo che non si completa in un anno, ma in due o tre stagioni, per poter avere una fase offensiva e un decision making forte. Bisogna avere fiducia, anche nelle giovanili, nel migliorare le abilità dei ragazzi”.
Daniele Pansardi
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