La scalata di Matteo Minozzi verso la Rugby World Cup 2019

Abbiamo intervistato l’estremo azzurro, fermo da fine agosto, che ci ha raccontato il difficile rapporto con il rugby negli ultimi mesi e i suoi obiettivi

Matteo Minozzi

ph. Sebastiano Pessina

La serata del 31 agosto 2018 ha rappresentato uno spartiacque importante nella carriera di Matteo Minozzi. Fino ad allora, era stato quasi tutto perfetto, come ammette lui stesso: lo straordinario impatto nelle Zebre e con l’Italia al Sei Nazioni 2018, la nomination come miglior giocatore del torneo e le attenzioni di mezza Europa avevano segnato un’ascesa dirompente, che non sembrava potersi fermare.

Lo stop, invece, è arrivato, ma è stato il peggiore possibile. I fatti sono noti: 17 minuti dopo l’inizio della prima giornata di campionato, Minozzi subisce un grave infortunio al ginocchio, che lo costringerà a due operazioni chirurgiche e a una lunga riabilitazione, ora entrata di fatto nella sua fase conclusiva. Il 22enne di Padova sta seguendo un lavoro personalizzato a Calvisano, seguito dal preparatore fisico del club bresciano, e sta ritrovando la forma migliore, sia nel fisico sia nello spirito. Lo abbiamo intervistato per sapere a che punto è del suo percorso di recupero, a più di sette mesi dal crac.

“Meglio di come pensavo, ora sto facendo quasi tutto: cambi di direzione, corse palla in mano… Per l’infortunio che ho avuto, sta andando bene”. Sapere che Matteo Minozzi è tornato, anche solo in allenamento, a lavorare su cambi di direzione e sidestep è senz’altro rassicurante, visto il suo stile di gioco. “Ho un po’ paura sinceramente, ma riesco a farli. Sento che il ginocchio è stabile, non si muove, e mi han detto che è una cosa importante”.

“Serviranno altri mesi per riacquistare confidenza e togliermi la paura – continua il padovano – Penso che passerà da sola. Me ne sono reso conto con il tempo: due mesi fa avevo il terrore anche solo nel fare un salto, adesso faccio tutto tranquillamente”.

La domanda da molti milioni di dollari arriva presto: a quando il ritorno in campo? “Il mio obiettivo, se sarò scelto, è giocare le partite di preparazione alla Rugby World Cup, magari contro Irlanda o Russia (10 e 17 agosto, ndr). Sarebbe passato quasi un anno dal mio infortunio, di tempo ne sarebbe passato. Voglio arrivare al 100% per quelle partite, poi vedremo se Conor O’Shea e lo staff mi selezioneranno”.

Con O’Shea “ci siamo sentiti spesso, mi è stato vicino ed è stato molto apprezzabile e gentile per come si è comportato”. Poi Minozzi torna sul suo percorso di recupero: “Spero di esserci per il Mondiale, poi è chiaro che dirlo è un’altra cosa. Non do niente per scontato, né sono sicuro di giocare quelle partite”.

– Leggi anche: l’intervista di OnRugby a Conor O’Shea (prima parteseconda parte)

Nei mesi immediatamente successivi all’infortunio, tuttavia, le previsioni del 22enne estremo erano di gran lunga più pessimistiche, e recuperare in tempo per la Coppa del Mondo non sembrava essere il primo dei suoi pensieri. “Sono pessimista anche un po’ ora, so cosa mi sono fatto e la gravità dell’infortunio che ho avuto. Certo, a ottobre e novembre forse al Mondiale non ci pensavo neanche, adesso più si avvicina e più mi rendo conto che potrei farcela e che vorrei giocarlo”.

Più che pessimismo, in ogni caso, nei discorsi di Minozzi c’è sempre una buona dose di realismo. “Accetterei comunque di non giocarlo (il Mondiale). Vengo da un anno di assenza, in cui ho perso il ritmo partita, ci arriverei al massimo con quelle partite giocate ad agosto e quindi se non dovessi esserci lo capirei. E sono giovane, potrei farne altri”.

“È chiaro che comunque voglio esserci – continua, perché l’entusiasmo di una Rugby World Cup e di giocare il massimo torneo ovale non si può certamente sopire – Sto facendo di tutto per essere messo nelle condizioni di farlo”.

Il rapporto con il rugby in questi mesi

Dopo un anno irrefrenabile, fermarsi all’improvviso per un infortunio così grave e per un periodo di tempo così lungo non ha avuto – almeno nei primi mesi – come risultato solo l’assenza dai campi di gioco per Minozzi.

“Fino al Sei Nazioni, per quattro o cinque mesi, non dico che ero arrabbiato con il rugby, però non volevo guardarlo. Mi faceva star male un po’ tutto. Ora più mi rendo conto che tornerò a giocare e più cresce la voglia di tornare, oltre che la mancanza del gioco”.

“Prima magari c’era un po’ un rifiuto, pensavo «chissà come torno». Stavo male a pensare di dover giocare un giorno – dice Minozzi – Adesso invece sto facendo un conto alla rovescia per le partite ad agosto, perché mi sento di stare guarendo bene. E poi ovviamente mi manca: alla fine ho sempre fatto questo da quando avevo cinque anni, i miei massimi periodi di inattività sono stati i periodi di vacanza in estate”.

Già dalle sue presenze sugli spalti del San Michele di Calvisano (dove sta proseguendo il suo lavoro insieme al preparatore del club bresciano) per alcune partite di Top 12, del resto, si poteva intuire una certa voglia di passare dalla tribuna al campo. E chissà che nel frattempo, guardando gli altri giocare, Minozzi non abbia colto l’occasione per studiare il suo gioco in prospettiva futura.

“Mi sono concentrato su quello che sono stato io fino al 30 agosto. Ho un po’ analizzato l’anno che ho avuto, cosa ho fatto, cosa mi manca, dove devo migliorare… È qualcosa che ho sempre fatto. Per esempio, ho rivisto l’azione in cui mi sono fatto male: magari non era necessario un contrattacco in quell’occasione”

“Mi dovrò concentrare sulle mie decisioni per fare tutto correttamente, evitando di prendere scelte senza logica – continua Minozzi, che in effetti sulle altre componenti del suo rugby non sembra avere particolari problemi – Non è per vantarmi, però lo sprint l’ho sempre avuto, nel placcaggio non mi tiro indietro, nel gioco aereo penso di esserci… Tutto questo non poteva arrivare senza allenamenti ovviamente”.


Possiamo tranquillamente dire che le basi del rugby sono ben acquisite.

“Rispetto alle mie partite a Calvisano e nelle prime con le Zebre, dove osavo di più, ho cominciato a essere più razionale dal Sei Nazioni in avanti, però sempre mantenendo lo stile che mi ha permesso di arrivare dove sono arrivato. Insomma, ho riguardato molto il mio ultimo anno e mezzo”.

L’arrivo delle Vespe

Lo scorso 18 febbraio, un po’ a sorpresa, è arrivato l’annuncio del suo trasferimento ai Wasps a partire dalla prossima stagione, che il giocatore cresciuto nel Valsugana affronterà dunque nella Premiership inglese. Viste le condizioni fisiche di Minozzi, è facile comprendere come l’estremo non si aspettasse assolutamente una simile svolta.

“I contatti sono iniziati tra fine novembre e inizio dicembre, poco dopo la seconda operazione. Non guardavo nemmeno le partite di rugby, quindi figurati se pensavo ad andare a giocare all’estero. È stato completamente inaspettato”.

Minozzi dice di “averci pensato molto”, ma è soprattutto il processo mentale che lo ha portato infine ad accettare l’offerta dei Wasps ad essere molto interessante, nonché estremamente attuale nel rugby di oggi. “Ero passato dalle stelle alle stalle e avevo capito che non ero più un ‘intoccabile’ nel rugby, visto che non mi ero mai infortunato gravemente in tutti questi anni. Quindi quest’offerta poteva esserci oggi, ma non tra un anno”.

“C’è chi mi ha consigliato di rimanere, chi mi ha detto di prendermi del tempo… Tutte cose che avrei condiviso, ma alla fine mi sono reso conto che nello sport, soprattutto nel nostro, ogni volta che si scende in campo non si sa mai cosa può succedere – dice in maniera molto franca Minozzi – Non ho voluto prendermi il rischio di non avere più questa possibilità. È una cosa che ho sempre sognato di fare. L’ho fatto soprattutto per me stesso, perché penso che uno sportivo debba provare a capire quali sono i propri limiti. Se dovesse andare male, almeno avrò capito quale sarà la sostanza di Matteo Minozzi come giocatore”.

L’infortunio, insomma, ha anche cambiato un po’ il punto di vista sulla propria carriera. “Senza lo stop, se una squadra mi avesse chiamato, non ci avrei pensato e mi sarei buttato. Non avrei guardato tutte le sfumature a cui ho pensato invece. Mi sono preso quasi due mesi per decidere, loro mi hanno aspettato e non hanno avuto alcuna fretta: è stato sicuramente un valore aggiunto nella mia scelta”.

Sulle Zebre e la nazionale

Gli ultimi argomenti che tocchiamo con Minozzi sono le prestazioni della franchigia federale e dell’Italia, con tutto quello che ne comporta. Si parte dalle Zebre. “Come avevamo anticipato prima di questa stagione, dovevamo confermare quello che di bello avevamo fatto l’anno scorso in termini di gioco e risultati. Non sarebbe stato facile, perché l’effetto sorpresa non ci sarebbe più stato con le altre squadre: il modo di giocare ‘sbarazzino’, il fatto che si passava sempre da Carlo (Canna)…”.

“Abbiamo vinto poco, solo tre vittorie. Vista da fuori, non abbiamo saputo reagire alle contromosse che ci facevano degli avversari. Conoscevano i nostri punti di forza, e noi forse non abbiamo mai saputo trovare un piano B; continuavamo con il nostro piano di gioco, ma gli altri si adattavano”.

“C’è da dire anche che ci sono stati tanti infortuni rispetto allo scorso anno – puntualizza inevitabilmente Minozzi, che con le Zebre ha potuto collezionare solo 16 presenze, con 3 mete segnate – Io non ho giocato tutto l’anno, Marcello Violi non è ancora tornato, Mattia Bellini è stato fuori tre o quattro mesi, Giovanni Licata tra una cosa e l’altra è stato fermo tanto, Mbandà è tornato a dicembre, Carlo (Canna) ora si è fatto male (e mancano all’appello Castello, Meyer e altri, ndr)”.

Il focus si sposta poi sulla nazionale italiana. L’analisi di Minozzi comincia con i crudi numeri (“Tra novembre e Sei Nazioni abbiamo vinto una sola partita, contro la Georgia”), ma diventa velocemente più estesa. “Ce la siamo giocata contro Irlanda e Galles, con la Francia non so come abbiamo fatto a perdere… Ci sono state tre partite che, con episodi più a favore nostro e meno a favore loro, avremmo potuto portare a casa. Avremmo parlato di un Sei Nazioni diverso”.

“Era importante dare un bel segnale in vista del Mondiale. A livello di prestazione abbiamo fatto vedere il lavoro che stiamo facendo, ci sono state tante cose buone” – continua Minozzi, che si unisce infine all’ottimistico coro azzurro in vista della Rugby World Cup. Anche perché “hai l’obbligo di dare il massimo in queste competizioni e di provare a qualificarti”.

“In quelle quattro partite ad agosto e le due contro Namibia e Canada siamo obbligati a far bene, per arrivare a quella partita là (contro il Sudafrica, ndr) con la consapevolezza che se diamo il 100% può succedere qualcosa – dice Minozzi – So benissimo che ci sono delle squadre di un altro livello, però nello sport succedono anche cose strane: nella nostra miglior giornata e nella loro peggior giornata può accadere qualsiasi cosa. Partire già sconfitti contro il Sudafrica non sarebbe ammissibile. Dovremo mettere dentro quella partita tutti gli ultimi quattro anni passati con Conor, e vedere cosa succede”. Magari la giocherà anche Matteo Minozzi, chissà.

Daniele Pansardi

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