Il terza linea degli All Blacks, con il passare degli anni, ha modificato il punto di vista personale sul k.o. di Cardiff
A distanza ormai di oltre una decade, nonostante quel tonfo abbia rappresentato anche l’ultima grande delusione del movimento tuttonero, in Nuova Zelanda, la sconfitta di Cardiff contro la Francia, nel quarto di finale mondiale, il 6 ottobre 2007, resta una ferita ancora aperta. Un k.o. che, entrato di forza nell’immaginario collettivo oceanico, rievoca vecchi fantasmi, legati soprattutto al beffardo andamento di quella sfida, inizialmente gestita, in pieno controllo, da parte dei ragazzi di Graham Henry, prima di scivolare via, lentamente, nelle mani francesi. Una delusione cocente, descritta in termini apocalittici dalla stampa neozelandese, per certi versi paragonabile e paragonata ad altre grandi debacle della storia dello sport, come il ‘Maracanazo’ brasiliano nel calcio, al mondiale 1950, seppur in un contesto molto diverso.
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Una serata, quella in terra gallese, su cui è tornato recentemente Richie McCaw, leggendaria terza linea e capitano degli All Blacks, approcciandosi a quell’evento nefasto, però, da un’angolatura del tutto particolare.
Parlando al podcast ‘A Few Hard Man’, infatti, l’ex Crusaders ha dichiarato che, se inizialmente quella partita poteva essere la risposta più adatta ad una domanda su quale fosse la cosa peggiore mai accadutagli nel contesto ovale, con il tempo si è reso conto che quella serata del Millenium Stadium è stata una delle cose migliori ad essergli successe.
“Senza quella delusione non avrei messo lo stesso impegno, ed investito il medesimo tempo per archiviare tutto quello che abbiamo ottenuto negli anni successivi. Non credo che gli All Blacks avrebbero avuto successo per otto anni se non avessimo attraversato quella nottata, che ci ha mostrato la difficoltà di vincere un Mondiale. Quel k.o. ha messo tutto nella giusta prospettiva, facendo sì che, dopo Cardiff, nulla venisse più dato per scontato”, ha spiegato dettagliatamente Richie McCaw.
Una lezione amara, dalla quale, tuttavia, è nata un’epopea di colore nero, con la squadra di Henry prima, ed Hansen, poi, che ha alzato ulteriormente l’asticella della propria competitività, inanellando successi dopo successi per più di dieci anni consecutivi, e la sensazione è che non abbia nessuna intenzione di fermarsi, con la Rugby World Cup nipponica già nel mirino.
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