Il momento di Giovanbattista Venditti, tra desiderio di riscatto ovale e futuro tutto da scrivere

Abbiamo parlato con l’ala delle Zebre della sua voglia di ripartire alla grande e delle ambizioni professionali nel post carriera

zebre venditti 2018 2019

Giovanbattista Venditti in azione contro Cardiff (ph. Massimiliano Carnabuci)

Giovanbattista Venditti, nell’immaginario collettivo del tifo azzurro, non è un giocatore come gli altri. L’abruzzese negli ultimi due lustri ha saputo costruirsi una reputazione di alto profilo disseminando, nell’arco delle sue esperienze ovali, ricordi impressi nella mente di tutti. Un qualcosa che però non è successo in questo ’18/’19, un’annata tribolata per la squadra zebrata e per lo stesso Venditti, che ha faticato a lasciare un’impronta sui rettangoli verdi del torneo celtico. “Non siamo contenti della stagione, nè per quanto concerne i risultati in sè nè per quanto fatto vedere al di là dei meri numeri in classifica. Non abbiamo confermato quanto di buono fatto lo scorso anno. Abbiamo avuto tanti problemi. Io non sono uno che crede più di tanto nella sfortuna, quindi è chiaro che alcune cose sono le conseguenze delle carte in tavola che ci sono da noi. Quindi tutti quegli infortuni, anche se alcuni sono sicuramente legati al caso, con la rosa corta ed un rugby sempre più usurante, te li devi aspettare, a maggior ragione se non fai un turnover di un certo tipo. Nella nostra rosa tanti giocatori hanno avuto un minutaggio importante, forse troppo, altri uno molto scarno. Al di là di questo, poi, dobbiamo farci un bell’esame di coscienza individuale. Io sono certo che ogni singolo abbia dato tutto, perché è fuori discussione. Però, alle volte, non è solo una questione legata all’intensità del lavoro, ma anche e soprattutto a quanto intelligentemente ti alleni e ti avvicini alla partita: il sabato c’è la foga di vincere, ma durante la settimana abbiamo l’attenzione a tutti i dettagli necessari (alimentazione, sonno, analisi video) per arrivare al risultato? Ci sono diverse cose nel controllo nostro, parlo di giocatori, su cui si può migliorare”, spiega l’ex Newcastle Falcons, prima di focalizzarsi sulla sua di annata.

“Individualmente è stata una stagione molto strana. Ridurla ai minuti giocati non è giusto, perché è successo molto. Fuori dal campo sono felice. La mia situazione con la famiglia è bella. I bambini stanno bene ed a breve io ed Alice diventeremo nuovamente genitori. Abbiamo comprato la casa nuova con le caratteristiche che ci piacciono. Quindi va tutto bene. Ad inizio anno, poi, ho fatto un master alla Bocconi in Sport Management ed è stato un grandissimo traguardo. Sono soddisfatto, ma se restringiamo il discorso al rugby, questa è una stagione buttata. Sicuramente il master ha influito, perché dovevo essere spesso a Milano per le lezioni. Ovviamente avevo chiesto il permesso alle Zebre. La società è stata molto gentile nel comprendere e nell’assecondare questo mio desiderio di formazione, ma ho saltato degli allenamenti ad alcune partite e non sono stato convocato anche per questo motivo. Finito il master, a dicembre, mi sono ributtato al 110% dentro il rugby. Anche perché non sono un giocatore super tecnico o super intelligente rugbusticamente. La mia carriera si è sempre basata anche su una determinazione speciale”, prosegue, prima di spiegare come l’impegno del percorso di studi meneghino, comunque, abbia lasciato qualche ruggine anche in termini di rapporti. “Per alcune persone questo master è stato un problema. Qualcuno ha visto in questa cosa una mia mancanza di focus nel rugby e si sono create alcune situazioni spiacevoli, che hanno fatto sì che la stagione finisse in questo modo. Sono contento che si sia arrivati al termine, così abbiamo tutti il tempo di ripartire da zero, appianando eventuali problemi. Io per primo farò un prestagione come mai ho fatto in vita mia per farmi trovare non pronto di più, anche per l’anno prossimo non avrò scuse esterne”, racconta Venditti, carico per un campionato, il ’19/’20, che, anche se una decisione è ancora ben lontana dall’essere presa, potrebbe anche essere l’ultimo della sua carriera.

Un futuro tutto da scrivere

“Non so ancora realmente cosa farò nel mio futuro a medio termine. Sia da piccolino che nei primi anni tra Top 10 ed Aironi avevo sempre detto che non sarei stato un giocatore troppo longevo, perché amo le novità. Quindi, se da un lato sto benissimo nel mondo del rugby, che mi ha dato e mi sta dando ricordi speciali ed amicizie uniche, dall’altro non nascondo che mi stuzzica la curiosità di scoprire gli aspetti della vita lavorativa oltre il passaggio da giocatore. Quindi sicuramente non giocherò altri 4/5 anni. Non ti nascondo di averci pensato, ad un ritiro, anche perché questa stagione è stata scomoda. La nostra società è molto bella. Negli anni passati ci sono stati problemi strutturali, ora, invece, la situazione è molto stabile, però, in 50 persone è condensata tutta la compagine Zebre, dal vertice sino ai giocatori. Quindi, quando vivi un periodo non facile in un ambiente così piccolo è scomodo. Ovviamente, se si è creata questa situazione, ho anche le mie responsabilità, perché se si sbaglia lo si fa sempre in due. Ci sono cose che potevo fare meglio, e cercherò di farlo sin dall’avvio di stagione”, dettaglia, spiegando, poi, come siano diversi i fattori che lo abbiano fatto riflettere negli ultimi tempi, dalla lontananza dai bambini nel corso delle lunghe trasferte, al ricordo ancora vivido della durissima concussion di un paio di anni fa. “In maniera razionale questi fattori sicuramente hanno un peso nell’ottica della scelta. Stare di più con i bambini mi piacerebbe molto. Quando non ci sono sento che gli manco. Anche se penso che sia più la qualità del tempo speso con loro, che non la quantità, a fare la differenza, non sarebbe male riuscire ad essere vicino a loro il più possibile, a maggior ragione ora che stanno diventando grandi, pure con un nuovo fratellino in arrivo. La concussion, poi, ha lasciato un segno importante. Dopo quella botta sono andato in ospedale e ho passato un periodo, anche se molto breve, in coma. Nei mesi successivi, quando sono rientrato, un poco di paura l’ho sempre avuta. Quello è un colpo a cui mi capita ancora di pensare la notte”, sottolinea l’ala zebrata, che, descrivendo sé stesso, si definisce una persona umorale, quantificando al 50 % l’attuale percentuale di prosieguo della carriera, senza però escludere anche dei possibili cambi di scenario in tal senso.

“Tutti questi fattori, più la mia curiosità verso altre cose, possono influire nella scelta sul mio futuro. Ad oggi, se dovessi dare una percentuale al fatto di proseguire o meno oltre il 2020, ti direi 50 %. Va detto, però, che sono una persona molto emozionale. Se mi trovo bene in un posto, sono il tipo di persona che riesce a dare anche di più di quello che è nelle sue possibilità, ma c’è anche il lato opposto della medaglia. Quindi oggi dico 50/50 situation, ma magari l’anno prossimo scatta qualcosa di particolare e scelgo di proseguire altri 2/3 anni”, anche perché, seppur oggi appaia lontana, la nazionale, sullo sfondo potrebbe cambiare il panorama. “Con Conor, poi, ho un ottimo rapporto, anche al di là del mero contatto allenatore/giocatore. Dal punto di vista personale, tiene ai giocatori dal punto di vista umano, e con persone così vai facilmente d’accordo. Un discorso analogo posso farlo anche per coach Bradley, ma come detto prima, alle Zebre, non c’è lo stesso sistema, la compagine operativa è molto piccola e le cose quindi sono diverse”, conclude, lasciando intendere poi anche l’ambito in cui vorrebbe proseguire ne post carriera, sul quale, attraverso percorsi di studio variegati, sta investendo ormai da diversi anni.

“La prima laurea in Scienze dell’alimentazione è stata fatta proprio per curiosità personale, perché penso che l’alimentazione sia fondamentale per il benessere di una persona, ancora di più se un soggetto è un atleta professionistico. Il master invece l’ho fatto perché, per come mi vedo io, a fine carriera, vorrei continuare a dare qualcosa allo sport, ma non tanto in senso tecnico, ma in quello manageriale. Invece di fare lo sportivo di turno a cui a volte basta indossare una cravatta, una volta ritiratosi, per cambiare di ruolo, volevo iniziare a studiare, formarmi e costruire certe competenze”, ci saluta Giovambattista, pronto a staccare per una vacanza rigenerante in vista di una stagione da vivere da assoluto protagonista.

Matteo Viscardi

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