Ne abbiamo parlato con Carlo Filippucci, capitano di una squadra spacciata a febbraio e capace di salvarsi con un finale di stagione irripetibile
A metà febbraio, prima della quindicesima giornata, la Lazio era ultima con 11 punti di ritardo sul decimo posto nel Top 12. Sulla squadra capitolina era appena calata la scure dei quattro punti di penalizzazione, che per chiunque sembrava rappresentare la sentenza definitiva sulla retrocessione dei biancocelesti, che fino a lì in effetti non stavano nemmeno brillando particolarmente (avevano appena perso contro il Verona in casa, per intenderci).
Nonostante qualche timido segnale di ripresa, alla vigilia della terzultima giornata i punti di distacco rispetto alla zona salvezza erano ancora 9, con la trasferta a Firenze contro i Medicei e il derby contro le Fiamme Oro da disputare. Per una squadra che fino a quel momento aveva vinto tre partite in tutto il campionato, non sembravano esserci grandi speranze. E nessuno, forse nemmeno dentro la stessa Lazio, sembrava riporne troppe in un eventuale miracolo.
“Eravamo consapevoli di stare per retrocedere – ha detto a OnRugby il capitano della squadra, Carlo Filippucci – Dovevamo accettarlo e farlo nel migliore dei modi. Ci siamo detti, dalla penalizzazione in poi, che avevamo due modi per retrocedere: con rimpianti o senza rimpianti. Abbiamo deciso di giocare ogni partita come se fosse l’ultima, senza guardare alla classifica”.
“Ci siamo detti che avremmo tirato le somme alla fine del campionato. E poi ci siamo ritrovati a pari punti con il Verona”. Quella rimonta in cui non credeva più nessuno, infatti, si è realizzata nel modo più assurdo possibile. La Lazio ha vinto tutte le tre partite rimaste, ma non le ha semplicemente vinte: ha conquistato 15 punti su 15 e segnato ben 105 punti, senza mai abdicare ai propri princìpi di gioco e continuando a proporre un rugby coraggioso, come vuole il suo allenatore Daniele Montella.
Di per sé, un rush finale del genere per una squadra di bassa classifica non ha già nulla di normale. È per questo che la partita contro le Fiamme Oro, il vero punto di svolta dell’ascesa laziale, rende il tutto davvero irripetibile: a 17 minuti dalla fine, i biancocelesti si ritrovavano in svantaggio di quattordici punti sul 17-31, ma sono stati capaci ugualmente di ribaltare tutto con un piazzato e due mete, di cui quella decisiva firmata da Bruno oltre l’ottantesimo minuto.
La parte finale del derby contro le Fiamme Oro.
Il match contro il Valsugana era probabilmente già segnato in partenza, tant’è che la Lazio – prima di subire tre mete nel finale – si era portata senza troppi problemi sul 14-36. La sconfitta del Verona a Viadana ha fatto il resto, con i biancocelesti capaci di ricucire quel gap che li separava dagli scaligeri e agguantarli a quota 30 in classifica. Se l’avessero detto a Filippucci, o a uno qualunque dei componenti della rosa, difficilmente ci avrebbero creduto.
A quel punto, perdere lo spareggio contro il Verona sarebbe stato quasi delittuoso vista la rimonta fatta fino a quel momento. Il calcio di punizione di Bonifazi, a pochi minuti dalla fine, ha evitato che la retrocessione potesse rendere vana l’esaltante rimonta compiuta fino a quel momento.
“L’ultima partita è stata il culmine di un percorso iniziato nell’ultimo mese – ha continuato Filippucci – Forse non la più bella per quanto riguarda il rugby giocato, ma le partite dentro o fuori sono da vincere. Abbiamo fatto più punti di loro, non abbiamo espresso un gran gioco ma non importa”.
“Sarebbe stato facile mollare – ha detto il terza linea, 28 anni e 114 presenze con la Lazio nella massima serie – Ci sono stati dei momenti difficili, qualche scazzo o altri problemi vari, ma siamo riusciti a compattarci bene. La matematica non ci dava per spacciati nemmeno dopo la penalizzazione, e fino a quando non sarebbe stato così non potevamo mollare”.
In ogni caso, per quanto ci ha detto Filippucci, la squadra ha cominciato a credere nella salvezza non prima del fischio finale dell’ultima giornata. “Ci abbiamo creduto veramente da dopo la vittoria contro il Valsugana, perché banalmente se Verona avesse vinto contro il Viadana sarebbe finito tutto. Non stavamo facendo questa conversazione, ecco. Anche se la prima sliding door è stata la vittoria a Firenze contro i Medicei”.
Sono cose che, nella carriera di un giocatore, difficilmente possono ricapitare. “No, infatti. Anche perché non penso di poter gestire un’altra cosa simile (ride, ndr). Sia a livello fisico sia a livello mentale. A parte gli scherzi, è stata un’emozione grande, davvero troppo grande. Mi sto rivivendo la stagione ora nella mia mente e mi viene la pelle d’oca”.
Siamo arrivati a certe partite, anche fondamentali, senza tanti giocatori infortunati – ha continuato Filippucci, come ci aveva detto anche Montella – Ci siamo ritrovati a far giocare ragazzi della nostra Under 18, ma anche loro sono stati fondamentali e sono stati parte di questa cosa”.
Fare i conti con tutto questo, per il capitano, non deve essere stato banale. “Negli ultimi mesi il discorso era sempre lo stesso: chiudere la stagione senza rimpianti, senza paura e senza preoccuparsi della classifica e del campionato. Non ci preoccupava l’avversario che avevamo di fronte: volevamo vincere con cinque punti”.
Ripercorrendo a ritroso la stagione della Lazio, ci si accorge inoltre che già da settembre il campionato dei biancocelesti era partito con una rimonta: sotto di 15 punti al 60′ (5-20), la Lazio avrebbe poi vinto 24-23. Non si poteva certamente parlare di segno del destino, visto il rendimento dei mesi successivi. “Abbiamo perso non so quante partite di fila dopo, non le ho nemmeno contate”, ha detto Filippucci. Non abbastanza per atterrare definitivamente questa squadra, in ogni caso.
Daniele Pansardi
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