80° minuto: parole e numeri della stagione di Renato Giammarioli

Abbiamo parlato con il terza linea zebrato della stagione appena andata agli archivi, analizzando le sue interessanti statistiche

Renato Giammarioli – Italrugbystats

Nuova puntata della rubrica dal titolo “80° minuto” curata da Flavio “Fuser” Fogliani, Cristiano Gobbi, Luca Mammoli e Nicola Riccetti di italrugbystats, una pagina che parla del rugby italiano attraverso numeri e statistiche.
“80° minuto” è pensata come un approfondimento che utilizza i valori matematici espressi in campo per interpretare la storia della partita attraverso i numeri che la caratterizzano.

Nell’annata complessa delle Zebre Rugby, Renato Giammarioli, terza linea laziale del club di Parma, si è confermato come uno degli elementi più positivi all’interno della rosa della franchigia federale, incamerando numeri personali di tutto rilievo. Lo abbiamo contattato per commentare, assieme a lui, le interessanti statistiche archiviate in questo Pro14 ’18/’19.

Renato, immagino che dopo il sorprendente campionato dello scorso anno ci sia un po’ di delusione a livello di squadra. Individualmente, invece, hai messo assieme numeri importanti (sulle nostre classifiche sei la miglior terza linea per Player rating offensivo e globale). Tu come giudichi l’annata? La tua crescita come giocatore bilancia almeno in parte le difficoltà dell’annata appena passata?

Forse i traguardi che ci eravamo prefissati erano troppo alti, anche in relazione ai numeri della rosa.
Ad inizio campionato, infatti, le cose sembravano girare per il meglio, poi però gli infortuni ci hanno
penalizzato fortemente e ci siamo resi conto che la coperta era troppo corta per un campionato fisicamente impegnativo come il Pro14. Per quanto concerne la mia annata, invece, è difficile non crescere sotto la guida di un allenatore come Mike (Bradley, ndr) che ha sempre creduto in me.
Magari a livello di mete segnate non è stato un anno buono come quello passato, ma sono contento lo stesso, soprattutto per la crescita effettuata sotto vari punti di vista. principalmente in difesa, che era un poco il mio tallone d’Achille. Purtroppo io gioco e vivo molto per la squadra e quindi non c’è una totale soddisfazione, soprattutto ripensando alle tante partite che non siamo riusciti a vincere per colpe nostre.

Da quando è arrivato coach Bradley, le Zebre propongono un gioco altamente dinamico, una sorta di “run’n’gun” per usare termini NBA, muovendo molto la palla (contro il Benetton Rugby siete arrivati al 50% in più di passaggi per ogni fase) e correndo molto. La differenza, in termini negativi, quest’anno sembra poter essere rappresentata dalla scarsa efficacia di queste corse, visto che avete circa 500 corse totali in meno del Benetton Rugby, ma più di 2’000 metri guadagnati in meno. Pensi che questo gioco con molta palla in mano sia l’ideale per le tue caratteristiche? Mentre per la squadra?

Il gioco che ha impostato Mike è l’ideale per me, non essendo un numero otto gigantesco, ma più che altro un giocatore che cerca molto l’uno contro uno e la velocità per portare avanti l’ovale. Ho la fortuna di trovarmi a giocare esattamente il tipo di rugby che adoro. Il discorso dell’efficacia è, forse, un po’ più complesso: da un lato ci sono gli infortuni che ci hanno privato di alcuni giocatori e allo stesso tempo hanno portato a un sovra-utilizzo di chi era arruolabile, che però ha avuto inevitabili cali di rendimento. Dall’altro, forse, il nostro gioco non è stato più una sorpresa per le altre squadre che avevano studiato contromosse efficaci a differenza dello scorso anno.

Sei un numero 8 che attacca con profitto. Guidi la classifica interna delle Zebre per clean breaks (18, +3 da Balekana, secondo) e difensori battuti (48, +13 su Meyer secondo) e sei il secondo per metri corsi totali dietro Padovani (ma il primo per indice-player rating di metri corsi). Questi numeri definiscono il tuo stile di gioco ‘classico’, oppure derivano da specifiche richieste di coach Bradley?

Questo è il gioco che mi viene istintivo e più naturale, ho sempre giocato così fin dai tempi
dell’Accademia. Cerco con costanza il confronto, la “sfida” con l’avversari,o per portare avanti la palla, magari creando un intervallo, oppure dando continuità all’azione offensiva con un riciclo. Fortunatamente, il gioco di Mike è tale per cui si cerca sempre di allargare la difesa avversaria. Uno stile, quindi, che mi mette nelle migliori condizioni per esprimermi.

Anche in difesa hai ottimi numeri: sei secondo a pari merito con Fabiani (100, -44 da Biagi e Sisi, anche loro a pari merito) per numero di placcaggi fatti, ma con una percentuale di successo migliore. A livello di turnover forzati, invece, non replichi questi risultati. E’ anche questa una richiesta dello staff (non cercare di contestare troppo nel breakdown, ndr), oppure è un’interpretazione della gara in linea con il tuo modo di giocare?

Personalmente dallo scorso anno ho lavorato molto sul placcaggio, che era un punto meno forte del mio gioco, e sono contento che i numeri dimostrino la bontà dei risultati ottenuti in tal senso.
Per quanto riguarda il breakdown, Bradley chiede sempre una linea densa che salga e tolga spazio agli avversari, quindi non c’è uno speciale focus da parte dello staff sul disturbare il raggruppamento avversario, ma c’è, piuttosto, una specifica volontà di non “perdere” troppi giocatori in ruck.

La nazionale invece gioca un rugby più conservativo, più simile a quello proposto dal Benetton Rugby. Pensi che sia un possibile limite, per te, per ritagliarti uno spazio importante, oppure sei abbastanza tranquillo di poter variare il tuo gioco a sufficienza per poter rilanciarti per una maglia da titolare o quantomeno per un posto stabile nelle rotazioni?

E’ vero, la Nazionale ha un gioco più simile al Benetton, però, va detto che anche con le Zebre abbiamo trovato squadre che hanno linee difensive molto forti e strette (come Munster, per esempio) che ci costringevano a giocare in spazi ridotti, portandoci a sviluppare più fasi ed alla conservazione del pallone. Anche in contesti del genere, che sulla carta sono l’opposto delle mie caratteristiche, sono riuscito a mettere a referto buoni numeri, per cui penso di potermi adattare, a maggior ragione per un posto in maglia azzurra. La concorrenza c’è, inutile negarlo, ma cerco di concentrarmi su me stesso, e sul dimostrare il giocatore che sono e che posso essere. Non posso recriminare di non essere stato scelto, né farmene una colpa. Detto questo però al centro dei miei obiettivi c’è la motivazione di arrivare ad essere titolare per il mio paese.

Dopo il mondiale il giocatore più importante e rappresentativo della selezione italiana lascerà la maglia azzurra. Tu sei tra i giovani in rampa di lancio e in predicato di prendere quel posto. Senti la responsabilità di riempire un vuoto così grande? Come vedi la concorrenza nel ruolo, che quest’anno è forse agguerrita come non mai?

E’ certamente una maglia pesante da ereditare, sia per le indubbie qualità tecniche di Sergio che
per la persona che è e l’importanza che ha per tutti noi come punto di riferimento. Da un certo punto di vista, io sono contento di giocare nel suo ruolo, perché mi piace la pressione che deriva dalla responsabilità di una maglia del genere. Giocatori come lui non credo ci saranno per un bel po’, ma io spero quantomeno di non farlo rimpiangere quando e se dovessi indossarla io.

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