Il bilancio della stagione giovanile: palla a Mattia Dolcetto

Il responsabile tecnico della nazionale under 18 racconta il lavoro dello staff, i risultati ottenuti e il potenziale dei giovani giocatori

ph. Federugby

La nazionale Under 18 gioca un numero limitato di partite all’anno, ma non per questo il lavoro dello staff tecnico della nazionale si riduce a quelle poche settimane. Mattia Dolcetto, responsabile tecnico della categoria, ha raccontato i risultati ottenuti dalla squadra nazionale in questa stagione, sia a livello di partite che di sviluppo individuale, il lavoro che c’è stato dietro e ha dato un giudizio sulle potenzialità del gruppo che ha indossato la maglia azzurra in questa stagione.

Partiamo dal Six Nations Festival: due successi, contro Scozia e Galles, quindi credo si possa dare una valutazione positiva? Come dobbiamo considerare il torneo della nostra under 18?

Al di là dei risultati, che sono importanti per acquisire la fiducia e l’abitudine a vincere, in particolar modo per il futuro, quando poi i ragazzi andranno ad affrontare le altre nazionali in under 20, il nostro Six Nations Festival è stato positivo. Siamo stati consistenti e performanti in tutte le occasioni, anche nella partita persa contro la Francia: è stata una sconfitta, ma i ragazzi hanno fatto un’ottima gara, con oltre il 65% di possesso palla e dimostrando di essere sempre propositivi. I nostri giocatori sono stati fisicamente, tecnicamente ma soprattutto mentalmente all’altezza. È veramente un gruppo molto motivato, con le idee chiare su quello che è il loro futuro. E quindi questo è stato un passo importante, il loro primo passo internazionale.

La Francia ci ha battuto due volte in questa stagione, dimostrando di essere tendenzialmente migliore di noi. Che cosa è mancato in questo caso e come possiamo lavorare per chiudere il gap nei loro confronti?

Sì, oltre che al Six Nations Festival la Francia ci ha battuto anche a Marcoussis, precedentemente. Guardiamo le cose da un prospettiva più ampia rispetto ai due risultati di quest’anno: noi non potremo avere mai la qualità dei giocatori che hanno Inghilterra e Francia. È un semplice fatto numerico: loro hanno un bacino più ampio dal quale attingere, molte più strutture, un vissuto molto più grande anche solo dal punto di vista storico. Per cui paragonarsi a Francia e Inghilterra mi sembra un azzardo. È interessante invece il fatto che siamo sempre più vicini, che nonostante le differenze a cui accennavo la partita di aprile contro la Francia la abbiamo persa per una meta su un calcio ribattuto, su un placcaggio individuale, su un calcetto dietro la linea. A Marcoussis eravamo alla nostra prima partita e inevitabilmente abbiamo subito la loro maggiore prontezza nel primo tempo, andando sotto di circa 20 punti. Poi nel secondo siamo stati bravi a segnare tre mete. Anche in questo caso comunque ci siamo trovati ad avere a che fare con degli episodi singoli, piccoli dettagli anche fortunosi, che hanno determinato la sconfitta. Però in conquista, fra mischia e touche, siamo stati i migliori del torneo, e abbiamo segnato sempre almeno tre mete in ogni partita.

Il Six Nations Festival è solo alla seconda edizione: quanto è utile una rassegna internazionale per atleti di questa età?

È molto importante. Il Six Nations Festival esiste in realtà da quattro anni come competizione, ma solo da due è entrato all’interno delle competizioni targate Sei Nazioni. L’importanza non sta solo nelle sfide, ma anche nella formula che aveva il torneo quest’anno: tutte e sei le squadre risiedevano nello stesso ambiente, con un continuo scambio fra giocatori, staff e tutto il resto. Inoltre l’organizzazione ha fissato una serie di meeting fra gli allenatori, gli staff medici, i giocatori. Questo è servito anche per far capire ai nostri ragazzi che hanno anche loro tanta qualità e che se lavorano nel modo giusto possono aspirare a grandi risultati. Un’altra cosa positiva del Festival è l’assenza di una classifica: in questo modo è tagliato fuori il gioco speculativo per cercare il risultato, ma è tutto improntato a giocare e a sperimentare.

Quali erano i rapporti di forza fra le squadre presenti? Quali di questi possiamo considerare strutturali e quali invece variano molto di anno in anno?

Il nostro livello è da qualche anno costantemente più vicino a quello delle squadre celtiche, Scozia, Irlanda e Galles. I nostri ragazzi, rispetto agli anni scorsi, si sono fatti trovare maggiormente preparati per affrontare partite internazionali dal punto di vista mentale, fisico e tecnico. Questi sono i frutti di ciò che nasce dai Centri di Formazione, dove c’è un lavoro continuo non solo sugli aspetti atletici e tecnici, ma anche dal punto di vista della preparazione mentale. Si tratta di un qualcosa che è ormai consolidato, poi ovviamente le cose cambiano di anno in anno: in un anno possiamo avere più qualità nel reparto dei trequarti e meno consistenza in prima linea, un altro anno abbiamo ottime seconde linee e pochi ricambi in terza linea. Dico un’altra cosa che si è consolidata in questi quattro anni al Six Nations Festival: siamo tra le poche squadre ad aver sempre vinto almeno una partita sulle tre disputate ogni edizione.  Una cosa che ad esempio l’Inghilterra non è riuscita a fare.

Come funziona il rapporto fra staff tecnico della nazionale under 18 e i Centri di Formazione?

Siamo legati a doppio filo: io mi sento settimanalmente con i tecnici dei vari Centri di Formazione. Sappiamo come lavorano tutti, quali sono le specifiche tecniche, fisiche, mentali degli atleti inseriti nei vari centri. È stata proficua la collaborazione all’interno del nostro gruppo con Agustin Cavalieri e Alessandro Castagna, che oltre a essere due grandi professionisti sono anche due grandi persone, perché al di là del lavoro tecnico in touche o in mischia ordinata, sanno gestire il loro ruolo anche all’interno di un contesto di squadra. Per la parte atletica è Pierosario Giuliano che ha svolto un gran lavoro di coordinamento con tutti i preparatori dei Centri di Formazione.

La maggior parte del reclutamento della nazionale under 18 avviene quindi all’interno dei Centri di Formazione. Esiste però anche un’attività di monitoraggio e selezione di giocatori che sono rimasti fuori da quel circuito?

Certo. Solo al Six Nations Festival avevamo Gesi, Ravagnan e due ragazzi provenienti da club esteri che non fanno parte dei Centri di Formazione. Durante l’anno organizziamo inoltre partite tra Centri di Formazione, durante le quali vengono invitati anche esterni, per poterli valutare. Non faccio nomi per non togliere meriti a nessuno, ma ragazzi che non sono entrati l’anno scorso sono poi stati aggregati quest’anno grazie al fatto di essersi messi in luce con i club.

Che rapporto c’è con il resto dello staff delle selezioni nazionali?

C’è ovviamente un coordinamento della attività all’interno della struttura delle selezioni nazionali. Per quanto mi riguarda, al fine di dare continuità al lavoro c’è un rapporto costante con i responsabili della nazionale under 20. Fabio Roselli e Andrea Moretti sono sempre i primi a chiedermi com’è andata dopo ogni competizione, quali giocatori si sono messi in luce, dove c’è maggiormente da lavorare a livello individuale e collettivo.

Diamo un giudizio complessivo della classe Under 18 di quest’anno.

Questo è stato un buonissimo gruppo, soprattutto nel reparto degli avanti ci sono buonissime individualità. Particolarmente nel reparto delle terze linee ci sono giocatori veramente interessanti, e anche la mediana ha fatto molto bene. In generale si è trattato di un gruppo equilibrato. L’anno scorso, ad esempio, avevamo tantissimi spunti di velocità nella linea dei trequarti, mentre quest’anno ci sono alcuni giocatori del reparto avanzato che possono essere subito inseriti nella under 20 della prossima stagione.

Lorenzo Calamai

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