L’impronta di Nicola Bezzati sui successi del Valsugana

Abbiamo parlato con il coach delle patavine alla vigilia della quinta finale scudetto consecutiva, cercando di carpirne i segreti

ph. Ettore Griffoni

All’interno del favoloso ciclo sportivo del Valsugana Rugby Padova, che si appresta a giocare la quinta finale di Serie A femminile consecutiva, uno dei segreti alla base di questo continua capacità di confermarsi e rinnovarsi si può ricondurre, come confessatoci da Valentina Ruzza nelle scorse settimane, nella qualità del lavoro dello staff tecnico, che trova in Nicola Bezzati, head coach delle patavine, la figura apicale. All’ex seconda linea, nonché capitano del Petrarca, è riconosciuta, da più parti, una cura maniacale del dettaglio tecnico-tattico (con la touche fiore all’occhiello della casa), oltre alla minuziosa capacità di gestire i rapporti dentro ad un gruppo, quello del Valsu, denso di giocatrici di altissimo livello e grande personalità.

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Il cammino verso Calvisano

Un gruppo che ha superato il primo grande ostacolo verso il titolo, domenica, al termine di una battaglia contro le campionesse d’Italia in carica di Colorno. “Sapevamo che con Colorno sarebbe stata una sfida ad alto ritmo ed alta intensità fisica, ed in effetti così è stato, perché le ragazze di entrambi i team ci hanno dato dentro (sorride, ndr). Siamo riusciti a superare il contest in quel senso. Siamo molto contenti di quanto fatto, e soddisfatti per il traguardo raggiunto. Poi, va detto che abbiamo giocato in casa, di fronte ad un pubblico fantastico, con 500/600 persone sugli spalti. Un bell’ambiente, una bella situazione. L’atmosfera ci ha spinto, in quella che, di fatto, siamo consci fosse una prima finale, anche alla luce di quanto accaduto nelle ultime stagioni. In pratica è come se andassimo a giocarne due, di partite decisive, nell’arco di sei giorni”, spiega ad OnRugby Nicola Bezzati già proiettato sull’atto finale in terra bresciana, da attendere (e vivere), però, con serenità, per quanto possibile.

“Questa settimana abbiamo volutamente messo poca pressione sulle ragazze. Non abbiamo cambiato nulla nel nostro modus operandi. Ovviamente abbiamo studiato l’attacco del Villorba, e dovremo stare particolarmente attenti ad individualità del calibro di Barattin e Furlan, su tutte, che hanno grande esperienza in contesti di alto livello e possono cambiare la partita in ogni singolo momento. Il nostro focus, tuttavia, è su noi stessi, sul nostro game plan, stabilito e limato negli ultimi mesi, che dovremo sviluppare nel modo migliore possibile. Di sicuro il lavoro fatto in stagione e nelle ultime settimane ha portato positività e, come sempre, la finale non sarà un esame per dare un giudizio sull’operato complessivo di un’annata, ma l’occasione per toglierci una soddisfazione e chiudere questi mesi di grande impegno al meglio”, spiega il coach, prima di confessare un pizzico di amarezza per le sensazioni generali, createsi dall’esterno, attorno al suo team, in avvio di annata.

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La realtà Valsugana

“Sembravamo diventati quasi una Cerentola ad inizio stagione, parlando di considerazione generale, e la cosa mi ha sorpreso, alla luce del percorso svolto negli ultimi anni. Per fortuna, con il nostro crescendo, qualcuno si è accorto che le cose, a Padova, funzionavano ancora abbastanza bene. Io cerco sempre di informarmi, di migliorarmi, a livello tecnico (e non solo), confrontandomi con gli altri staff e le altre società. A volte mi sorprende, invece, constatare che siano pochi coloro i quali abbiano voluto o potuto, in tempi recenti, relazionarsi, in tal senso con noi”, spiega, introducendo la realtà femminile complessiva del Valsugana, che vanta numeri davvero notevoli.

“Tra staff e ragazze, nell’ambito femminile abbiamo una novantina di tesserate (senza tutoraggi e mercato) un dato che inorgoglisce. Obiettivamente, quando arrivi al campo e vedi una trentina di bimbe che si allenano prima di te, non puoi restare impassibile. Abbiamo il nostro progetto e la nostra idea di lavoro, che mette sempre i gruppo, il collettivo, in prima posizione, per permettere, poi, al singolo talento di esprimersi al meglio. Se facciamo l’esempio della prima squadra, nonostante si possa contare su cinque nazionali di un certo peso, il team non gira univocamente attorno a loro. Anzi, la squadra è sviluppata per rendere a meglio dentro un sistema, nel quale possono esaltarsi gli individui, ma che deve poter reggere anche in assenza dell’una o dell’altra. Questo fa la differenza. Così, dietro alle ragazze azzurre che si sono viste quest’anno al Sei Nazioni, ci sono un sacco di ragazze che hanno qualità eccellenti, skills di primo livello. Anche se magari non se ne parla abbastanza, ragazze come Giulia Cerato, Silvia Folli, Bea Veronese, le due Ostuni, Andreaggi, Silvia Stoppa sono tutti elementi di grande, che non hanno nulla da invidiare alle compagne, così come tante altre ragazze, che a loro volta, magari subito dietro, stanno migliorando continuamente, e spesso capita che forniscano le prestazioni migliori di giornata”, racconta orgoglioso del suo gruppo, nel quale non fa prigionieri, Nicola Bezzati, che, poi, oltre a ringraziare ed omaggiare il suo staff, spende con grande emozione parole di gratitudine per la società.

La forza societaria

“Se le cose vanno per il meglio, penso si debba ringraziare, in primis, la famiglia Beraldin. La presidenza ha sempre dimostrato un’attenzione reale, con fatti concreti, alla nostra realtà femminile. Parliamo di signori che ti chiamano al lunedì per essere certi che il tragitto con il bus sia andato bene, per capire se la strumentazione sportiva è a posto, per darti un sostegno vero, sentito, in qualsiasi modo sia andata la settimana. Ho la fortuna di allenare in una società che non ci ha mai fatto mancare nulla. Al Valsu le ragazze hanno un’assicurazione personale, uno spogliatoio privato, esclusivo per la nostra squadra, orari in cui palestra e fisioterapisti sono a nostra disposizione. Tutto ragionando sempre secondo le possibilità del club, senza fare mai il passo più lungo della gamba”, chiarisce Nicola Bezzati, che, prima di concludere, e rimettersi a studiare in vista della gara con Villorba, ci fornisce la sua ricetta per la crescita reale del movimento, e quindi dei settori giovanile, serbatoio vitale del nostro rugby.

Guardando da vicino la nostra realtà giovanile, con sempre più bimbe che si avvicinano desiderose di intraprendere il percorso rugbistico, posso dire che le problematiche per creare una base forte, tra le Juniores, sono da affrontare a livello psicomotorio e sociale, e non rugbistico. Bisogna far capire alle famiglie ed alle ragazze come lo sport vada praticato non fine a se stesso, ma legato ad una base solida a livello psicologico, comprendendo cosa significhi realmente fare sacrifici in allenamento, approcciare uno sport di contatto e far fatica. Il tutto abbinato però alla parte motoria, passando dal lavoro a corpo libero, sino agli aspetti coordinativi. Purtroppo, alla luce di quello che mi capita spesso di vedere, tanti dei nostri bambini non fanno più attività motoria libera, ed è un problema”, chiude Bezzati, speranzoso di vedere presto un cambio di passo in tal senso.

Matteo Viscardi

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