Il flanker del Benetton e della nazionale ha giocato la miglior stagione della sua carriera finora. E lo confermano anche i numeri
Nuova puntata della rubrica dal titolo “80° minuto” curata da Flavio “Fuser” Fogliani, Cristiano Gobbi, Luca Mammoli e Nicola Riccetti di Italrugbystats, una pagina che parla del rugby italiano attraverso numeri e statistiche.
“80° minuto” è pensata come un approfondimento che utilizza i valori matematici espressi in campo per interpretare la storia della partita attraverso i numeri che la caratterizzano.
Abraham ‘Braam’ Steyn è stato senza dubbio uno dei migliori giocatori nel panorama rugbistico italiano della stagione passata. Il sudafricano, in Italia dal 2012, ha limato in maniera importante i difetti di indisciplina che ne avevano condizionato le prestazioni nelle prime stagioni internazionali, diventando un giocatore molto più efficace in tutti le aree di gioco.
Quest’anno è stato senza dubbio esaltante sia a livello di club che come prestazioni individuali. Ti senti di aver finalmente dimostrato a pieno il tuo valore? Come ci si sente ad aver finalmente raggiunto un alto livello di rispetto internazionale, con i quarti di finale col club e la tua nomination per la miglior formazione del torneo?
Si e no. Sono molto contento di essere arrivato dove sono ora, e finalmente sento di avere sufficiente sicurezza nei miei mezzi per permettermi di fare ciò che ho fatto in campo. Questo, però, è e deve essere solo l’inizio. Sono fermamente convinto che ogni atleta debba puntare sempre a migliorarsi: vedo i risultati di questa stagione come un primo step, con il quale ho dimostrato quello che posso dare ad una squadra, però per me sono solo l’inizio e voglio continuare a crescere giorno dopo giorno.
Ho avuto una stagione molto consistente, questo paradossalmente può mettere addosso la paura di sbagliare, mentre il mio obiettivo è essere ancora più sicuro delle mie prestazioni per potermi esprimere al massimo della libertà. Quest’anno, poi, è stato davvero speciale, e, finalmente, in campo ho ritrovato il divertimento e il piacere di giocare a rugby, e penso che anche il pubblico se ne sia accorto.
Sei l’avanti che ha portato palla più volte (138, a pari merito con Negri), facendo più metri (442, +191 su Barbini, secondo) e battendo più difensori (24, +1 su Barbini, secondo). In partita sei anche molto spesso il primo uomo del pod d’attacco, sintomo che questi numeri non sono soltanto casuali, ma legati ad una abilità offensiva che ti viene riconosciuta dallo staff e dai compagni. Ti ritrovi in questi numeri? Come ti senti ad essere una delle principali armi offensive del gioco del Benetton?
Le statistiche sono fondamentali ma a volte non restituiscono la completezza e le variabili che possono presentarsi nella dinamica del gioco. Lo staff tecnico, nel nostro gameplan, cerca molto di mettermi in condizione di portare palla, di fare un lavoro da “workhorse”, usando la mia fisicità in mezzo al campo. Sono contento dei dati sull’efficacia delle mie cariche, perché, in fondo è quello che mi viene chiesto, ossia di fare da ariete per aprire spazi per compagni che sono efficaci nel sfruttarli, come, tra i miei compagni di mischia, Federico (Ruzza, ndr).
Anche in fase difensiva hai ottimi numeri: sei il terzo nel Benetton per placcaggi a partita (10.7, a -3.1 da Lamaro, primo, e a -2.9 da Negri, secondo) e sei tra i pochi giocatori a superare lo 0.9 turnover a partita. Questo tuo apporto in ruck, che vediamo non è molto frequente nella squadra, è una cosa che ti viene chiesta esplicitamente dallo staff, legata alla tua posizione in campo, oppure, come ci diceva anche Ruzza, è legata alla tua sensibilità individuale e alla capacità di leggere la situazione?
Il lavoro da grillotalpa non mi è mai stato chiesto nello specifico, visto anche il mio fisico e la mia altezza, che potrebbero essere controproducenti. Però io ho lavorato sempre tantissimo per essere un giocatore completo che sappia interpretare al meglio ogni aspetto del gioco. In quest’ottica mi fa piacere il dato sui turnover, ma penso di poterlo ancora migliorare.
Sto facendo, ora in preseason, un lavoro specifico proprio con questo obiettivo. Per quanto riguarda, invece, l’interpretazione dell’intervento nel breakdown, per me è principalmente questione di istinto. Io sono confidente del mio fisico e della mia capacità di essere efficace in una ruck difensiva. Il punto chiave è cercare di non sprecare tentativi quando il margine di riuscita è minimo, ma quando immagino una possibilità vado al 100%.
In questa stagione al Benetton hai sempre giocato da flanker, sia prima sia dopo l’arrivo di un numero otto puro come Toa Halafihi. Dal tuo punto di vista, come cambia giocare da flanker rispetto ad altre soluzioni?
In linea generale al Benetton ho quasi sempre flanker, e quando ho coperto il posto a numero 8, come ad inizio stagione, è stato per emergenza come per Nasi (Manu ndr) e Barbini. Per di più, al Benetton, nel gruppo delle terze linee c’è un ottimo feeling che ci permette, anche in partita, di dividere il lavoro in base alla stanchezza e alle sensazioni individuali. Spesso, infatti, capita di alternarci in diversi momenti della gara, per permettere a tutti di essere al massimo il più a lungo possibile, favorendo il contributo del giocatore in quanto tale e tralasciando qualunque discorso legato ai ruoli che avevamo ad inizio partita.
Se guardo ai miei inizi, terza centro è il ruolo dove sono cresciuto e mi diverto sempre molto a giocarci, anche se adesso penso che nel rugby internazionale il mio ruolo principale sia numero 7. Adoro stare in mezzo al casino, dare e prendere botte e lavorare duro, per permettere ad altri giocatori di avere spazi da poter sfruttare. Cerco di essere questo tipo di giocatore, e con questo lavoro, di diventare irrinunciabile per la squadra.
Anche in nazionale quest’anno le tue prestazioni sono state ottime. Al Sei Nazioni sei stato il giocatore che ha tentato più cariche dopo Parisse (12 per partita), il terzo avanti per metri conquistati (24.4 per partita, -9.6 da Polledri, primo, e -2.2 da Ruzza secondo), il primo avanti per turnover forzati (1 per partita), il secondo giocatore per placcaggi fatti (12 a partita, -2.2 da Ghiraldini) e il terzo per la miglior percentuale di placcaggi riusciti (93.8%, -4% da Negri, primo, e -1.2% da Lovotti, secondo).
Pensi che un workrate del genere certifichi definitivamente la tua consacrazione anche a livello internazionale? Quanto pensi che il sistema di gioco adottato in nazionale, simile a quello del Benetton, aiuti le tue caratteristiche migliori ad emergere?
Mi piace pensare di essermi guadagnato il rispetto delle altre squadre del Sei Nazioni, anche se questo porta inevitabilmente una pressione maggiore. Ora che mi conoscono gli avversari mi studiano, cercano di limitarmi e hanno più contromosse a disposizione. Questo però è molto bello, mi stimola ancora di più, mi sprona e mi dà i brividi il pensiero di non permettere loro di fermarmi per quanto possano studiarmi e conoscermi.
Per quanto riguarda le differenze in termini tattici, è vero, non sono molte tra Treviso e Nazionale. Per di più, come flanker hai dei compiti minimi che sono standard in tutte le squadre. In nazionale c’è una tattica più fluida, dove mi viene data la possibilità di trovare più liberamente la posizione migliore in campo, mentre al Benetton la l’approccio è più strutturato, ma personalmente mi trovo bene in entrambi i sistemi.
Le altre interviste di Italrugbystats:
– Marco Riccioni
– Renato Giammarioli
– Federico Ruzza
– Edoardo Padovani
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