80° minuto: I numeri e le parole di Mattia Bellini

L’intervista, a cura di Italrugbystats, al trequarti delle Zebre e della Nazionale prende in analisi stagione passata e futura

Italrugbystats

Nuova puntata della rubrica dal titolo “80° minuto” curata da Flavio “Fuser” Fogliani, Cristiano Gobbi, Luca Mammoli e Nicola Riccetti di Italrugbystats, una pagina che parla del rugby italiano attraverso numeri e statistiche.
“80° minuto” è pensata come un approfondimento che utilizza i valori matematici espressi in campo per interpretare la storia della partita attraverso i numeri che la caratterizzano.

Ciao Mattia, innanzitutto grazie per aver accettato di fare due chiacchiere con noi. L’ultima stagione, ne abbiamo già parlato nelle nostre precedenti interviste con Renato Giammarioli e Edoardo Padovani, non è certo stata esaltante per le Zebre, visto che c’erano aspettative diverse dopo l’interessante stagione 2017/18. Per te, in più, c’è stato anche l’infortunio.
Quali sono le tue sensazioni per quanto riguarda la stagione? Hai provato a spiegarti perché non siete riusciti a replicare i risultati della stagione precedente?
Per quanto riguarda te in prima persona, quanto è stato duro recuperare dall’infortunio e come ti senti adesso, soprattutto in ottica nazionale?
Sinceramente non vedo questa differenza abissale tra le ultime due stagioni. A mio modo di vedere, il vero solco e stato tracciato a partire dalla stagione 2017/18, ed è dovuto al fatto che finalmente abbiamo una struttura sia tecnica che manageriale che permette a noi giocatori di essere liberi e concentrati esclusivamente sul nostro lavoro. Questo ha ovviamente portato buoni risultati, soprattutto dal punto di vista della formazione di un gruppo unito e della volontà di credere e iniziare un percorso tattico con Mike [Bradley], che poi si è rivelato sia efficace che entusiasmante e divertente sia per noi che lo giocavamo sia per il pubblico. Purtroppo nello sport professionistico non è mai facile confermarsi, dopo un’annata del genere le squadre hanno cominciato a studiarci meglio e a mettere in campo contromosse adeguate, soprattutto non permettendoci di sfruttare l´ampiezza del campo come spesso cercavamo di fare.
Ad inizio stagione, quest’anno, abbiamo fatto buone prestazioni e avuto risultati incoraggianti, poi però gli infortuni di Matteo [Minozzi], Tommaso [Castello], Lollo [Eduardo Bello]), il mio, e tanti altri hanno dimostrato come la profondità della rosa faccia la differenza, in uno sport che sta andando a livello internazionale sempre di più verso l’usura estrema dei giocatori.
Per quanto riguarda me personalmente, 5 mesi lontano dai campi non sono pochi sia dal punto di vista mentale che fisico. Purtroppo, però, ho già avuto esperienza di interventi con tempi di recupero molto lunghi [infortunio al crociato anteriore nel 2013],  e questo mi ha permesso di affrontare questo infortunio in maniera più propositiva. Per di più, nella sfortuna ho avuto la fortuna di poter passare il periodo di recupero con Marcello [Violi] e sotto le attenzioni di Matteo Cavalca, due persone che mi hanno permesso di gestire la riabilitazione nel modo migliore, sia dal punto di vista umano che professionale.
Però, lo abbiamo già detto, il rugby moderno è anche questo: noi giocatori siamo sempre al limite, e si torna di nuovo al discorso della profondità della rosa, che permette a tutti di recuperare al massimo, minimizzando, per quanto possibile, queste situazioni.

Offensivamente sei il secondo giocatore delle Zebre per mete per partita (0.3 a pari merito con Tuivaiti e a -0.2 da Canna, primo), il terzo per difensori battuti per partita (2.8 a -2 da Giammarioli, primo, e a -0.3 da Balekana) e il primo per offload per partita (1.9, se si esclude D’Onofrio che ha giocato solo una partita). Quanto pensi sia mancato questo tuo apporto offensivo ad una squadra che fa molto volume, ma ha dimostrato principalmente problemi nella trasformazione di questo gioco in metri guadagnati e punti fatti? Pensi che questo tema dell’efficacia sia una della chiavi alla luce delle quali interpretare i risultati stagionali?Mi considero un giocatore che adora portare palla, attaccare e cercare l´offload: la parte offensiva è il mio “habitat naturale“ nel rugby, e sono molto legato al divertimento. Le statistiche le seguo più per la parte difensiva [ride].
Due anni fa si era creata una chimica speciale tra noi, non credo che quest´anno sia mancato troppo il mio apporto in quanto tale, anche perché sono arrivati altri giocatori come Jamie Elliott e il ritorno in forma di Edo [Padovani]. Per questo non mi sento di dire che sia stata la mancanza di un giocatore singolo, tra i tanti infortunati, perché avevamo altri giocatori.
Secondo me è mancato qualcosa dal punto di vista dell’umore e della reazione: dopo tante sconfitte, la maggior parte delle quali in partite alla nostra portata, è difficile avere l’attitudine corretta, soprattutto quando tanti senatori, che sono poi coloro che dovrebbe salire in cattedra in questi momenti, sono fuori per infortuni vari. Però questi sono passaggi inevitabili per una squadra, soprattutto giovane come la nostra, e servono anche a stimolare una reazione e una presa di coscienza da parte degli atleti che devono diventare lo zoccolo duro del domani.

Anche difensivamente sei il trequarti esterno che ha messo a referto più placcaggi per partita (4.1 +1.0 da Balekana), con la migliore percentuale di efficacia (75%) e con il maggior numero di turnover per partita di tutta la squadra (1.8). Renato Giammarioli ci ha raccontato come Bradley chieda principalmente una linea densa senza grosso lavoro nel breakdown. Questi tuoi numeri sono legati alla tua sensibilità individuale nel leggere le situazioni (soprattutto quelli di turnover)? Il tuo impatto al placcaggio non è molto lontano dai centri, pensi possa essere una naturale evoluzione del tuo gioco, prima o poi, per metterti più al centro dell’attacco? E, eventualmente, ti piacerebbe?
Sì, certamente. Sono nato come numero 13 e con Troncon in under 20 giocavo sempre secondo centro. Sono stato spostato all’ala al Petrarca. E’ un ruolo che mi piace molto e che interpreto sempre volentieri, infatti nel 2017/18 le prime partite le ho giocate centro, con Giulio [Bisegni] ala.
In verità, nel nostro gioco offensivo non ci sono delle differenze incredibili, dato che siamo abbastanza fluidi nelle posizioni in campo. Però, in difesa , Giulio per me è uno dei più forti d’Italia nelle letture difensive, quindi ci sta che il 13 titolare sia lui. Questo però non mi limita, certo partendo da secondo centro si è più vicini al gioco e all’apertura e ci si possono prendere più responsabilità in termini di playmaking e decision-making. Però, come detto, in attacco il nostro gioco è molto arioso e la distribuzione dei giocatori del pacchetto di mischia in campo è molto ampia, mettendo spesso me vicino al primo pod di attacco, e quindi al primo ricevitore.
Per di più, questo è l´ideale per me, visto che mi piace trovarmi lo spazio in campo di volta in volta, per cercare di evitare di fare sempre le stesse azioni e gli stessi movimenti e di non mettere dubbi alla difesa.
Con lo staff delle Zebre però c’è questo discorso aperto, che in situazioni di necessità, potrei essere una opportunità a 13.

Le Zebre sono state molto attive sul mercato andando a prendere ben 13 giocatori. Tre elementi (Laloifi, Bruno e Walker), tra cui due stranieri, sono giocatori di triangolo allargato. Come ti approcci alla differente concorrenza che ci sarà il prossimo anno in squadra? C’è la possibilità per te anche di un cambio di ruolo, oppure sei concentrato e confidente per il tuo posto all’ala?
Tutt’altro. Io sono molto felice per questi acquisti, sia perché ci aiutano a risolvere il problema della profondità della rosa, sia perché aumentano anche qualitativamente la concorrenza. Al Petrarca sono arrivato che ero molto giovane e faticavo a trovare campo, ma lo stimolo e la voglia di crescere che questa concorrenza ha sviluppato in me mi ha permesso di essere il giocatore che sono ora. Personalmente non vedo l’ora che inizi la prossima stagione, spero di ritrovare questa sensazione e questa voglia di arrivare ai miei limiti. Per me questa è la più grande dimostrazione dello sport: fare il massimo di quanto sia possibile ad ognuno di noi, ma allo stesso tempo essere onesti, se necessario, e ammettere se qualcuno dovesse essere migliore e accettare che vada lui in campo.
Il mio obiettivo ultimo, come rugbista, è quello essere il miglior Mattia Bellini possibile per me, la mia famiglia, la mia squadra. La concorrenza, credo, è l’unico modo per raggiungere questo mio traguardo, per cui ben vengano giocatori forti.

Anche in nazionale la concorrenza comincia ad essere numerosa. Ti stimola o non ti aiuta? Come ti senti in chiave mondiale, sia per quello che ti dice Conor O’Shea, sia per la tua condizione fisica?
Come per le Zebre, finalmente anche in nazionale c’è un gruppo allargato di ottimi atleti. Da un punto di vista strettamente tecnico, siamo tutti diversi, per esempio Matteo [Minozzi], che con il Giappone ha giocato al mio posto, oltre alle caratteristiche sotto gli occhi di tutti, porta in dote anche il suo passato da apertura, le letture tattiche del 10 e il gioco al piede. Non è una cosa nuova nel rugby moderno, tutte le principali nazioni ovali lo fanno da anni: avere un lotto di giocatori di alto livello con caratteristiche differenti per poi permettere allo staff di scegliere la migliore soluzione in relazione agli avversari. Contro il Sudafrica per esempio, per contrastare la loro fisicità, era stato scelto come ala Bisegni, che è un giocatore molto forte fisicamente, e Padovani come 15, per dare una seconda opzione di playmaking e di utilizzo tattico del piede.
Arrivare ad un mondiale con una sola scelta è impensabile, sarebbe troppo rischioso. E’ giusto, come stiamo facendo, ossia arrivare con 4-5 possibili formazioni che permettano di adattarsi di volta in volta nel modo migliore all’avversario.

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