Con l’allenatore degli azzurrini abbiamo parlato della salvezza, del prossimo torneo iridato in casa e di due squadre agli antipodi
Forza, consapevolezza, voglia di programmazione e anche un po’ di senso di rivalsa. Nell’intervista che state per leggere fatta a Fabio Roselli, dopo il ritorno in patria a seguito del Mondiale Under 20 giocato in Argentina, c’è tutto questo, ma anche molto altro. Con l’head coach della nazionale giovanile abbiamo ripercorso le ultime settimane degli azzurrini, in un torneo molto impegnativo e dagli standard sempre più elevati.
Qual è la prima impressione generale di questo Mondiale: un nono posto che alla fine ci soddisfa?
Da inizio stagione sapevamo di poter contare su un gruppo di giocatori molto giovane, sia per età sia per esperienza internazionale: sicuramente avevamo messo in conto che si sarebbe dovuto lavorare un po’ più a lungo, ma che alla fine i nostri valori sarebbero venuti fuori. L’altra cosa importante era la continuità: dopo gli ottavi posti delle ultime edizioni, siamo riusciti a rimanere più o meno nella stessa zona di classifica.
Ecco, hai fatto riferimento proprio ai piazzamenti: molti lettori si sono chiesti come si possa compiere un ulteriore step in avanti magari. Riesci a fornirci un parere, secondo le tue esperienze e competenze da tecnico?
Fare un focus sulle singole squadre dell’Italia Under 20 che ogni anno vanno al Mondiale di categoria è difficile, perché comunque queste sono rose che ogni due anni, al massimo, vengono rinnovate. Per compiere questo salto in avanti bisogna allargare l’orizzonte pensando al nostro sistema rugby in maniera più ampia pensando anche ai campionati.
Tornando a quest’anno posso dirti che dopo il Sei Nazioni non abbiamo avuto praticamente più occasione di trovarci, se non cinque giorni prima dell’inizio del torneo iridato. È chiaro che diventa complicato far combaciare tutto.
Per quanto riguarda quello che è successo in campo, cosa hai pensato dopo la prima partita persa contro l’Australia? È sembrata una buona Italia in grado di costruire, ma incapace di trovare la via per far male in termine di punti, poi messa alla frusta dalle accelerazioni degli australiani.
Non ho capito molto tutti quei giudizi negativi per una partita dove, a nostro avviso, ci sono state anche cose positive. L’Australia è stata una squadra che ha fatto 37 punti di media a partita nel torneo, quasi contro chiunque; tranne che nella finale persa di un punto contro la Francia.
In quel frangente abbiamo costruito molte occasioni preparando anche bene la partita: è chiaro che non abbiamo concretizzato, un paio di volte per errori banali e una volta per una meta/non meta che neanche il TMO è riuscito a chiarire, pagando poi dazio in maniera semplicistica in alcune situazioni. Una cosa che ovviamente non ci ha fatto piacere.
La sfida contro l’Inghilterra invece, viste anche le circostanze, in cui è maturata una sconfitta di misura vi ha dato tanta confidenza o sbaglio?
Quel match è servito ai ragazzi per aumentare la loro fiducia e ritrovare certezze. Io e lo staff siamo sicuri che questo sarà un gruppo che verrà ulteriormente fuori, con valori e identità. In quegli ottanta minuti siamo stati bravi a centrare l’obiettivo di elevare la percentuale del nostro numero di placcaggi, portandolo poi alla fine del torneo intorno all’85% complessivo, cosa che non ci era riuscita al meglio nel Sei Nazioni.
Perdere non ci ha fatto piacere, ma ci ha fatto capire che potevamo, possiamo e potremo essere competitivi. La cosa importante ora su cui dobbiamo focalizzarci e sull’imparare a gestire i due/tre momenti chiave di una partita: area sulla quale non siamo ancora al massimo delle nostre possibilità.
Proiettiamoci sul futuro. Fra dodici mesi ospiteremo il Mondiale Under 20 in casa: non è la prima volta, ma che effetto fa a te che oggi sei l’allenatore della nazionale?
Quando eravamo in Argentina dei rumors erano già girati, ma ora che la notizia è ufficiale da qualche giorno non possiamo che esternare la nostra gioia. Personalmente ne vado fiero e orgoglioso, anche perché le edizioni organizzate nel nostro Paese hanno sempre riscontrato il gradimento delle squadre partecipanti e, credetemi, il profilo logistico ormai è diventata una cosa importante e non in tutte le parti del mondo si è riscontrato ai massimi livelli. A livello di ‘salvezza garantita’, visto che chi organizza il Mondiale ha comunque un posto certo nelle dodici dell’elite, posso dirvi che questo non ci ha minimamente condizionato: eravamo sicuri di ottenere il risultato sul campo, con merito.
Consentici infine una digressione su due squadre che conosciamo meglio delle altre e che hanno stupito in maniera diametralmente opposta: la Scozia retrocessa e la Francia ancora campione.
La Scozia sta vivendo un momento di difficoltà a livello giovanile, con un sistema che forse non produce un numero congruo di giocatori per dare continuità al lavoro dalla Under 20 alla prima squadra. Vederli retrocedere era una cosa che forse nessuno si sarebbe aspettato, anche se devo dire che le Fiji viste prima del Mondiale – nell’Oceania’s Cup insieme all’Australia e alla Nuova Zelanda – avevano già mostrato grandi qualità, come forse non si vedevano da anni nella roster isolano e la loro vittoria contro gli scozzesi non è stata una sorpresa così grande. I figiani hanno trovato le condizioni ideali per giocare e non c’è stata quasi storia; gli scozzesi sono stati pressoché inefficaci. Per approfondire la cosa, comunque, bisognerebbe conoscere al meglio le dinamiche del loro sistema.
Quello che ha fatto invece la Francia, spostandoci su di loro, per me è stato davvero difficile e di altissimo livello. Hanno riproposto un buon numero di giocatori dell’anno scorso completando il gruppo con alcuni nuovi elementi: stanno lavorando davvero bene sui settori giovanili, sia a livello federale sia a livello di club. C’è un’impronta territoriale totale. Certo, non tutti poi riescono a sbocciare nella squadra seniores, ma lì credo che siano anche altre problematiche.
Per chiudere, vorrei dirvi che il Mondiale U20 sta crescendo ogni anno in maniera impetuosa e che l’intensità e la preparazione devono essere sempre più ai massimi livelli. Il format della competizione poi è particolare: a volte ti basta un punto perso per ritrovarti in una posizione delicata.
Di Michele Cassano
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