I problemi dei giocatori nel trovare un lavoro

Li ha raccontati un procuratore, Tom Beattie: c’entrano i salary cap, le regole, l’andamento del mercato e l’attività internazionale degli atleti

ph. Sebastiano Pessina

Trovare una squadra di rugby ai propri giocatori, per gli agenti, è molto più complicato che in passato. C’entrano diversi motivi: le perdite di bilancio (in Inghilterra per esempio), le richieste in aumento dei giocatori, i salary cup delle squadre e le regole dei vari campionati nazionali. A offrire una testimonianza in merito negli ultimi giorni è stato Tom Beattie, procuratore della compagnia TDB Sports e assistito tra gli altri di Don Armand, Nick Grigg e Demetri Catrakilis, che ha offerto il suo punto di vista su come si stia muovendo il mercato dei giocatori di recente.

“Quest’anno ci sono tanti giocatori senza contratto – ha detto Beattie a RugbyPass – È una situazione favorevole per gli acquirenti. Tante squadre possono aspettare un po’ di più, così magari un giocatore può ridursi lo stipendio e accettare un contratto. Bisogna essere realisti: voglio che il rugby continui a crescere, ma deve esserci un periodo di stabilità nei salari e di sostenibilità, in modo da poterlo fare”.

Oltre che finanziario ed economico, i problemi sono anche strettamente sportivi e normativi. In Francia, dopo un lungo periodo in cui le rose erano zeppe di stranieri, il Top 14 ha voluto dare più spazio ai cosiddetti JIFF (giocatori di formazione francese): un club del massimo campionato francese deve averne 19 nella rosa di 35 giocatori e 14 in ogni lista dei 23 per la gara. Le sanzioni sono dei punti di penalizzazioni in classifica.

In Inghilterra, i club ricevono incentivi per far scendere in campo sempre più giocatori eleggibili per la nazionale inglese, e ovunque bisogna comunque rispettare le regole sugli extracomunitari e dare spazio ai giocatori che poi saranno impegnati a livello internazionale.

Proprio la volontà di rappresentare o meno la propria nazione è un altro tema fondamentale per i club, come noto. Spiega Beattie: “Un giocatore può andare alla Rugby World Cup e diventare una stella. Questo non significa che alla fine avrà un contratto. Questo è il mercato al momento. Non ci sono garanzie. Si può essere straordinari sul campo e non avere un lavoro. Qual è la cosa migliore per la famiglia di un giocatore?”

Il riferimento di Beattie è soprattutto per quei giocatori, in particolare tongani, samoani e figiani, messi sotto pressione dalle proprie società per rinunciare all’attività internazionale, come sembra essere accaduto in Francia. Tra la garanzia di un contratto sicuro, ben remunerato, e la possibilità di giocare con la propria nazionale non è più così scontato che venga scelta la seconda opzione.

“Molto spesso i club francesi vogliono ragazzi senza cap o che dichiarino di fatto di non voler giocare a livello internazionale – ha detto Beattie – Ho sentito diverse storie del genere dai giocatori. Vorrebbero scendere in campo per il proprio Paese, ma hanno bisogno di un lavoro. La tua carriera è corta, hai delle bollette da pagare, un tetto da tenere sopra la testa, una famiglia da accudire”. I club, insomma, hanno un elevato potere contrattuale di questi tempi, perché l’offerta di giocatori sta superando la domanda delle società.

Chi potrebbe coprire in parte questa falla? Secondo Beattie, potrebbero essere gli Stati Uniti. “Credo fermamente che il rugby abbia bisogno di un’America forte. Il panorama mondiale sarebbe completamente diverso in termini di sponsor, introiti da diritti tv e interesse generale. Potrebbe portare dei vantaggi anche qui in Europa. Se dovessero riuscire a conquistare una parte del mercato, anche solo una minima parte, vedremmo un enorme effetto sull’intero mondo del rugby”.

– Leggi anche: Mathieu Bastareaud giocherà a New York

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