Da Avatar a El Loco, passando per la storia di Os du Randt all’uomo chiamato 36
Il rugby è (anche) un gioco di soprannomi. Come in tutte le comunità dove lo stare insieme è una caratteristica fondamentale, dopo un po’ ci si stufa di chiamarsi col nome di battesimo, o con quel solito diminuitivo del cognome. E poi ci sarà anche da distinguerli fra loro, questi ragazzi che arrivano al campo a vagonate, contrassegnati tutti da quel tale nome che andava di moda nel periodo in cui sono nati.
E’ così, ad esempio, che nasce il soprannome di Ugo Gori: il mediano di mischia ex Benetton venne soprannominato così da uno dei suoi primi allenatori, stufo di dover distinguere fra tutti gli Edoardo che gli capitavano a tiro all’inizio degli anni Novanta, e gli è rimasto attaccato fino al Sei Nazioni.
Chiunque abbia frequentato un campo con i pali ad acca, poi, ne avrà piene le tasche di Ciccio e di Scheggia, ma anche di soprannomi creativi, dietro le cui storie ci sono affascinanti percorsi mentali e storie da scovare.
Non è diverso per chi il rugby lo gioca al massimo livello, e a tanti è stato affibbiato un soprannome, anche se sono pochi quelli che spiccano per immensa originalità. Lo sappiamo tutti, infatti, che Tendai Mtawarira è chiamato Beast, per via della sua incredibile possanza, ma concorderete con chi scrive che non sia il più fantasioso degli appellativi. Ecco allora una lista dei dieci migliori che siamo riusciti a rintracciare.
Sam Warburton – Avatar
Vi ricordate Avatar? Quel film di fantascienza dove un tizio dell’esercito americano si incorpora in uno di questi cosoni blu, una razza aliena dalle sembianze incredibilmente somiglianti a Sam Warburton? Beh, i suoi compagni di squadra sì, se lo ricordano, visto che ci hanno riso su per mesi nel chiamare così il terza linea del Galles.
A quanto pare, il buon Sam rimaneva un po’ deluso: “Nessuno dei miei soprannomi è particolarmente un complimento” ha dichiarato una volta, raccontando di essere chiamato anche Jimmy Nail, come l’attore che interpretava il personaggio Squalo nei film di James Bond.
“Una volta ero a Londra e stavo vedendo il musical Jersey Boys, quando mi si avvicina un tipo e mi chiede: ‘Nemanja, potresti farmi l’autografo?’.” Credevano fosse Nemanja Vidic, ex difensore del Manchester United che ha chiuso la carriera nell’Inter.
Billy Twelvetrees – 36
Ah, lo humour inglese. Il soprannome del giocatore che oggi gioca a Gloucester affonda le sue radici nel periodo iniziale della sua carriera, ai Leicester Tigers.
Niente di complesso, qui, pensate alle tabelline: dodici per tre? Twelve trees? Già, proprio così.
John Eales – Nobody
Okay, d’accordo, non sarà una sorpresa, è una storia che tanti conoscono, ma è uno dei soprannomi più belli che si siano mai visti ad Ovalia. John Eales è Nessuno, perché nessuno è perfetto. E in quanto a perfezione il signor Eales se ne intendeva: chiedetelo agli All Blacks finiti gambe all’aria per la sua precisione dalla piazzola nella Bledisloe Cup del 2000.
Quella volta andò così: i Wallabies erano sotto di due, ma in attacco, con il tempo oramai scaduto. L’arbitro assegnò un calcio di punizione all’incrocio fra la linea dei 22 metri e quella dei 15, sulla sinistra. Solo che il piazzatore titolare di quella formazione era dovuto uscire. Eales qualche volta aveva piazzato, sia nel club che in nazionale. Le sue statistiche personali dicono che abbia centrato i pali una sessantina di volte, segnando per contro solo due mete con la maglia dell’Australia. Ecco quindi che il principale indiziato per calciare quell’ovale era divenuto proprio lui: e Eales, come al solito, fu perfetto.
Jason Leonard – Fun Bus
Tour dei British & Irish Lions 1993. Martin Bayfield, seconda linea dell’Inghilterra tanto gigantesco quanto burlone, nonché successivamente noto per essere stato lo stuntman dell’attore che interpretava Hagrid nei film di Harry Potter, adocchia l’altrettanto ingombrante Leonard con la maglia rossa della selezione britannica: “Ma lo sai che sembri proprio uno di quegli autobus a due piani di Londra!?”
Detto fatto, il soprannome Fun Bus rimarrà appiccicato al pilone dell’Inghilterra per tutta la carriera, che durerà oltre cento caps. Al momento del ritiro e per un lungo periodo, Leonard è stato il giocatore con più presenze internazionali nella storia del rugby a quota 119.
Qualche anno fa Leonard ha fondato Fun Bus, una società che si occupa di organizzare eventi. Oggi è diventato il nuovo presidente dei British & Irish Lions, e sarà di nuovo in rosso per far salire tutti a bordo del Fun Bus con cui la selezione si recherà in Sudafrica nel 2021.
Gethin Jenkins & Rhys Gill – Watermelon & Mango
Un uomo chiamato cocomero. E’ Gethin Jenkins, pilone dei Cardiff Blues ritiratosi al termine della scorsa stagione, con ben 129 presenze internazionali con il Galles.
Perché cocomero? Perché ha una testa davvero grossa, anche se parzialmente mascherata dagli oltre 120 chilogrammi di peso.
Il fatto è che quando Rhys Gill, pilone di sei anni più giovane, è arrivato in prima squadra, i compagni si sono accorti che pure lui aveva una circonferenza cranica niente male, sebbene inferiore a Jenkins. Da lì, è un attimo: più giovane, più piccolo fisicamente, più piccola la testa, in pratica una versione tascabile. Mango.
Tomas Lavanini – Lengua
Chi non ha niente da apprendere dall’ironia britannica in termini di soprannomi sono i sudamericani. Fra i giocatori dei Pumas sono in tanti ad avere soprannomi interessanti, alcuni nobili come El Mago Hernandez, altri meno come El Corcho Fernandez Lobbe. All’epoca Daniel Hourcade, il commissario tecnico che ha preceduto Mario Ledesma, era noto come Huevo.
Uno dei più ironici, però, riguarda il gigante Lavanini, che per quanto possa essere estroverso sul campo da rugby, fuori dal rettangolo di gioco è per lo più taciturno, tanto che alcuni compagni hanno incominciato a chiamarlo El Lengua, il lingua, quella che non mette in movimento mai.
Jacobus Petrus Du Randt – Os
L’unico giocatore due volte campione del mondo con la maglia degli Springboks è conosciuto da tutti con il proprio soprannome Os, il bue. D’altronde Jacobus Petrus poteva sembrare un tantino lunghetto per richiamarne l’attenzione in campo, spesso fiaccata dalle mischie chiuse dove peraltro si faceva valere come pochi altri.
Du Randt vinse da giovanissimo la Coppa del Mondo 1995, e divenne poi uno dei piloni più forti al mondo, e nel 1999, dopo la sua seconda partecipazione al torneo mondiale, fu ancora uno dei migliori. Nel 2000, però, una serie di brutti infortuni ne stroncò la carriera, tenendolo fuori per quasi tre anni, tanto che il giocatore aveva praticamente deciso di smettere.
Poi, nel 2003, ricevette una telefonata da un suo ex compagno di squadra, il cui nome ultimamente si sente spesso nei titoli dei media che parlano di rugby: Rassie Erasmus. Si era appena ritirato e aveva iniziato ad allenare i Cheetahs, e voleva Os, il bue, per mettere una pietra angolare al suo pack. Du Randt disse di sì, e dopo quattro anni alzò di nuovo la Rugby World Cup. In quella spedizione Du Randt, che aveva allora 35 anni, venne soprannominato Oupa, il nonno.
(Poi ci sarebbe quella volta, a Londra, in cui la cameriera chiese a Os il grado di cottura della sua bistecca: “Come la desidera, sir? Media?”. E Os, spaventato: “No, no! Io la voglio grande!”)
Pablo Matera – Loco
Come dite? El Loco per un argentino è un soprannome sentito talmente tante volte che pecca decisamente di originalità? Beh, può essere.
Il fatto è che Pablo Matera non è stato soprannominato il matto per il suo stile di gioco senza compromessi, molto fisico. O almeno non solo.
Voci di spogliatoio raccontano infatti che ai tempi delle nazionali giovanili, Pablo Matera fosse solito puntare la sveglia sulle sei del mattino. “Pablo, ma cavolo, le sei del mattino! Ma perché?” protestavano i compagni di camera.
“Tranquilli ragazzi, è una roba di un attimo” rispondeva quello.
Sei del mattino, suona la sveglia sul cellulare. Matera si sveglia, a malapena apre gli occhi, stacca qualche pezzo di cioccolata da una tavoletta e lo divora. Poi, stappa una lattina di Coca Cola, che beve praticamente in un solo sorso. Al che dà di nuovo la buonanotte, si gira dall’altra e via andare, come se niente fosse. Prendete appunti: è così che si diventa capitani dell’Argentina.
Iain Henderson – Lama
2012, training camp dell’Irlanda. Iain Henderson si è lasciato crescere i capelli. Arriva a colazione con quella sua andatura un po’ curva, brontosauresca. Si siede e a capo chino si mette mangiare la sua tazza di latte e cereali. Lì, in quel momento Donncha O’Callaghan ha una visione: “Lama!”
I soprannomi spesso nascono così, a tutte le latitudini. Da una azzeccata visione di uno degli anziani del gruppo, con il potere di ribattezzare i nuovi pupilli con soprannomi più o meno onorevoli.
Il lama Henderson era sette anni fa appena un ventenne dal fisico troppo cresciuto per essere il quinto Beatle, oggi è appena diventato il nuovo capitano dell’Ulster, la squadra dove ha giocato per tutta la carriera.
Ken Owens – Sceriffo
Carmarthen, la città più vecchia del Galles. Rugby e miniere di carbone gli interessi principali. Quindicimila anime votate a parlare dell’uno e a lavorare nell’altro, ma spesso anche il contrario. Uno che ci lavora, per dire, è il capitano della franchigia locale di Pro14, Ken Owens degli Scarlets, detto The Sheriff.
Nei paesi di provincia ci si conosce tutti, e così a Carmarthen tutti conoscono Ken, che da bravo gallese parla fluentemente gaelico e che, se non lo sapesse signora mia, è pure il nipote di quel gran signore che un tempo faceva il sindaco da queste parti.
Una personalità eccellente, insomma, in città: tanto da meritarsi la stella di latta da sceriffo.
Lorenzo Calamai
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