Come torna l’Italia dall’Irlanda?

Con qualche risposta da alcuni singoli, ma senza certezze in più. In compenso i dubbi restano più o meno sempre gli stessi

ph. Reuters

A chi guardava in tv dall’Italia, la partita di sabato tra l’Irlanda e la nazionale almeno nel primo tempo sarà sembrata una curiosa stramberia di mezza estate, da non prendere troppo sul serio. Ci sarà veramente una partita di rugby, si sarà chiesto qualcuno, quando la Rai alle 14:59 non aveva ancora aperto il collegamento con Dublino per un match con calcio d’inizio alle 15?

A quanto pare un problema tecnico aveva provocato un ritardo sul programma, che ha fatto cominciare la diretta quasi alla fine dell’inno irlandese. Cose che capitano. L’atmosfera restituita dall’Aviva Stadium in tv era inoltre parecchio smorta, non solo perché lo stadio aveva qualche vuoto di troppo ma anche perché il pubblico sugli spalti non aveva certamente la carica agonistica di una partita del Sei Nazioni. A questo va aggiunta una telecronaca senz’altro diversa dallo stile a cui siamo abituati di solito, quasi anacronistica, e una maglia irlandese davvero fin troppo brutta per essere vera.

Al fischio d’inizio, in ogni caso, tutto il contorno sarebbe dovuto diventare irrilevante, se non che dopo quattordici secondi di gioco – quando tutto sembrava essersi normalizzato, in qualche modo – era partito un mini spot, forse per ricordarci che quello a cui stavamo assistendo sarebbe potuto rivelarsi un evento anomalo e bizzarro, o quantomeno diverso per la nazionale italiana di rugby. Questa sensazione di straniamento è cresciuta con il passare dei minuti, visto che al 20′ il tabellino diceva Irlanda 7 Italia 10 e l’andamento del match parlava di una squadra azzurra ben messa in campo e fisicamente pronta alla lotta contro gli irlandesi.

Alla fine del primo tempo l’Irlanda era riuscita a superare gli azzurri sul 19-10, complice anche qualche ingenuità azzurra, e forse tutto era cominciato a sembrarci sinistramente più normale. La ripresa è stata purtroppo solo la conferma di queste ultime impressioni: la partita ha perso lo status di ‘potenzialmente intrigante’ e si è attestata su livelli e ritmi piuttosto bassi, comprensibili per il 10 agosto, fino a diventare di scarso interesse nell’ultima mezzora o poco meno. Nel frattempo, tutto era tornato alla stanca normalità: l’Irlanda ha fatto il minimo indispensabile, ha giocato sul filo del regolamento e ha imbrigliato gli ospiti; gli azzurri sono semplicemente stati molto italiani, come direbbe Stanis La Rochelle, e hanno fatto tutto quello che forse ci saremmo aspettati da un’Italrugby in balìa di un avversario più forte e soprattutto più malizioso.

Il bilancio di Dublino

Dalla scialba partita di sabato è comunque possibile trarre qualche indicazione, seppur in maniera sommaria viste le assenze di tanti titolari, sia per i singoli sia per il collettivo. Per esempio, anche sabato l’Italia ha fatto abbastanza fatica in attacco nella costruzione del multi fase, nel dare un minimo di imprevedibilità alla manovra e nello scegliere linee di corsa che potessero creare qualche dubbio alla difesa irlandese.

Spesso ai padroni di casa è bastato sporcare un po’ i punti d’incontro, mettere quel minimo di pressione sui portatori di palla ed ecco che agli azzurri veniva ostruito ogni possibile sbocco offensivo. In una delle poche occasioni in cui l’Italia è riuscita a sfuggire alla morsa irlandese, è arrivata la meta – discutibile per il fuorigioco – di Carlo Canna, che ci ricorda anche l’importanza dei calci dietro la linea difensiva come arma alternativa al multi fase palla in mano. Un fondamentale in cui l’Italia non ha mai eccelso in attacco, ma che nel rugby moderno è una tattica chiave per battere le rush defense avversarie; troppo spesso, invece, gli azzurri – non solo a Dublino – utilizzano il piede quasi solo in situazioni di vantaggio, per cercare il bersaglio grosso senza avere nulla da perdere (oppure per tentare un azzardo dopo tante sportellate, come ha fatto Licata in modo naif nel secondo tempo).

Quanto possa essere importante il gioco al piede, in ogni porzione del campo, lo ha dimostrato la stessa Irlanda del resto, prendendo più volte alle spalle la difesa italiana con Carbery soprattutto nel primo tempo. Gli irlandesi hanno fatto i compiti minimi a casa e avranno notato come gli azzurri salgano quasi sempre rapidamente con la linea difensiva, per cercare di togliere più spazio possibile alla manovra offensiva; il rischio è quello di lasciare degli spazi molto invitanti alle spalle, o di farsi bucare non appena l’attacco riesce a far andare a vuoto i difensori.

Un’organizzazione difensiva in ogni caso esiste ed è ben visibile, per cui lavorarci sopra per limare alcuni dettagli è possibile. L’Italia si è fatta valere negli uno contro uno e nella trincea difensiva, mentre soprattutto con Mbandà e Tuivaiti come spie è spesso uscita bene dai blocchi, a dimostrazione di come nelle collisioni gli azzurri sembrano aver raggiunto un buon livello. Urge lavorare sugli scivolamenti laterali e sulle scelte da compiere in determinati momenti della partita.

In conclusione

L’unica nota lieta della fase offensiva è stata il buon lavoro in maul, che era diventato un punto dolente nel corso del Sei Nazioni. Per il resto, agli azzurri sono mancate principalmente schemi di gioco e idee: la distribuzione è stata troppo piatta, i ricevitori erano spesso fermi sul posto e il gioco al largo era davvero elementare da leggere per l’Irlanda. Qual è la spiegazione? Il fatto che la formazione fosse inedita è il fattore principale? Oppure rivedremo le stesse strutture e gli stessi movimenti anche nei prossimi impegni, ma con i titolari? Questi ultimi garantirebbero più efficacia, ma vorrebbe dire basarsi molto sulle qualità dei migliori singoli azzurri.

Per quanto riguarda la futura lista dei 31 convocati per il Mondiale, alcuni azzurri in particolare hanno avanzato con forza la propria candidatura: Benvenuti su tutti, da tempo non così in evidenza, ma anche gli stessi Mbandà e Tuivaiti (quest’ultimo un po’ pasticcione in attacco), oltre a un Federico Zani piuttosto solido nella ripresa. Le aperture? Canna non era certamente inserito nel suo sistema ideale, ma si è fatto preferire rispetto a McKinley. Chi invece non può che avere il posto assicurato in squadra è Alessandro Zanni, che in barba ai suoi 35 anni ha sfoderato l’ennesima prestazione battagliera della sua grande carriera.

Daniele Pansardi

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