Pieter-Steph Du Toit era un oggetto misterioso, oggi uno dei migliori flanker al mondo
“Non avevo mai lavorato con Pieter-Steph prima del 2018, quindi mi limitavo ad affidarmi al mio istinto nel giudicarlo. Ho pensato che fosse un giocatore fisico quanto l’ho visto nel 2017 al Newlands, nella sconfitta degli Springboks per 25-24 contro gli All Blacks. Ma ho anche pensato che fosse difensivamente limitato, mancasse troppi placcaggi e che come portatore di palla impattasse troppo alto. Quella volta ho pensato: non lo sceglierei come titolare per il Sudafrica.”
Firmato Rassie Erasmus, in un articolo uscito in esclusiva lo scorso gennaio per SA Rugby, magazine della palla ovale sudafricana.
“Era un giocatore grosso, fisico e appassionato, ma non ho pensato neanche per un momento di star guardando un giocatore di rugby eccezionale.”
Pochi mesi dopo, il 2 giugno del 2018, Pieter-Steph Du Toit portava la fascia di capitano contro il Galles. Chi gli aveva concesso l’onore di scendere in campo per primo, davanti a tutti gli Springboks, era quello stesso Erasmus che oggi si prepara a consegnarli la maglia numero 7 della sua nazionale in vista della prossima Rugby World Cup.
Né carne né pesce
Per anni, c’è stata una domanda che inevitabilmente emergeva ad ogni conferenza stampa dove fosse presente Pieter-Steph Du Toit: preferisci giocare flanker o seconda linea?
Altrettanto inevitabilmente, la domanda era diventata quasi una persecuzione per Du Toit, il cui numero di caps negli Springboks continuava a crescere senza trovare una vera collocazione, finendo per essere spesso una riserva di lusso grazie alla sua versatilità.
Pieter-Steph Du Toit è un nome che si tramanda da generazioni a Kloovenburg, una tenuta nella zona del Capo. Il padre dello Springboks si chiama allo stesso modo, Pieter Stephanus per intero, e allo stesso modo si chiamava il nonno, nazionale sudafricano a sua volta, quando negli anni ottanta si divideva fra la prima linea e la coltivazione dei vigneti.
Pieter-Steph, l’ultimo della genealogia, ha subito messo in mostra il suo particolare talento, basato soprattutto su un fisico fuori dal normale: alto due metri e muscoloso, ma elastico e rapido nella corsa e nei movimenti. Il Sudafrica lo inserisce nella sua squadra under 20 che partecipa al mondiale giovanile del 2012, alla cui vittoria il nostro contribuisce con una meta decisiva nella partita cruciale del girone contro l’Inghilterra. In quella squadra ci sono, fra gli altri, Handre Pollard e Jan Serfontein.
Con grandi aspettative, quindi, Du Toit esordisce con la nazionale maggiore nel 2013, al Millenium Stadium di Cardiff. Giocherà un’altra partita di quel tour, prima di sparire dai radar della nazionale fino al 2015, quando verrà selezionato per la Rugby World Cup.
L’esordio da titolare in nazionale avviene proprio in Inghilterra, nella storica sconfitta di Brighton contro il Giappone.
Dal 2016 la sua avventura in maglia Springboks si fa più costante, ma i risultati ottenuti dal nuovo head coach Allistair Coetzee portano gli osservatori a porsi domande su tutta la nuova leva di giocatori portata alla ribalta dal tecnico.
Sebbene uno dei giocatori più rappresentativi degli Stormers nel Super Rugby, a livello internazionale Du Toit rimane un giocatore che ai più dà proprio l’impressione che aveva avuto Rassie Erasmus, citato all’inizio di questo pezzo: un buon giocatore, di cuore e muscoli, ma niente di più.
Ricredersi con Rassie
“Non conoscevo Pieter-Steph nemmeno come persona, e quindi all’inizio della stagione [inverno 2018, Erasmus era stato appena nominato director of rugby e head coach] non era sicuramente nel mio XV ideale – scrive Erasmus nel pezzo per SA Rugby – E nulla cambiò nei camp di allineamento che abbiamo fatto con le squadre del Super Rugby. L’ho trovato molto rilassato in quelle sessioni teoriche, dove discutevamo della stagione, delle aspettative e di cosa volevamo ottenere come squadra.”
“Quando l’ho incontrato ho pensato che per lui il rugby fosse più un hobby che una passione o un lavoro. Come mi sbagliavo! Era rilassato in quelle sessioni e io ho preso quell’atteggiamento come se a lui non importasse. Non potevo essere più fuori strada.”
“Dal momento che ci siamo ritrovati per la serie di giugno [2018], il giocatore che è sceso dall’autobus per la prima sessione sul campo era completamente diverso da quello che mi era apparso così disinteressato negli incontri iniziali.”
“Pieter-Steph ha avuto un impatto immediato su di me nelle prime sessioni di campo. Parlava, si impegnava ed era in forma pazzesca. Dal secondo allenamento mi fu chiaro che il rugby era la sua passione e il suo lavoro. Era un giovane uomo che teneva alla maglia, capiva il suo significato e non prendeva nulla per scontato.”
“Come gruppo di allenatori, eravamo impressionati dalla sua conoscenza del gioco e dal suo contibuto quando parlavamo individualmente e in gruppo. Era chiaramente un leader e una persona che voleva prendersi responsabilità. Faceva domande e aveva la sua opinione e il suo punto di vista, e voleva essere messo alla prova.”
“Abbiamo capito rapidamente che era questo il giocatore di cui avevamo parlato tra noi per trovare la persona giusta che potesse ripristinare l’importanza della maglia Springboks e riconquistare il rispetto degli avversari.”
Ed ecco, quindi, che il 2 giugno del 2018 è proprio Du Toit a scendere in campo con la fascia di capitano, guidando una squadra sperimentale al test in terra americana contro il Galles. E poco importa se la partita finì 22-20 per i Dragoni. Da quel momento, Du Toit ha corrisposto Erasmus della stessa fiducia concessagli, ed è finalmente sbocciato, diventando il giocatore che aveva promesso di essere in gioventù.
Sono passati 14 mesi e 17 partite, in cui Pieter-Steph è partito titolare 15 volte, la maggior parte delle quali come flanker dal lato chiuso. Oggi è una terza linea che tutto il mondo ovale invidia al Sudafrica: è completo, un ball carrier temibile, una presenza incessante a sostegno dei compagni e nei punti d’incontro, e un difensore affidabile. Ha lavorato sui suoi punti deboli per diventare come richiesto dai suoi allenatori.
Sabato scorso ha alzato il suo primo trofeo con la maglia della nazionale, il Rugby Championship. Davanti a sé ha la sfida più dura eppure più ambita: dare una mano a portare a casa la Rugby World Cup.
Lorenzo Calamai
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