Abbiamo parlato con il talentuoso flanker veneto di preparazione, permit ed obiettivi futuri
Nella prima parte della scorsa stagione, Marco Barbini è stato probabilmente il miglior giocatore in maglia Benetton Rugby. Il flanker ex Mogliano è salito esponenzialmente di colpi, prendendosi la scena e divenendo uno dei punti di riferimento dei Leoni, sia sotto il profilo tecnico che per quanto concerne quello emozionale. Lo abbiamo raggiunto, ad inizio ritiro in quel di Calalzo di Cadore, per approfondire assieme a lui diversi temi in vista di una stagione biancoverde ’19/’20 ormai alle porte.
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Marco, a che punto è la preparazione dei Leoni?
“Nel corso dei mesi abbiamo principalmente costruito la parte fisica. Ora, invece, stiamo facendo il ritiro di Calalzo, che va soprattutto ad aiutare la parte mentale. Si va a lavorare sul team building, un qualcosa che durante l’anno ci aiuterà, come dimostrato da quanto accaduto nelle passate stagioni”.
Un aspetto che appare fondamentale nella vostra ascesa delle ultime stagioni…
“Assolutamente. Da quando è arrivato Kieran Crowley, nessuno deve sentirsi superiore a qualcun’altro. Siamo tutti allo stesso livello ed ognuno di noi ha il dovere, ma anche e soprattutto il piacere, di aiutare un compagno che ha bisogno. Ovviamente, in alcune situazioni, come può essere questa di inizio stagione, caratterizzata dalla presenza di tanti giovani, qualcuno deve prendere un minimo in mano la situazione, ma abbiamo a che fare con ragazzi che sono già passati alla Ghirada in passato, per periodi più o meno lunghi, e che quindi hanno già le idee abbastanza chiare su team e strutture. Io comunque mi sento ancora giovanissimo (sorride, ndr), un ragazzino. Anche se, quando si tratta di dare un consiglio, soprattutto sulla parte mentale o su quella tattica, dove mi sento più ferrato, sono il primo a farmi serio ed aiutare. Vedo che spesso i miei suggerimenti sono apprezzati e questo mi fa piacere”.
La qualità dell’ambiente di lavoro, insomma, prima di tutto…
Il punto principale su cui si è lavorato sin dall’inizio del ciclo con Kieran è la parte mentale, dei rapporti umani tra giocatori, staff e società. La prima cosa che ci disse il coach al suo arrivo fu che avremmo dovuto essere una famiglia, prima che una squadra. I team di rugby a questo livello sono veramente difficili da gestire, perché sono composti da persone che provengono veramente da ogni parte del mondo, con tradizioni, lingue ed abitudini molto diverse tra di loro. Alla Ghirada, però, siamo tutti allo stesso livello, e non parlo solo del rapporto tra i giocatori, ma anche e soprattutto di quello tra squadra e staff tecnico. Gli allenatori si confrontano mettendosi alla pari, senza imporre nulla, ma trovando sempre la soluzione migliore anche alla luce delle esigenze dei ragazzi.
Come è cambiato, dall’interno, il progetto permit player/invitati negli ultimi anni?
“Mi ricordo quando otto anni fa venni invitato in Ghirada. All’epoca non c’era un’organizzazione vera e propria. Era tutto un poco lasciato al caso. Oggi, invece, i ragazzi sono seguiti maniacalmente. Se ci sono problemi vengono aiutati immediatamente. Hanno una schedule dettagliata, quindi sanno con anticipo quando dovranno essere a disposizione o meno, e soprattutto sanno che c’è la possibilità concreta, facendo bene, di essere effettivamente messi sotto contratto oppure essere promossi a permit a tutti gli effetti. Poi, c’è un entusiasmo contagioso nell’ambiente, che permette a questi giovani di vivere al meglio le settimane con noi. Questo progetto è utilissimo per entrambe le parti in causa. Per noi, come team, che possiamo sempre allenarci con un numero di atleti importanti, anche nelle finestre nel corso di Mondiale e Sei Nazioni, e per loro, che potendosi allenare ad un livello superiore, si migliorano esponenzialmente ogni giorno”.
Parlando di te, invece, come valuti la scorsa stagione? Quali obiettivi ti poni per la prossima?
La scorsa stagione è partita effettivamente alla grande. Ho fatto i primi cinque mesi molto bene, poi ci sono stati dei problemi a ridosso della chiamata in nazionale ad inizio febbraio. Mi sono stirato due volte l’adduttore, e ho perso un attimo il ritmo. A fine campionato, poi, giocano giustamente quelli che sono più in forma in quel momento e lo staff, nella scelta della formazione, non si può basare su quanto fatto vedere tre mesi prima. Serve essere al top in quel momento. Quest’anno, quindi, il mio obiettivo è avere più possibilità di giocarmela fino a fine stagione, riuscendo a gestirmi meglio nel corso dell’annata. Mentre, a livello di collettivo, vogliamo proseguire nel solco tracciato negli ultimi anni. L’obiettivo è sempre quello di migliorarsi giorno dopo giorno in allenamento. Mentre, in partita, vogliamo esprimere il nostro game plan, in casa ed in trasferta, senza lasciarci impressionare dalla forza degli avversari e da un eventuale ambiente ostile. Vogliamo partire subito forte anche questa stagione, entrando in campo, sin dalla prima partita, con la voglia di imporre la nostra idea di rugby.
Con la nazionale sullo sfondo…
Lavoro sempre pensando al Benetton Rugby. L’obiettivo finale, ovviamente, resta la nazionale, ma tutto passa dal fornire la miglior prestazione possibile con il mio club nei fine settimana di gioco.
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