I Wallabies si portano al Mondiale tante incognite, ma anche una grossa quantità di talenti. Cosa emergerà in Giappone?
Tracciare un profilo dell’Australia è sempre una missione piuttosto spericolata. Di quale squadra dobbiamo parlare? Di quella straordinaria nel punire gli All Blacks in 14 rifilando loro la sconfitta più larga di sempre, oppure di quella che appena una settimana più tardi ha deposto le armi perdendo 36-0 in Nuova Zelanda?
Ma ancora: l’Australia è quella sciatta degli ultimi Test Match di novembre e della sconfitta in casa contro l’Argentina oppure quella capace di rimontare 24 punti in casa dei Pumas con un magistrale secondo tempo? La risposta potrebbe stare nel mezzo, penserà qualcuno, ma il problema più grande di Michael Cheika è che una risposta vera non c’è. I Wallabies in pratica sono quelli che stiamo osservando dal 2016 in avanti: a volte bellissimi, tremendamente incostanti, a tratti irriconoscibili e alla perenne ricerca di punti fermi su cui lavorare con serenità.
Le cause di questa scarsa continuità nel corso delle stagioni sono molteplici. Una di queste può essere ricondotta al disequilibrio che esiste a livello di talento e qualità tra il reparto degli avanti e i trequarti, con la mischia spesso sotto tono e non in grado di aiutare adeguatamente lo svolgimento dell’azione in campo aperto. Il pack dei Wallabies non è certamente il più temibile se consideriamo le prime otto squadre del mondo, anche se da solo non può spiegare a volte le difficoltà nella produzione di gioco da parte degli aussie.
Lo staff tecnico ha le sue colpe in tutti i reparti, specie per una fase offensiva che potrebbe essere molto più florida di quanto non lo sia oggi considerando il talento a disposizione sulla trequarti. Non a caso, quando la ruota gira per il verso giusto e i Wallabies riescono a giocare sul piede avanzante, l’Australia ha dimostrato di essere una squadra dotata di tante frecce al proprio arco, capace di fare male a qualunque difesa (o di segnare 47 punti agli All Blacks, anche se in 14).
Le ultime uscite, oltre a confermare i soliti alti e bassi, hanno perlomeno chiarito le idee a Cheika in diversi ruoli: Alaalatoa può essere il titolare in mischia per esempio; Rodda è un vero pilastro di questa squadra; Kerevi-O’Connor è una coppia ben assortita al centro; Nic White è tornato dall’Inghilterra in grande spolvero e Hodge è un uomo buono per tutte le stagioni.
Allo stesso tempo, in terza linea il vuoto lasciato da Scott Fardy nel 2015 non è stato ancora colmato, per non parlare dell’assenza di Pocock. Dei tanti flanker che si sono alternati in questi anni nessuno ha convinto davvero fino in fondo, e Cheika deve sperare dunque in una forma fisica accettabile almeno del fetcher nato in Zimbabwe.
Ambizioni e obiettivi
Quattro anni fa, contro molti pronostici, Michael Cheika riuscì a raggiungere la finale contro gli All Blacks e a costringere Dan Carter a fare gli straordinari per permettere alla Nuova Zelanda di vincere la partita. L’ex allenatore del Petrarca arrivò sulla panchina dei Wallabies solo nell’ottobre 2014 e, come in questa stagione, nell’estate prima del Mondiale riuscì a battere gli All Blacks in casa prima di perdere il match di ritorno.
Anche nel 2015 c’era un notevole scetticismo attorno agli aussie, che poi seppero rifarsi sul campo con prestazioni spesso brillanti, nonostante l’eliminazione sfiorata nel quarto di finale contro la Scozia. La situazione attuale per certi versi non è dissimile da quella di quattro anni fa, ma i Wallabies si presentano con qualche incognita in più in alcuni reparti e nella consistenza del proprio gioco.
Ripetere lo stesso percorso del 2015 sembra decisamente più complicato, anche partendo di nuovo da underdog o come ultima nella griglia di partenza delle favorite al titolo. Una nazionale come l’Australia, in ogni caso, non può porsi un obiettivo inferiore alle semifinali: nel girone dovrà battagliare con il Galles e superare la mina vagante figiana, per poi ritrovarsi di fronte una tra Inghilterra (grande favorita per arrivare al primo posto nel Girone C), Francia e Argentina ai quarti di finale. Vincere la Pool D dunque diventerebbe fondamentale per poter entrare di nuovo tra le prime quattro, mentre una sfida ai quarti contro l’Inghilterra – che ha sempre battuto nettamente i Wallabies di recente – potrebbe essere fatale per gli uomini di Cheika.
Il calendario
L’Australia affronterà subito le Fiji il 21 settembre, in un match che potrebbe rappresentare anche un’insidiosa buccia di banana per i Wallabies (e una grande occasione per i figiani, dall’altra parte). Dopo l’esordio, i Wallabies avranno un calendario piuttosto equilibrato per quanto riguarda i giorni di riposo, ma non così clemente per quanto riguarda gli spostamenti tra una città e l’altra.
Per prepararsi al big match contro il Galles gli aussie avranno una settimana di tempo ma 1171 km da percorrere. Cinque giorni più tardi ci sarà la sfida contro l’Uruguay, con 971 km da coprire per raggiungere Oita da Tokyo. Infine, il girone dell’Australia si chiuderà l’11 ottobre a Fukuroi nella sfida contro la Georgia, dopo un altro viaggio da 746 km. Non a caso, i Wallabies sono la seconda squadra – dopo Tonga – a dover fare gli spostamenti più lunghi nella fase a gironi.
Giocatori da seguire
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Le attenzioni di tutti saranno puntate su David Pocock, sulle sue condizioni fisiche e su come ritornerà in campo. Intanto in terza linea a portare la croce sarà soprattutto Michael Hooper, giocatore di grande temperamento e uno di quelli a cui Cheika non potrebbe mai rinunciare. Un altro giocatore essenziale per il CT, come detto già prima, è Izack Rodda in seconda linea, mentre in prima linea è da seguire la contesa per la maglia numero 2 tra Fainga’a e Latu.
Sulla trequarti, anche senza Israel Folau il talento è debordante (in teoria). Nic White e Christian Lealiifano sembrano aver superato Genia e Foley nelle gerarchie e saranno la mediana titolare, che avrà il compito di lanciare a tutta velocità il grimaldello dell’attacco australiano, ovvero Samu Kerevi, reduce finora dalla miglior stagione della sua carriera. Da seguire con attenzione anche James O’Connor e Kurtley Beale, per il semplice fatto che possono accendersi e illuminare il palcoscenico in qualunque momento.
Scenari migliori e peggiori
Nel migliore dei casi, l’Australia riesce a ritrovare compattezza e solidità in mischia e in difesa giusto in tempo per replicare il percorso di quattro anni fa. I Wallabies vincono il girone, battono una tra Francia e Argentina ai quarti di finale e in semifinale resistono alla fisicità degli Springboks battendoli con un drop di Lealiifano. In finale, però, devono arrendersi ancora agli All Blacks.
C’è pur sempre la possibilità, tuttavia, che ai Wallabies vada davvero tutto storto, a cominciare dalla prima partita contro le Fiji. Gli oceanici vincono di misura 40-43, mentre gli aussie entrano in crisi e perdono anche contro il Galles, venendo eliminati ai gironi. Troppo drammatico? Allora arrivano secondi e vengono umiliati dall’Inghilterra ai quarti di finale, mentre la Federazione magari perde anche una causa milionaria contro Folau.
La storia dell’Australia nella Rugby World Cup
1987: quarto posto
1991: campioni
1995: quarti di finale
1999: campioni
2003: secondo posto
2007: quarti di finale
2011: terzo posto
2015: secondo posto
Le schede delle squadre della RWC 2019
– Canada
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– Georgia
– Namibia
– USA
– Sudafrica
– Nuova Zelanda
Daniele Pansardi
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