Come quattro anni fa, gli atleti selezionati da Michael Cheika hanno avuto la comunicazione da alcuni grandi Wallabies del passato
“Era tutto il giorno che aspettavo. Mi ha chiamato un numero sconosciuto e mi sono detto: ci siamo, ragazzi. Dev’essere quello. Ho risposto, e dall’altra parte mi hanno detto: ‘Ciao, sono Lote Tuqiri, sei in squadra.'”
E’ così che Taniela Tupou ha saputo della convocazione per la Rugby World Cup, con una telefonata da un grande Wallaby del passato, che con la maglia dell’Australia giocò un grande mondiale nel 2003, e che con Tongan Thor condivide l’ascendenza isolana.
Come quattro anni fa, Michael Cheika ha voluto che i suoi 31 convocati ricevessero in maniera speciale la notizia della loro convocazione per la Rugby World Cup. Ognuno di loro è stato oggetto di una telefonata, con un interlocutore scelto ad hoc fra chi alla maglia verde e oro ha dato lustro nel passato, recente o remoto che sia.
“E’ una storia da raccontare, una che racconteranno in futuro – ha detto l’head coach ai microfoni della stampa australiana in sede di presentazione della squadra – Lo so, sono piccole cose, ma ti vuoi ricordare del giorno in cui ti dicono che guadagnerai il tuo primo cap, così come il giorno in cui ti dicono che sei stato convocato per la Rugby World Cup.”
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Una delle telefonate più cariche di emozione, nonostante il suo status di veterano, è stata quella del capitano della nazionale Michael Hooper, che ha ricevuto la chiamata del suo ex compagno di stanza con i Wallabies, Rob Horne.
Dopo la Rugby World Cup 2015, Horne ha firmato un contratto con i Northampton Saints, ma in un bruttissimo infortunio ha subito un danno irreparabile al nervo del proprio braccio destro, che ne ha causato un prematuro ritiro e che ha conseguenze sulla sua vita di ogni giorno.
“[Rob Horne] mi ha chiamato mentre ero a cena. Gli faccio: amico, sto cercando di cenare. Pensavo che mi stesse chiamando per farsi sentire, quindi ho tagliato un po’ corto, ma poi ha detto: c’è qualcosa che ti devo dire. E allora sono rimasto in linea.”
“E’ stata una conversazione divertente. E’ stato fantastico sentirselo dire da un proprio compagno, siamo stati in camera insieme praticamente per tutto il 2015.”
Adam Ashley-Cooper, il super-veterano che ha ottenuto la sua quarta convocazione al mondiale, ha vissuto la telefonata con meno scioltezza.
“Ho ricevuto la chiamata di Matt [Giteau] mentre ero al corso di preparazione alla nascita. Quindi gli ho scritto un messaggio, dicendo che lo avrei richiamato. Quando l’ho fatto abbiamo chiacchierato per 15 minuti, e me la stava facendo sudare. Alla fine gli ho detto: stai chiamando per dirmi qualcosa di speciale o per darmi una delusione? E lui: è proprio per questo che ti sto chiamando, congratulazioni.”
#Wallabies captains, past and present.
All gathered at the Road to Japan Rugby lunch.#GoldBlooded pic.twitter.com/YEIs4klx2T— Qantas Wallabies (@qantaswallabies) August 23, 2019
Dietro ogni telefonata, c’è un collegamento. Per Hooper si trattava del vecchio compagno di stanza, per Ashley-Cooper di chi aveva già vestito i panni dell’anziano del gruppo che ritorna, e per Reece Hodge, alla sua prima Rugby World Cup, si è trattato del suo idolo d’infanzia, Matt Burke.
“Era uno dei miei idoli da bambino e ho ancora una sua maglia incorniciata in camera mia a casa di mamma e papà. Il mio vecchio si lamenta sempre di aver speso un sacco di soldi per comprarmi quella memorabilia quand’ero piccolo. Quando sono uscito dalla mia stanza gli ho detto che adesso lo ripagherò per quella volta. Sono cresciuto volendo essere Matt Burke, è un po’ come la chiusura di un cerchio.”
Lo stesso Matt Burke ha avuto anche l’incarico di chiamare Dane Haylett-Petty, il quale, però si è fatto desiderare, non rispondendo per più di una volta al telefono, finché lo stesso Burke non ha mandato un messaggio: “Sono Matt Burke, ti dispiacerebbe richiamare?”. Altre volte, invece, sono stati i grandi vecchi a farsi desiderare, tanto che sia Kurtley Beale che James O’Connor stavano cominciando a disperare, visto che alle sei del pomeriggio ancora non erano stati chiamati da nessuno. Poi sono arrivate le telefonate di, rispettivamente, David Campese e Tim Horan.
Chi non ci sperava proprio più era il seconda linea Rob Simmons: “Erano le dieci di sera ed ero già andato a letto. Ci avevano detto di tenere il telefono a portata, ma mi ero ormai arreso. Justin Harrison mi ha chiamato, era a Samoa e mi ha detto: scusa per il ritardo, è un onore chiamarti. Mia moglie era furiosa. Non poteva capacitarsi di chi cavolo fosse a chiamare alle dieci di sera.”
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