Italia, non è la solita sconfitta

La partita dello Stade de France lascia poco da salvare. Sebbene l’insuccesso fosse messo in preventivo, la prestazione azzurra è stata preoccupante

Italia Parisse

ph. REUTERS/Gonzalo Fuentes

La partita tra Francia e Italia è durata 23 minuti e una manciata di secondi. E’ sostanzialmente terminata quanto l’arbitro Matthew Carley ha deciso di concedere una meta tecnica francamente ridicola alla squadra di casa per una veniale trattenuta di Mattia Bellini ai danni di Yoann Huget, lanciato in una azione di contropiede travolgente dopo che l’Italia, in vantaggio di due punti e di due uomini, aveva perso il pallone nella zona rossa avversaria.

L’attenzione, però, non è per la quantomeno opinabile decisione arbitrale, quanto per il tempo che l’Italia è riuscita a rimanere in partita: dopo il contraccolpo di subire meta in 15 contro 13, gli Azzurri hanno disputato una delle peggiori partite degli ultimi anni, chiudendo con un passivo di 28 punti (47-19 il risultato finale) che rispecchia in tutto e per tutto i valori visti in campo.

Passeranno solamente pochi minuti, infatti, giusto il tempo di tornare in parità numerica, prima che Camille Chat segni la terza meta francese in seguito a un drive da touche, allargando ancora il divario di punteggio.

Tornati in campo sul 19-7, gli Azzurri giocheranno una ripresa davvero inconsistente, povera anche dal punto di vista attitudinale, lasciando alla Francia la possibilità di prendere il largo senza troppa fatica. Segneranno due mete: una inventata da un’azione imprevedibile, sgangherata ma efficace, di Jake Polledri; l’altra ben giocata da Carlo Canna per Bellini, con la Francia già con un piede nel tunnel che conduce agli spogliatoi.

Una prestazione che desta preoccupazione a tre settimane dall’inizio della Rugby World Cup in Giappone.

I problemi della difesa

La partita dello Stade de France ha visto la squadra azzurra peccare in fase difensiva sia dal punto di vista individuale che da quello collettivo. Nel primo caso si sono viste situazioni difficilmente accettabili, come nel caso della meta di Antoine Dupont. Una questione emersa con il passare dei minuti che ha a che fare anche e soprattutto con l’attitudine e la preparazione allo scontro, molto più presente nei transalpini che nei nostri giocatori.

Sicuramente, erano diverse le motivazioni con cui scendevano in campo le due squadre, diverso il livello di competizione interna che ha animato le rispettive prestazioni e può essere stato presente un desiderio più o meno conscio di preservarsi per partite con maggiore significato. Però può essere molto difficile riuscire a ritrovare il giusto atteggiamento nel momento che conta.

Altre volte, invece, gli Azzurri sono stati battuti sul piano dello scontro fisico, subendo il maggiore impatto dei giocatori avversari. Un ultimo difetto dal punto di vista individuale è stata l’episodica incapacità di mettere a terra il portatore di palla: in più di una circostanza giocatori ben impattati, con placcaggi alti sul busto a impedire di trasmettere l’ovale, hanno però potuto continuare a pestare sulle gambe e a trovare un ulteriore avanzamento. Un esempio di questo tipo di errore è la meta segnata nella ripresa da Wenceslas Lauret.

Come sottolineato anche da Conor O’Shea in conferenza stampa, la Francia è la squadra che dal punto di vista fisico assomiglia di più al Sudafrica. Ripetere questo tipo di errore contro gli Springboks equivale a non darsi neanche una possibilità di competere.

Altro aspetto è invece quello dei movimenti della linea difensiva, specie al largo, dove la salita è stata mal interpretata in qualche occasione, con uscite precipitose dall’allineamento che invece che impedire l’allargamento del pallone agli avversari, li hanno invitati a trovare fratture da attaccare con profitto.

I problemi dell’attacco

Se paragoniamo la partita contro l’Irlanda di tre settimane fa a quella di venerdì sera, qualche progresso dal punto di vista offensivo c’è obiettivamente stato. A Dublino l’Italia era stata totalmente inconcludente, mentre a Parigi qualche sprazzo di efficacia si è visto, come nel caso della meta di Polledri, che prima dell’azione decisiva del flanker aveva visto un ottimo multifase azzurro risalire il campo. Troppo poco, comunque, per una squadra che sta cercando di costruire una struttura d’attacco efficace da tre anni e mezzo.

Il problema principale è la qualità dei palloni che gli Azzurri si trovano a giocare: troppe volte non riusciamo a trovare l’avanzamento con gli avanti, com’è successo spesso contro la Francia. I pod di tre avanti che vanno a cercare la penetrazione sono un facile bersaglio. I ricevitori del pallone sono troppo spesso riconoscibili e quindi messi sotto pressione da una difesa che ha gioco semplice nel metterli nel mirino e salire forte su di loro.

L’Italia è decisamente più efficace quando riesce a muovere il pallone all’interno del pod, ma non propone mai una opzione in più al mediano di mischia per scegliere dove penetrare. Nel match contro la Francia, a tratti, è mancata anche una veloce distribuzione, con Tebaldi che si è trovato con il pallone in mano senza sapere cosa fare.

Su queste difficoltà nel mettere la squadra in avanzamento, si innestano scelte non sempre proficue nel gioco al largo. Contro la Francia abbiamo dimostrato di non avere soluzioni alla salita forte della linea difensiva avversaria che impedisce di portare il pallone fuori, una abitudine che tutte le squadre nazionali stanno adottando con sempre maggiore convinzione (e i più bravi a farlo sono, anche in questo caso, i sudafricani). Inoltre, spesso la squadra non ha la pazienza sufficiente per passare attraverso le fasi, ma prova a risolvere la situazione con giocate a basso coefficiente di riuscita, con offload malamente forzati o un uso del piede in chiave offensiva piuttosto velleitario.

Infine, un eloquente dato statistico: per una squadra che, test contro la Russia a parte, fatica a segnare punti, undici palloni persi in attacco sono una cifra troppo importante. Due palloni persi in rimesse laterali offensive dentro i 22 metri avversari, tre nel breakdown, due offload forzati e quattro errori gestuali, di cui due non forzati, sono un bilancio che parla di un’Italia che non può arrivare a sfruttare la mole di lavoro prodotta.

Ne è la dimostrazione il fatto che la reazione iniziale degli Azzurri, che dopo la prima meta avversaria si sono stabilmente stanziati nei 22 metri avversari fino alla segnatura di Bellini, sia stata sì positiva, ma principalmente dovuta all’indisciplina dei francesi.

Quelle poche, buone notizie

Le buone notizie per gli Azzurri arrivano dalle prestazioni di Jake Polledri e Braam Steyn, che hanno giocato una partita a parte, lavorando incessantemente, anche quando la gara era ormai andata. Sono i due migliori ball carriers dell’Italia, i più capaci a trovare continuativamente l’avanzamento. Se Steyn è un giocatore di potenza più pura, Polledri sarebbe ancora più devastante se messo in azione un po’ più lontano dal punto d’incontro.

Il terza linea di origine sudafricana, invece, ha anche affinato una capacità unica nel filtrare all’interno delle maul avversarie per bloccare l’ovale e costringere l’arbitro ad assegnare il turnover. E’ inoltre una delle opzioni più affidabili in rimessa laterale.

Infine, in una partita che ha visto la linea arretrata italiana ballare, Michele Campagnaro si è messo in luce come uno dei più indefessi placcatori, mettendo a terra tutto quello che gli capitava a tiro.

Adesso agli Azzurri rimane solo una partita prima di partire per il Sol Levante: si giocherà sabato prossimo a Newcastle, contro l’Inghilterra. Sarà l’ultima possibilità per provare a mandare un messaggio a questo punto necessario prima del mondiale. La Rugby World Cup, infatti, sembra destinata ad un risultato scontato, che renderà difficile dare un giudizio compiuto estrapolandolo da partite dall’esito prevedibile. Per dimostrare che l’Italia ha l’ambizione e la voglia di dimostrare qualcosa in Giappone, sarebbe importante mandarlo a dire con una prestazione di riscossa il prossimo 6 settembre.

Lorenzo Calamai

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