Alla vigilia della sfida contro il Canada, da che cosa devono ripartire gli azzurri guardando a ciò che è stato con la Namibia?
Nuova puntata della rubrica dal titolo “80° minuto” curata da Flavio “Fuser” Fogliani, Cristiano Gobbi, Luca Mammoli e Nicola Riccetti di Italrugbystats, una pagina che parla del rugby italiano attraverso numeri e statistiche.
“80° minuto” è pensata come un approfondimento che utilizza i valori matematici espressi in campo per interpretare la storia della partita attraverso i numeri che la caratterizzano.
La nazionale Italiana di rugby ha finalmente iniziato l’avventura al mondiale giapponese, battendo la Namibia 47-22 nella partita d’esordio. È stato il secondo punteggio più alto segnato da una squadra azzurra ad una Coppa del Mondo dopo i 53 punti segnati alla Russia nel 2011. Soltanto altre due volte la differenza nel punteggio è stata più ampia di così (+26 punti contro il Portogallo nel 2007 e +38 punti sempre contro la Russia 2011).
Messa così sembrerebbe una vera e propria boccata d’ossigeno per una selezione nazionale che ha avuto un anno e, soprattutto, un immediato premondiale estremamente difficile, nel quale la sola vittoria contro la Russia non è stata sufficiente a controbilanciare tre sconfitte nette per mano di Irlanda, Inghilterra e Francia.
Ciò nonostante la maggior parte dei commenti, più o meno a caldo sulla gara, viravano insindacabilmente dal negativo al catastrofico, senza dare agli azzurri alcuna possibilità di appello.
Dove è, quindi, la verità? La nazionale ha giocato bene, proporzionalmente al proprio livello, come indica il punteggio finale, oppure ha giocato male nonostante lo stesso?
Premesso come sia effettivamente impossibile scegliere con assoluta certezza una o l’altra tesi, proviamo a contestualizzare e ad oggettivare il più possibile la gara, utilizzando, come al solito, i numeri e le parole dei protagonisti della stessa.
Federico Ruzza, Man of the Match e autore di una prestazione solida in entrambe le fasi con 6 corse, 22 metri corsi, 1 clean break, 2 difensori battuti, 4 placcaggi con il 100% di efficacia e un bellissimo passaggio no-look per mandare Tebaldi oltre la linea, con pochissime parole a fine partita hatoccato concetti molto interessanti per la analizzare questo risultato.
“Quello odierno è stato un match molto duro. Il primo della nostra Coppa del Mondo, nel corso del quale tutti i giocatori in campo volevano sfoderare la miglior performance possibile. Il primo tempo è stato complesso, ma siamo rimasti dentro la partita, abbiamo rispettato il game-plan e siamo riusciti a portare a casa i cinque punti”
Il primo riferimento, quindi, è alla componente mentale: fin dal momento del sorteggio del girone, infatti, “la” partita di questa edizione è stata identificata, da tutto l’ambiente italiano, con la terza gara contro gli Springboks. Il grande rischio di questo approccio è, ovviamente, quello di sottovalutare, o quantomeno non considerare correttamente, le prime due partite chiaramente più alla portata, come appunto la Namibia e il Canada, cercando di risparmiare tutto per la “propria” finale, che si tratta comunque di un impegno quasi impossibile.
Abbiamo smesso di giocare dopo il punto di bonus?
Ruzza, per l’appunto, parla della complessità del primo tempo, e infatti contro la Namibia, l’inizio della Nazionale è stato terribile: 2 punizioni contro nei primi 2 minuti, una meta subita già al 6 minuto del primo tempo.
Dopo questo iniziale sbandamento, però, l’Italia ha dominato i restanti 35 minuti, marcando 3 mete e virtualmente chiudendo la partita prima dell’intervallo (nonostante la meta che vale il punto di bonus, vero obiettivo minimo condiviso da tutti, arrivato solo 7 minuti dopo l’inizio del secondo tempo). Da un punto di vista pratico, quindi, l’Italia ha dimostrato quel pragmatismo o killer instinct che si invoca spesso a gran voce, e che, soprattutto, si chiede ad una squadra che parte per una coppa del mondo, chiudendo rapidamente una partita ampiamente alla portata, ottenendo il massimo dei punti possibile e non riportando gravi infortuni.
Se si guardano le zone di campo dove la nazionale ha giocato durante la partita fino alla conquista del punto di bonus (IMG 1), si nota una presenza costante a ridosso e all’interno dell’area di 22 avversaria, con picchi nelle immediate vicinanze dell’area di meta.
Al contrario, l’area di 22 difensiva non ha visto virtualmente mai possessi italiani, così come la metà campo avversaria.
IMG 1: Heat-Map di Italia-Namibia, prima del punto di vista del bonus.
Questo fa da contraltare a ciò che si vede analizzando, invece, la distribuzione delle azione Italiane dopo la conquista del punto di bonus (IMG 2). Si vede chiaramente come la pressione nell’area dei 22 avversaria crolli drasticamente, con la nazionale che occupa principalmente la trequarti offensiva di campo, senza più, però, imporre una presenza costante così alta nel campo avversario.
IMG 2: Heat-Map di Italia-Namibia, dopo del punto di vista del bonus
Anche l’indagine delle prestazioni individuali dei giocatori fa registrare un netto calo di intensità tra prima e dopo la conquista del punto di bonus.
Tra tutti 23 che hanno preso parte alla partita, infatti, gli eventi per minuto (EPM) medi sono di .78 prima del punto della quarta meta, per poi scendere a .39, un calo del 50% nell’intensità media della squadra.
La differenza è meno marcata, ma allo stesso modo importante, quando si guardano i titolari che abbiano giocato almeno un minuto dopo la segnatura: l’EPM medio è di .46 prima e di .30 subito dopo, un calo in questo caso “solo” del 35%.
Tra le riserve entrante prima del bonus (tutti tranne Palazzani) la differenza è, di nuovo, estremamente marcata, con un EPM medio di 1.45 prima della quarta meta e di 0.48 dopo, un calo del 67%. Valori di intensità significativi di quanto lo sforzo e il focus principale fosse indirizzato proprio a chiudere la gara.
Come per ogni tesi, anche per queste valutazioni ci sono le dovute eccezioni. Non tutti i giocatori tra quelli ad aver giocato sia prima che dopo la conquista del punto di bonus, infatti, hanno ridotto la loro intensità una volta messa in ghiaccio la partita. Alessandro Zanni, autore della migliore prestazione difensiva della gara con 7 placcaggi e il 100% di efficacia, ha sfoderato la partita che ogni allenatore vorrebbe dai suoi leader, giocando con intensità costante durante tutto il match, senza considerazioni aggiuntive né speculazioni sul risultato, e registrando un EPM di .39 prima della quarta meta e di .38 dopo. Una perfezione quasi chirurgica, difficilmente uguagliabile.
In conclusione
Alcuni dati, insomma, dimostrano come il focus principale della partita fosse legato a doppio filo al punteggio in classifica e alla salute dell’intera rosa. A questo però non ha fatto seguito una prestazione convincente, come hanno dichiarato tutti i protagonisti nel post partita.
Questo approccio di minimo input e massimo output da fuori potrà sembrare non bello né divertente o rispettoso per il pubblico, ma dovrebbe essere
quantomeno compreso considerando le speranze (per quanto irreali) dell’intero movimento che, in fondo, aspetta comunque questa benedetta partita contro il Sudafrica.
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