Alla vigilia del kick-off della Serie A femminile, abbiamo parlato con il talento patavino, toccando diversi temi di grande interesse, tra atletica, Valsugana e futuro professionale
Tra le trenta ragazze che in una tiepida serata di inizio giugno si stanno dando battaglia a Calvisano, nel lussuoso contesto della finale scudetto tra Villorba e Valsugana, sublimato dalla presenza di tante fuoriclasse, ce n’è una che come spesso le capita attira magneticamente l’attenzione, non necessariamente per lo sgargiante caschetto rosso che porta.
Vittoria Ostuni Minuzzi non fa cose eclatanti, non ne ha bisogno. A 18 anni ancora da compiere, ma con il piglio della veterana (del resto è alla terza stagione in prima squadra), si prende la scena, giocata dopo giocata, movimento dopo movimento, facendo sembrare tutto semplice, con quella leggiadria che solo gli eletti del gioco possiedono.
Conquista lo scenario tricolore per carisma, pulizia d’esecuzione e letture, sia in attacco che in difesa, ma quello che colpisce maggiormente seguendone le orme per il campo è l’eleganza della sua corsa, con la quale riesce a disegnare traiettorie sempre imprevedibili.
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Atlet(ic)a di livello
“La coordinazione motoria che possiedo è dovuta in gran parte ai miei trascorsi nell’atletica leggera, un intermezzo importante tra le mie esperienze ovali. Ho iniziato a giocare a rugby da piccolissima. A nemmeno cinque anni avevo già la palla in mano (sorride, ndr), e me la sono tenuta stretta per quattro stagioni, prima di incappare in un brutto infortunio che mi ha causato dei problemi, costringendomi ad un’operazione chirurgica. A 10 anni avevo paura di tornare in campo e così mi sono dedicata all’atletica leggera, ottenendo anche dei buoni risultati”, esordisce Vittoria, parlando della sua corsa composta, prima di sottolineare l’importanza del conoscere al meglio il proprio corpo.
“Dai 10 ai 14 anni, tra pista e pedana, non esiste una vera e propria specializzazione. Ti fanno fare un poco di tutto, cercando di sviluppare globalmente le potenzialità atletiche del singolo. Soprattutto nell’età dello sviluppo, l’atletica ti aiuta a prendere realmente coscienza di tutte le parti del tuo corpo. Sia chiaro, la bravura di una giocatrice, nel rugby, passa ovviamente anche attraverso molto altro, ma, per noi trequarti, avere una buona tecnica di corsa (anche se con o senza palla è molto diverso) aiuta tantissimo, perché ti permette di sviluppare con consistenza la velocità necessaria per fare la differenza”, dettaglia la ragazza patavina.
Ritorno al futuro
“Sul tartan, ho imparato tanto e sono migliorata anno dopo anno. Ad un certo punto, però, l’attività sportiva individuale mi ha stancato. Non ce la facevo più ad allenarmi, ad affrontare le sfide, a vivere le gioie, ma anche le delusioni, sempre in solitaria. Un giorno, ad una partita di mia sorella Caterina (anche lei trequarti del Valsu, ndr), con cui ho un rapporto speciale, dentro e fuori dal campo, ho risentito ardere dentro di me il desiderio ovale, così pochi giorni dopo sono tornata su un campo da rugby, togliendomi, però, i panni della spettatrice (sorride, ndr)”, racconta, come se riuscisse a rivivere ancora in maniera nitida le sensazioni di quel pomeriggio che le ha cambiato la vita.
Un ritorno preso sul serio, sin dalle prime battute, in pieno stile ‘Ostuni Minuzzi’. “Nella vita, lo ammetto, faccio relativamente poche cose, ma le faccio bene. Certo, ho delle passioni, ma durante l’anno, sono focalizzata al 100% sullo studio e sul rugby. Quando inizio un percorso, mi piace percorrerlo con il massimo delle mie forze. Essendo cresciuta così, sin da piccola, con un modus operandi chiaro: mi pongo degli obiettivi e cerco di raggiungerli spingendo al massimo. Non inizio una cosa tanto per dire di averlo fatto. Dal momento esatto in cui decisi di tornare all’ovale, vivo il rugby come una passione totale e totalizzante. Per me è una sfida quotidiana, quindi, andare ad allenamento è sempre un grande stimolo. Ed è stato così sin dai primi anni nelle giovanili al Valsugana”, spiega Vittoria.
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L’impetuosa crescita nella Valsu family
Un’esperienza, quella tra le piccole Valsugirls, che, per l’utility back classe ’01, dura molto poco, perché a 15 anni e 6 mesi arriva il grande balzo in prima squadra, saltando a piedi pari (del resto nel salto in lungo se la cava, visto il 4,54 m di Personal Best in giovane età) l’ultimo anno di Under 16.
“Non posso negare che, almeno nelle prime settimane con le seniores, fossi un poco preoccupata (sorride, ndr). Insomma, ritrovarsi, a 15 anni, a dover condividere lo spogliatoio con gente di 25 penso sia una cosa che possa spaventare chiunque. Però, sin da subito, le ragazze mi hanno tranquillizzato, e dopo poche settimane assieme sono diventata semplicemente una di loro. A volte, la battuta sul quando faccio i 18 anni (li compirà il prossimo dicembre, ndr) arriva, ma è un momento simpatico, devo ammettere. Tra l’altro, nonostante quest’anno sia arrivata in prima squadra un’infornata di ragazze dalla Under 18, sarò ancora la più giovane, visto che sono nata a Dicembre. Ormai ci ho fatto l’abitudine”, scherza, prima di entrare nel dettaglio sulle caratteristiche del gruppo guidato da Nicola Bezzati.
“Ho la fortuna di giocare in un ambiente professionale. Come spiegò molto bene anche Valentina Ruzza, non siamo pro, ma siamo seguite come tali. In più, ogni giorno, posso confrontarmi con colleghe di reparto di livello assoluto, che mi offrono tanti spunti per crescere e migliorarmi, e che hanno piacere nell’aiutare un compagno che ne ha bisogno. Giocare con ragazze come Beatrice (Rigoni, ndr), Silvia (Folli, ndr) o Sofia (Stefan, ndr), tra i trequarti, è al tempo stesso facile, viste le loro qualità e l’incredibile duttilità di cui dispongono, ma anche oltremodo stimolante, perché alzano sempre l’asticella, costringendoti a tirare fuori il meglio. Quest’anno, poi, è arrivata un’altra campionessa come Michela (Sillari, ndr). Un’aggiunta che accresce ulteriormente il nostro standard nella linea arretrata, elevando il tasso di concorrenza interno, ma la cosa, più che spaventarmi, mi eccita”, si illumina Vittoria, consapevole che in un contesto positivo, la sana battaglia per un posto da titolare, possa sempre rappresentare un bonus importante per la squadra.
Riscatto ed ambizioni
Un team, quello patavino, che dopo due finale perse, vuole tornare sul trono nazionale “Quest’anno, più della stagione passata, c’è stata sicuramente un po’ di delusione per il k.o. in finale, come fisiologico che sia, anche perché siamo consapevoli di aver lavorato veramente bene per tutto il ’18/’19 e non possiamo ridurre tutto ad una singola partita, seppur importantissima e decisiva. Faremo sicuramente tesoro del percorso fatto, però, e ripartiremo da là, dall’ultima meta segnata, a tempo scaduto a Calvisano. Una sorta di manifesto del nostro spirito”.
“A titolo collettivo, l’obiettivo è sempre lo stesso, anche se il campionato è cambiato. Meno partite, ma più competitive. Questo sarà un bello stimolo perché le gare sono in minor numero, quindi con più tempo per prepararle, e tutte dai contenuti tecnici importanti”, sottolinea piuttosto soddisfatta per la modifica attuata al massimo torneo.
“A livello personale non voglio darmi false speranze. Sto con i piedi per terra e continuo a lavorare come ho sempre fatto sino ad adesso. Sotto il profilo meramente tecnico sto insistendo sul miglioramento del passaggio, sia in termini di potenza che di precisione. Ma ci sono anche altri aspetti da sviluppare. So che, se proseguo sul percorso intrapreso in questi anni, qualche soddisfazione arriverà. La prova, in tal senso, l’ho avuta lo scorso anno, con l’esperienza bellissima in quel di Vichy, vissuta con la maglia della selezione Under 18. “, racconta Vittoria.
Realismo e maturità
“La nazionale, come penso per qualsiasi atleta, sarebbe il coronamento di un sogno. Indossare la maglia azzurra è un obiettivo sportivo, ma sono consapevole che le priorità, nella mia vita, potrebbero presto diventare altre”, incalza il secondo centro del Valsu, che quest’anno frequenta l’ultimo anno del liceo classico con potenziamento matematico.
“Difficilmente, almeno in Italia, ma non solo, potrò guadagnarmi da vivere come rugbista e quando inizierò l’Università, dopo la maturità 2020, non sarà facile conciliare le due cose. Visto che, come detto, non mi va di fare qualcosa senza poter essere totalmente dedicata alla causa, e la facoltà di Medicina (o in seconda battuta di fisioterapia, ndr) potrebbe richiedermi un impegno quasi totalizzante, non ho certezze su come possa essere il mio ’20/’21 sportivo, motivo in più per vivere al top l’annata che sta per cominciare”, chiarisce, pur spiegando come, al tempo stesso, faccia fatica a vedersi senza l’ovale in mano.
La medicina del viaggio, ed il viaggio della medicina
Una passione, quella per le professioni sanitarie, da sempre parte della vita della giovane Vittoria, corroborata, però, da un’esperienza di vita in Mali, da piccolissima, una decina di anni fa.
“Mio padre faceva parte di un progetto per aiutare bambini nel paese africano. Avevano creato un ospedale, una scuola, una fontana, generando, di fatto, un villaggio ex novo. Avevo otto anni. Fu un’esperienza incredibile, che mi ha segnato, perché vedere dei bambini poco più piccoli di me chiedermi disperatamente aiuto mi ha reso consapevole, per la prima volta, di quanto siamo fortunati in Italia. In ospedale, poi, con l’ausilio dei medici del progetto, abbiamo fatto piccole operazioni, tipo una cataratta, in condizioni proibitive, con le luci del telefono, senza anestesia (sorride, rimembrando dettagli che hanno dell’incredibile, ndr). vedere, poi, la gente curata, ringraziare soddisfatta il personale sanitario, mi ha trasmesso una passione ed una curiosità fortissime nei confronti del mondo medico.
Quello in Africa è il viaggio che Vittoria ricorda con più piacere, ma è solo uno dei tanti della sua giovane vita. “Amo scoprire ogni sfaccettatura di questo pianeta, soprattutto con un gruppetto di poche persone al seguito, con cui condividere al meglio l’esperienza di turno. Adoro raccogliere il maggior numero dei dettagli su un luogo che visito, cercando sempre di assimilare il tutto e fare dei confronti sulle varie culture in giro per il Mondo. Parto spesso all’avventura, senza che sia tutto troppo organizzato. Eventuali imprevisti non mi spaventano, ma sono, anzi, una possibilità di crescita, se affrontati con lo spirito corretto”, conclude, tratteggiando, di fatto, con una frase quello che è anche il suo spirito in campo, che le permette di affrontare, a 18 anni, ogni situazione, anche la più complessa, con una freddezza quasi surreale.
Come sempre, risolvendo il tutto senza colpi eclatanti, ma con poche mosse, fatte bene, in pieno ‘Ostuni Minuzzi’ style.
Matteo Viscardi
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