Ogni squadra ha le sue caratteristiche e peculiarità: quali sono le più interessanti in vista delle sfide decisive?
Galles, Inghilterra, Nuova Zelanda e Sudafrica saranno le quattro protagoniste della Rugby World Cup 2019 nelle prossime settimane. Il conto tra emisfero Nord ed emisfero Sud per ora è pari, e così potrebbe rimanere anche fino alla finale: ma potrebbe esserci anche una rivincita europea dopo il 2015, oppure le squadre australi monopolizzeranno anche questo Mondiale.
A prescindere dalle differenze geografiche, in ogni caso parliamo di quattro squadre diverse l’una dall’altra, con le loro caratteristiche ben definite e le loro peculiarità. All Blacks e Inghilterra hanno potuto far vedere molto del proprio repertorio contro Australia e Irlanda, dominate quasi sotto ogni aspetto grazie a dei piani di gioco impeccabili, a un vasto playbook di movimenti d’attacco e a difese davvero asfissianti e coordinate, specie quella inglese.
Il Sudafrica ha dimostrato di avere un set di azioni offensive più ridotto e meno creatività, ma contro il Giappone è stato brutale: ha sfiancato i nipponici, li ha colpiti ripetutamente ai fianchi e infine ha messo i timbri finali, senza mai mettere in dubbio la propria superiorità, fisica e soprattutto territoriale. Del Galles si è visto molto poco contro la Francia, se non la consueta attitudine battagliera e la sensazione che questa squadra sia sempre in grado di sferrare un colpo vincente. Come il Sudafrica è una squadra per certi versi più sparagnina e conservatrice, ma entrambe sembrano sapersi gestire alla perfezione nell’arco degli ottanta minuti.
Secondo l’opinione di molti, Inghilterra-All Blacks è una sorta di finale anticipata, forse perché entrambe restituiscono l’idea di essere due corazzate un gradino sopra le altre che potrebbero dare vita alla più epica delle battaglie, con due generali come Eddie Jones e Steve Hansen che oltretutto potrebbero animarla a parole anche nei giorni precedenti.
Complice l’attesa per l’altra semifinale, insomma Sudafrica-Galles sembra figlia di un Dio minore e si preannuncia effettivamente come la meno spettacolare tra le due partite in programma, vista la filosofia di gioco delle due squadre. Ma come già successo nel quarto di finale del 2015, difficilmente in una sfida tra Springboks e Dragoni mancheranno suspense e tensione agonistica. Che di una semifinale della Rugby World Cup sono del resto gli ingredienti principali.
Cosa tenere d’occhio delle quattro semifinaliste?
- Galles
Come ha ribadito anche Warren Gatland, nella sfida contro la Francia “ha perso la squadra migliore”. È la pura verità per il Galles, incapace per tutto l’arco della partita di trovare una soluzione alla difesa arrembante e chirurgica dei Bleus, abile nell’uscire a tutta velocità dai blocchi e ad anticipare le giocate gallesi. I Dragoni sono riusciti a spuntarla comunque perché da un lato la Francia è stata piuttosto scellerata nella gestione di alcune situazioni (oltre che per il rosso a Vahamaahina), ma anche perché nonostante i tanti errori nessuno ha mai smesso di crederci per davvero.
Contro il Sudafrica, tuttavia, al Galles servirà soprattutto maggiore lucidità e controllo nelle proprie esecuzioni in fase offensiva. Servirà dunque un Jonathan Davies al massimo della forma: il numero 13 gallese è un giocatore che raramente sbaglia le scelte di gioco sotto pressione e ha l’intelligenza tattica per resistere eventualmente alla rush defense che porteranno gli Springboks con Am in particolare. Watkin è un giocatore talentuoso e con ottime credenziali, ma Fox Davies ha competenze e letture individuali che si ritrovano in pochi altri secondi centri del pianeta.
La fase offensiva, sterile e piatta contro la Francia, avrà bisogno poi di un Dan Biggar più reattivo e pronto a dare ritmo alla manovra rispetto a quanto visto domenica scorsa, quando il numero 10 gallese ha titubato in più di un’occasione sulle giocate attirando troppo facilmente la difesa avversaria.
- Inghilterra
L’Australia è riuscita a creare 14 break e a battere 21 difensori nel corso del quarto di finale di sabato, ma sono numeri che vanno come minimo contestualizzati. Innanzitutto perché l’Australia ha tenuto di media il 64% di possesso palla, un dato molto alto che rende meno straordinari quei numeri offensivi, ma anche perché i Wallabies alla fine hanno segnato solo 16 punti e una meta pur tenendo in mano il pallone il doppio quasi il doppio del tempo.
Questo dimostra come gli inglesi, pur concedendo più o meno fisiologicamente qualcosa a una squadra comunque talentuosa, riescano a ricostituire sempre piuttosto velocemente una linea difensiva compatta e pronta a sporcare subito l’attacco avversario, come accaduto in un paio di occasioni nel corso del match. È anche un indice di quanto gli inglesi siano in forma smagliante, seppur aiutati dall’aver giocato una partita in meno nella fase a gironi.
Sarà interessante capire, inoltre, quale sarà in generale l’impatto della difesa inglese – molto aggressiva in ogni zona del campo – contro l’attacco neozelandese e quali soluzioni adotteranno Eddie Jones John Mitchell, che contro l’Australia per esempio hanno spesso tenuto anche quattordici uomini sulla linea. Con Richie Mo’unga e Beauden Barrett sempre piuttosto inclini a usare dei cross kick a scavalcare la difesa, i mediani e il triangolo allargato saranno piuttosto sollecitati e non potranno permettersi sbavature.
- Nuova Zelanda
A un certo punto, durante l’estate, Steve Hansen deve aver pensato che la soluzione più efficace per rendere l’attacco degli All Blacks di nuovo inarrestabile era quella di servirsi del maggior numero possibile di giocatori dei Crusaders fra i trequarti, considerando l’ennesima stagione stupefacente nel Super Rugby della franchigia di Christchurch.
E quindi ecco gli ingressi in pianta stabile nel XV titolare di Richie Mo’unga, Sevu Reece e George Bridge, a cui si aggiungono Jack Goodhue o Ryan Crotty, uno dei quali sarà sicuramente in campo contro l’Inghilterra. La Nuova Zelanda non è certamente una sorta di copia dei Crusaders, ma Hansen non ha potuto non sfruttare la forma strabiliante in particolare di Reece e Bridge e la loro grande intesa con Mo’unga e Goodhue.
I cross kick di Mo’unga per Reece stanno diventando un marchio di fabbrica, mentre il passaggio a memoria senza quasi guardare di Goodhue sempre per Reece, in occasione della seconda meta di Smith contro l’Irlanda, non ha bisogno di ulteriori commenti (ma si può sottolineare invece la solita perfezione stilistica da prima fase degli All Blacks). Reece, in particolare, è stato devastante sia in attacco sia in difesa contro l’Irlanda e il confronto diretto con un velocista come Jonny May sarà uno dei duelli più esaltanti del Mondiale.
- Sudafrica
Faf de Klerk è stato nominato Man of the Match nel quarto di finale contro il Giappone, al termine di una partita intensa, precisa al piede e aggressiva come sempre in difesa. In Sudafrica non a tutti però ha convinto la prestazione del mediano di mischia, accusato di calciare via ogni possesso degli Springboks senza mai dare vitalità al ritmo della squadra.
Ovviamente non è colpa o merito di de Klerk se il Sudafrica, contro il Giappone e in generale molto spesso, gioca per il territorio e punta a schiacciare l’avversario dentro la propria metà campo, piuttosto bisognerebbe renderne conto a Rassie Erasmus, ovvero colui che decide le strategie. E per il momento la strategia sudafricana è questa: giocare tanto al piede, asfissiare gli attacchi altrui e vincere il gioco aereo per sfruttare le qualità dei trequarti nel gioco rotto.
Tutta questa lunga premessa per chiedersi: a questo piano di gioco molto preciso, il Sudafrica saprà aggiungere anche qualche altra variazione nel proprio gioco offensivo? Al momento i grandi punti di forza degli Springboks sono gli impatti fisici del pack e di de Allende, la rolling maul e Cheslin Kolbe, ma in generale non si è visto un attacco da far strabuzzare gli occhi. Sarà interessante capire se il Sudafrica è “solo” questo qui, oppure Erasmus sta tenendo ancora in serbo qualcosa?
Daniele Pansardi
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