Francois Louw e Faf De Klerk hanno permesso al Sudafrica di portare a casa la semifinale nel momento più difficile
Per un’ora di partita gli Springboks sono apparsi in controllo della loro semifinale contro un Galles volitivo, coraggioso e guerrigliero, ma troppo allo stremo per poter competere contro un Sudafrica che, dopo aver preso il vantaggio, ha giocato solamente sugli errori degli avversari, seppelliti sotto un bombardamento di calci dal box e up and under.
Secondo i dati ufficiali, il Sudafrica ha calciato 37 palloni in proprio possesso, cifra notevole soprattutto se comparata al dato relativo ai passaggi fatti, 67 in tutta la partita. Un approccio strategico che alla fine ha pagato: sono stati ben 26 i palloni calci recuperati dai giocatori Springboks.
La vittoria in tre aree di competizione, quella aerea, quella del breakdown e quella della linea del vantaggio (superata dal Galles solamente 23 volte su 114 volte, un successo che si attesta intorno al 20%) sembrava consegnare una vittoria non particolarmente bella da vedere agli uomini di Rassie Erasmus, se non fosse stato per il carattere irriducibile dei Dragoni, delle due squadre quella che alla fine ha maggiormente impressionato nella semifinale in rapporto ai propri mezzi.
Quando a un quarto d’ora dalla fine il Galles riesce a spingersi fin sui cinque metri avversari e a lucrare un calcio di punizione, potrebbe facilmente accorciare sul 16-12 e proseguire la rincorsa, ma Alun Wyn Jones e compagni si rendono contro che il momento è topico. Nei successivi quindici minuti potrebbe essere assai complesso affacciarsi di nuovo là dove l’erba è più verde, è necessario sfruttare al massimo l’opportunità: mischia.
Nonostante la sofferenza, la giovane prima linea composta da Carré e Lewis, ai fianchi di un immarcescibile Ken Owens, riesce a resistere quel tanto che basta per offrire il pallone a Moriarty nel primo canale. Il numero 8 resiste alla pressione della spinta avversaria e di Faf de Klerk, la cui impazienza lo induce a tagliarsi fuori dalla difesa sulla corsa di Tomos Williams dalla chiusa. Il 3 contro 2 è quasi elementare. Adams schiaccia, Halfpenny, gelido, converte: pareggio.
Improvvisamente il momentum dell’incontro sembra scivolare dalle mani dei sudafricani, tanto che quando si entra negli ultimi dieci minuti di gioco il Galles può lanciare un’offensiva di importanza capitale. E’ qui che due Springboks, fino a quel momento dalla prestazione non eccelsa, compiono due gesti che valgono un pezzo di finale.
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Francois Louw
A quale grado di parentela siano arrivati gli insulti che Rassie Erasmus ha mentalmente rivolto verso la stirpe dei Louw non è dato sapere. Quel che è certo è che ci sono stati, perché quando metti dentro la tua terza linea più esperta nel momento di massima difficoltà per provare a dare una svolta alla partita, e quello regala un cartoncino “uscite gratis di prigione” agli avversari, sotto forma di calcio di punizione, gli improperi appaiono automatici.
Un veterano di 34 anni e 75 partite, però, sa mantenere i nervi saldi, premere il tasto reset al proprio errore ed eseguire al meglio quello per cui è stato messo in campo: touche in attacco per il Galles, due fasi vicine, poi la carica di Alun Wyn Jones che si isola quella frazione di secondo che basta a Louw per andare a caccia del pallone.
Nel momento stesso in cui si mette in posizione, si sa già come andrà a finire, nonostante Moriarty provi disperatamente a togliere gli appoggi al sudafricano. La possibilità del Galles di mettere il naso avanti si chiude qui.
Faf de Klerk
Il calcio di punizione ottenuto da Louw ribalta la situazione e genera una piattaforma per l’inarrestabile maul sudafricana. Garces punisce i Dragoni per aver tirato giù il raggruppamento (anche se a ben guardare rimane un fischio dubbio, con Carré che travolge tutto inciampando su Mostert), Pollard dimostra di essere in campo per un motivo e riporta i suoi davanti, sul 19-16.
Al 77′ Rhys Patchell calcia ottimamente dai propri 22 metri fin dentro la metà campo avversaria, dove de Klerk raccoglie l’ovale nei pressi della linea laterale. E’ una situazione complessa: portare il pallone e contrattaccare sembra la scelta più sicura, ma si espone ai cacciatori di palloni gallesi che già hanno vinto diversi turnover nel corso dell’incontro; calciare è la scelta più complessa, perché non c’è angolo.
Fino a quel momento de Klerk è stato protagonista in positivo e in negativo della partita. Da una parte è stato la catapulta da cui sono partiti gli infiniti box kicks con cui il Sudafrica ha portato avanti l’incontro, dall’altra ha commesso qualche errore di troppo dettato soprattutto da un eccesso di foga e da poca lucidità, come nell’occasione della meta del Galles descritta sopra.
Nel frangente la scelta dell’opzione più difficile e rischiosa da parte del numero 9 sudafricano è accompagnata anche da un’esecuzione perfetta. Un calcio ad uscire di leggero esterno sinistro, che accarezza il campo in profondità ed esce nei pressi dei cinque metri del Galles.
Un colpo raffinato in un momento di pressione da parte degli avversari, che ribalta nuovamente la situazione e costringe il Galles a tentare una disperata risalita del campo lunga 95 metri per vincere la partita. E’ il calcio che mette la parola fine alla partita.
Verso l’Inghilterra
Rispetto al Sudafrica che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi due Rugby Championship, ma anche rispetto alle prime partite di questa Rugby World Cup, la squadra di Rassie Erasmus ha progressivamente tolto elementi al proprio gioco. E’ sempre meno espansiva e propositiva, ma al contempo si assume anche meno rischi. L’obiettivo è massimizzare l’efficacia di quelle cose che gli Springboks fanno a livello elitario: difesa, uso del piede, mischia chiusa e maul da touche.
In finale, però, Faf e compagnia troveranno l’Inghilterra, una squadra che ha dimostrato di essere capace di mantenere un livello pazzesco per tutti gli ottanta minuti e di concedere pochissimo a livello di errori. Giocare una partita così chiusa, contando su qualche sbavatura avversaria, potrebbe non essere l’approccio migliore per portare a casa la finale.
Erasmus oggi si trova davanti a un bivio: perseverare con l’approccio ermetico, cercando di capitalizzare sull’immenso lavoro al breakdown dei Du Toit, Etzebeth, De Jager, Vermeulen e sulla capacità di respingere gli avversari senza consentir loro di guadagnare la linea del vantaggio, o rispolverare un’impostazione più audace che in passato ha portato i suoi frutti anche contro la stessa Inghilterra?
Lorenzo Calamai
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