Leader in silenzio dalla fine del quarto di finale. In compenso arrivano parole pesantissime da ex illustri
La Coppa del Mondo dell’Irlanda non è stata certo esaltante – per usare un gentile eufemismo -, ma il periodo che ne sta seguendo dopo l’effettiva eliminazione è ancora peggio.
Da quando l’arbitro Nigel Owens ha fischiato la fine del quarto di finale con la Nuova Zelanda, l’ambiente della nazionale verde non ne ha indovinata praticamente una. Ancora si deve capire come diavolo sia stato possibile che quella che a fine 2018 era forse la squadra più forte del mondo (insieme agli All Blacks, come sempre) sia stata protagonista di un 2019 pessimo e un Mondiale fallimentare.
Sabato scorso, quando il capitano del Sudafrica Kolisi sollevava al cielo la Webb Ellis Cup erano passate due settimane dalla conclusione del quarto di finale fra i verdi e gli All Blacks. Gli errori sono iniziati in quel momento.
E che errori. I giocatori irlandesi ad andare nella mixed zone sono stati: James Ryan, Josh van der Flier, David Kilcoyne, Andrew Porter e Luke McGrath. I primi due sono giovani, gli altri tre erano riserve; sommando il loro tempo in campo si ottengono solo 59 minuti. Sarebbero stati più discreti se avessero scritto sul tabellone elettronico dello stadio “ci sono dei problemi nello spogliatoio”. La stampa irlandese ha criticato duramente questa scelta ricordando che dopo la sconfitta a Dublino di dodici mesi fa tutti i totem degli All Blacks parlarono a lungo ai media.
Non solo nessun leader dello spogliatoio ha parlato da allora, ma ancora nessuno ha rilasciato dichiarazioni su quella partita e sul Mondiale in genere. Certo, c’è stata la conferenza stampa del capitano Rory Best e del coach Joe Schmitd, ma essendo alla fine della carriera hanno più parlato di ricordi che di aspetti tecnici. Oltretutto, non è compito loro. A parte qualche brevissima dichiarazione in tv, e nemmeno tutti, Sexton, O’Mahony, Murray e Kearney devono ancora dire chiaro e tondo cosa è andato storto. Solo il terza linea di Munster ha pronunciato poche frasi di circostanza quando l’aereo è atterrato a Dublino (“Non posso parlare della partita, non l’ho rivista”). L’unica cosa certa è che non può essere accaduto per caso.
È utile ricordare le dichiarazioni che il Performance Director della IRFU, David Nucifora, rilasciò a inizio anno: “Dobbiamo arrivare in semifinale, e ovviamente vogliamo andare oltre, se possibile. Ma penso che ci prenderemmo in giro se pensassimo che qualcosa di peggio di una semifinale andrebbe bene”. Dunque, il Mondiale dell’Irlanda è stato fallimentare, e si deve capire perché. Il problema non è solo aver perso nei quarti con la Nuova Zelanda, il problema è aver giocato male sia il torneo iridato, sia le partite che hanno preceduto l’evento: dal Sei Nazioni ai Test Match preparatori alla kermesse.
Accertato questo, resta da capire quali sono questi problemi. Si dirà che senza dichiarazioni ufficiali dei giocatori, si possono solo fare delle ipotesi. Vero, ma teniamo presente che nei giorni immediatamente successivi all’eliminazione, due voci pesantissime si sono levate forti e chiare: sono quelle di Isa Nacewa (capitano di Leinster nel double della stagione 2017/18) e Brian O’Driscoll (che non ha bisogno di presentazioni, vista la fama, l’aurea e l’ascendente che ha ancora sul rugby nell’Isola di Smeraldo).
Nacewa ha criticato lo stile di gioco dell’Irlanda, suggerendo come il sistema più destrutturato di Leinster sotto Lancaster e Leo Cullen nella stagione 2017/2018 abbia avuto poca influenza sull’Irlanda di Schmidt, amante di uno stile più strutturato. “Nel 2018 Schmidt non aveva timore di sperimentare – ha detto Nacewa – Ha iniziato ad allontanarsi dal suo solito sistema e ha introdotto in nazionale un po’ di gioco non strutturato. Questo li ha portati in cima al mondo e a vincere molti trofei. Dopo quel periodo ho sentito dire che in realtà lo ha abbandonato ed è tornato all’approccio conservatore che si è visto nell’intera Coppa del Mondo e per tutto il 2019″.
O’Driscoll ha offerto un’opinione simile alla trasmissione radiofonica Off The Ball: “Mi chiedo se l’arrivo di Stuart Lancaster a Leinster, con un sistema molto diverso da quello di Joe, non abbia sconvolto un po’ tutto il sistema, modificando il rapporto fra nazionale e province. Leinster praticava un gioco meno strutturato rispetto all’attenzione di Joe sul set-piece (tipo lo schema che portò alla meta di Stockdale contro la Nuova Zelanda a Dublino, ndr) e questo ha fatto sorgere qualche dubbio nella mente dei giocatori su quale modo di allenarsi e su cosa bisognava concentrarsi. Mi chiedo se questa dinamica abbia cambiato un po’ le cose. I giocatori, di Leinster in particolare, si sono sempre concentrati su quello che Joe stava facendo e poi, all’improvviso, si trovano a vincere con un altro stile di gioco. Magari hanno pensato ‘anche questo è davvero buono’. Il secondo sistema ha sminuito il primo? Non lo so, bisogna chiedere ai giocatori”.
Tutte le opinioni sono legittime, ma è difficile credere che frasi così pesanti da parte di due leggende come Isa e BOD – leader e capitani, nonché profondi conoscitori delle dinamiche di quegli spogliatoi – siano completamente scollegate dal pensiero di quelli che erano loro compagni di squadra fino a pochissimo tempo fa. Certo, Leo Cullen (altra leggenda, ora anche come coach) è intervenuto subito dopo, ma con una frase che sembra fatta apposta per gettare acqua sul fuoco: “Non ho letto le dichiarazioni ma non mi sembra che colgano il punto. In nazionale ci sono giocatori di Munster, Connacht e Ulster, tutte squadre che hanno cambiato coach in questi anni. Perché loro non vengono menzionati? Il loro (di BOD e Isa, ndr) è un punto di vista un po’ ristretto”.
Al puzzle a questo punto manca solo una cosa, nel senso che manca davvero, ed è importante proprio perché non c’è. Il quarto di finale mondiale è stata l’ultima partita di Best come giocatore e Schmidt come allenatore. Molti tributi si sono levati verso il capitano che lasciava ma, a oggi, manca appunto una dichiarazione pubblica di un giocatore, o anche solo un tweet, di saluti e ringraziamento al tecnico che, fra club e nazionale, ha vinto come nessun altro in Irlanda. Anche questo un caso?
Riassunto: la squadra gioca male per mesi. Esce dal mondiale e i leader non parlano, per settimane. Chi li conosce bene ipotizza che la fiducia nel sistema di gioco di Schmidt nell’ultimo anno non sia stata totale. Come diceva Agata Christie: “Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova”.
Certo, è una situazione non bella e da chiarire il prima possibile. Per mettersi la cosa definitivamente dietro le spalle e non rischiare di mettere a rischio la leadership dei senatori nello spogliatoi, l’analisi deve essere profonda, completa e non ultimo trasparente. Altrimenti succede quello che ha detto proprio nelle ultime ore Ronan O’Gara: “Ciò che è palesemente ovvio è che non si riesce a far bene ai Mondiali, ma è facile da dire. Abbiamo bisogno di soluzioni e dobbiamo sapere perché, ed è per questo che penso che come ex internazionale mi ha colpito duramente, ha colpito molte persone nel paese e penso che si perde molta credibilità nel fatto che si va bene al Sei Nazioni, ma poi quello su cui siamo essenzialmente giudicati è la Coppa del Mondo di rugby”.
Damiano Vezzosi
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