Il bilancio della Federazione inglese e la forza di un movimento

Nel report annuale della RFU non impressionano solo i dati economici, ma anche quelli legati a tesserati e scuole

bilancio federazione inglese

ph. Reuters

La Federazione inglese ha pubblicato il suo report annuale per la stagione 2018/2019. Dopo le perdite per 24,4 milioni di sterline del 2017/2018, per l’ultima stagione la Rugby Football Union (RFU) ha fatto segnare di nuovo un utile, pari a 14,9 milioni, a fronte di uno stratosferico fatturato di oltre 213 milioni di sterline (ossia 250 milioni di euro).

Il dato positivo ottenuto dalla RFU si spiega soprattutto con quattro motivazioni: il maggior numero di partite giocate a Twickenham, i maggiori incassi dalle sponsorizzazioni, una riduzione negli investimenti sul gioco e per le spese generali.

“Mantenere la stabilità della Federazione richiede una pianificazione prudente, delle finanze a posto e, quando necessario, azioni forti per ridurre i costi – ha detto il presidente della Federazione Andy Cosslett commentando il bilancio – Negli ultimi due anni abbiamo ritenuto necessario intraprendere queste azioni, in risposta ai ricavi inferiori rispetto a previsioni ambiziose e alle prospettive più incerte” (non ultima la Brexit che viene più volte citata nel report).

Nonostante i tagli (comunque contenuti), le cifre legate agli investimenti della RFU restano di assoluto valore, soprattutto per chi legge dall’Italia. Per il 2018/2019, la Federazione inglese ha contribuito alla palla ovale per 100,5 milioni di sterline, sette milioni in meno rispetto all’anno precedente quando dalle casse federali sono usciti 107,7 milioni. Cifre davvero stellari, che testimoniano una volta di più le grandi quantità di risorse a disposizione dell’Union più ricca del rugby mondiale.

A fare la differenza, nell’ultimo bilancio, sono stati però soprattutto i ricavi provenienti dall’indotto generato dagli eventi che ruotano intono a Twickenham, il motore principale dell’economia della Federazione inglese. Eventi che secondo le parole del CEO Bill Sweeney hanno prodotto l’85% dell’intero fatturato. Stiamo parlando di biglietti (47 milioni di sterline), diritti televisivi (quasi 50 milioni), sponsor (32,8 milioni) e hospitality e catering (54,4 milioni)

“Abbiamo ospitato 1,2 milioni di persone in 22 eventi durante l’anno – ha detto Sweeney – La nuova East Stand, aperta per i Test Match autunnali, ha portato ottimi feedback e ha contribuito a rendere Twickenham uno stadio di classe mondiale”.

Gli investimenti

Per quanto riguarda il rugby professionistico, che include costi per le nazionali, percorsi di sviluppo, infrastrutture e sostegno ai club professionistici, gli investimenti sono diminuiti del 7% e sono passati da 70,7 milioni di sterline a 65,6. Come l’ex CEO Brett Brown aveva proposto un anno fa, c’è stata infatti una riduzione nei ‘gettoni’ pagati ai giocatori della nazionale maschile rispetto alle 25.000 sterline a partita degli anni precedenti.

Più in generale, nel bilancio inglese gli investimenti si dividono in due parti salienti: i fondi destinati al rugby professionistico (65,6 milioni, come detto) e quelli per lo sviluppo del rugby (34,9 milioni). Di quelli destinati al rugby pro, poco meno del 20% è per la base del movimento, che anche in Inghilterra non può prescindere dal sostegno economico dei vertici federali.

Scuole e tesserati

I numeri del movimento inglese, il più ampio e corposo nel mondo ovale, sono come sempre di grande impatto anche quando parliamo delle risorse umane. Per esempio, la RFU ha annunciato l’introduzione del rugby in 750 secondary schools pubbliche (11-16 anni) dove prima la palla ovale non era presente, come effetto del programma ‘Activation and Legacy’ lanciato nel 2015 con la Rugby World Cup ospitata in Inghilterra. Nel frattempo un altro quadriennio è finito, ma la coda lunga di quell’evento ha continuato a lasciare degli strascichi positivi nel movimento.

Quando parliamo di rugby e scuole inglesi, tuttavia, non possiamo non soffermarci anche sui numeri assoluti che restituiscono la profondità della cultura sportivo-scolastica britannica. Le secondary schools (11-16 anni) che giocano un “rugby competitivo” sono 1.400; i college (16-18 anni) a rientrare in questa categoria sono 110, mentre le università sono 130. Visti da qui, sono forse due i dati che maggiormente fanno impressione: più dei 500.000 giocatori regolari e dei 2.000 club registrati presso la Federazione.

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Un quadro completo.

Le cifre sono sempre più importanti anche per il rugby femminile: sono circa 37mila le tesserate adulte, mentre in totale il numero di ragazze coinvolte in questo sport è di 60mila.

Va ricordato, inoltre, come l’Inghilterra abbia iniziato un anno fa un progetto di professionismo per le donne, mettendo sotto contratto 28 giocatrici a tempo pieno, e che sempre la Federazione ha investito 2,4 milioni di sterline sulla Premier femminile, rinnovata nel 2017/2018. Un ulteriore successo, sotto questo punto di vista, è arrivato lo scorso marzo: per Inghilterra-Italia del Sei Nazioni, giocata a Exeter, sugli spalti c’erano 10.545 spettatori. Un record assoluto per la nazionale femminile inglese.

“Tutto questo, ovviamente, non poteva esserci senza la grande qualità nel sostegno dei volontari” – ha sottolineato anche Sweeney. E nel frattempo, rispetto al 2017/2018 è anche aumentato il numero di iscritti a corsi per allenatori, arbitri, medici e volontari e anche qui le cifre fanno sono davvero ragguardevoli: quest’anno sono stati 44.632, contro i 36.025 dell’anno precedente.

– Potete leggere il report completo a questo link

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