Con lui abbiamo parlato delle sue sensazioni dopo le prime partite ad alto livello, del suo giudizio sui giocatori italiani e della realtà tongana
In una notte di pioggia gallese, un anno e tre mesi dopo lo stop forzato dalla malattia, Nasi Manu è tornato in campo con la maglia del Benetton Rugby, ricordando a tutti quanto fossero mancate l’esperienza e la straordinaria ‘leadership by example’ del terza linea ex Crusaders ed Edimburgo.
“Sto molto bene. Ho superato la sfida che mi ha messo davanti vita lo scorso anno e sono felice perché la mia salute è in ottime condizioni – ha detto Manu in un’intervista a On Rugby – Il mio modo di approcciarmi alla vita è cambiato. Mi sto godendo ogni piccola cosa del quotidiano. Mi sono trovato costretto a riflettere su cosa fosse realmente importante. La mia famiglia e tutte le persone che si sono prese cure di me sono sicuramente tra quelle”.
“Sono grato ogni volta che scendo in campo – ha continuato il tongano, reduce dalla Rugby World Cup 2019 con la sua nazione – Ogni volta che posso allenarmi è una benedizione. Ogni volta che posso sentirmi parte del team è una benedizione. In un periodo durissimo, a Treviso, ho ricevuto un sostegno fantastico, quasi difficile da descrivere a parole”.
Il focus poi si è spostato sul campo e sulle sue condizioni fisiche. “Sono ansioso e molto desideroso di tornare in campo a giocare partite. Per me è stata una sensazione bellissima tornare ad indossare la divisa del Benetton contro gli Scarlets, dopo quello che è successo la scorsa stagione. Ma a livello tecnico, non sono stato molto soddisfatto per le mie prestazioni nelle gare che ho giocato. Ora ho qualche piccolo problema fisico, ma non vedo l’ora di tornare in campo per dare un contributo migliore rispetto alle due partite che ho disputato. Devo lavorare al meglio con il mio corpo, in allenamento, per poter fornire prestazioni al livello a cui so di poter giocare”.
Quanto può crescere il Benetton
Miglioramenti personali, ma anche collettivi. Quelli a cui aspira anche un Benetton Rugby che ha preso le misure alla Champions Cup e vuole costruire un momentum positivo in grado di far risalire la classifica ai Leoni anche in Pro14. “Penso che tutto il team sperava di trovarsi in una situazione migliore, a questo punto, in termini di risultati. Sappiamo quanto possano essere importanti le prossime partite. Credo che nel complesso, in questi mesi, non siamo sempre stati consistenti nelle nostre performance, non riuscendo a giocare costantemente al livello a cui abbiamo dimostrato di poter aspirare regolarmente” – ha spiegato Manu, prima di evidenziare l’incidenza non trascurabile della Champions Cup.
“Va detto che stiamo giocando contro il meglio in Europa. Un qualcosa di fantastico, che ti porta al limite, evidenziando realmente i tuoi punti di forza e le tue carenze. Competizioni come la Champions Cup ti fanno crescere, sotto ogni aspetto, settimana dopo settimana. La gara contro Leinster, ad esempio, ci ha detto moltissimo su quali siano i punti dove dobbiamo lavorare, mentre contro Northampton abbiamo imparato sulla nostra pelle che si deve giocare per tutti gli 80 minuti”.
Per il tongano, la «consistenza» è la parola chiave. “Difendiamo molto bene per diverse fasi, ma basta un attimo per un errore fatale. Dobbiamo salire di colpi in termini di consistenza. Dobbiamo continuare a fidarci sempre di più del sistema di Kieran (Crowley). Appena capita una piccola esitazione in tal senso, si finisce per commettere un errore”.
Uno step fondamentale, in vista del doppio derby e di un avvio di 2020 intensissimo. “La gara contro le Zebre è come una finale. Sarà fondamentale giocare al meglio, dopo la bella prestazione contro Lione in Champions Cup. La sfida di Parma dovrà rappresentare un punto di partenza importante da cui costruire le fortune dei prossimi mesi”.
Vivere il rugby in Italia
Oltre al rugby, in Italia Nasi Manu e famiglia stanno vivendo un’esperienza di vita decisamente appagante. “Il cibo, la cultura e l’ospitalità italiani sono straordinari. Insieme a mia moglie stiamo apprezzando tutto ciò. Percepisci il piacere reale degli italiani nel godere di un particolare piatto di cibo, o di un’opera d’arte – ha raccontato – Qui, poi, c’è anche la piacevole abitudine di salutare tutti, in tantissime situazioni del quotidiano. Non è una cosa comune: ti regala una bella energia”.
Ma com’è la qualità dei rugbisti italiani? “Gli atleti italiani hanno una qualità fisica superba. Sono in linea con i più forti rugbisti con cui abbia giocato anche al massimo livello, in Nuova Zelanda.Quello che forse manca, rispetto ai fuoriclasse assoluti con cui ho condiviso alcuni stagioni in Super Rugby, è in termini di lettura tattica e di skills. Un gap che non è semplice da colmare”.
“Il rugby, alle nostre latitudini, è una religione. Chiunque parla di rugby. A scuola, nella pausa pranzo, o tra una lezione e l’altra, i bimbi giocano a rugby, a touch rugby, o comunque a qualcosa di assimilabile. Il lavoro che Crowley sta facendo qui è molto buono. Tutta la struttura sta crescendo, e con essa i ragazzi italiani stanno limando tanti dettagli, migliorando giorno dopo giorno”.
La riflessione finale di Manu ha preso poi in considerazione anche la religione sportiva italiana, ovvero il calcio. “Anche se il discorso è molto complesso, c’è comunque una peculiarità interessante che mi ha colpito in Italia. Giocando probabilmente a calcio prima di iniziare con il rugby, o parallelamente, tantissimi bambini piccoli, a differenza di quanto accade da noi, hanno grande qualità nel calciare un pallone”.
L’avventura in Giappone
Prima del ritorno in campo con i Leoni, per Nasi Manu, in estate, c’è stato quello da sogno con Tonga, nazione e nazionale del suo cuore, con l’esperienza indimenticabile della Rugby World Cup 2019. Un’avventura che ha conferito al terza linea oceanico ulteriore carica in vista della nuova stagione.
“La Coppa del Mondo è stata un sogno realizzato. Mi sono goduto ogni singolo momento in Giappone. C’è un pizzico di delusione personale perché non ho potuto dare un grande contributo, e come squadra per non essere riusciti a vincere contro Argentina e/o Francia. Nel complesso, tuttavia, è stata un’esperienza incredibile, che mi ha anche permesso di tornare a vivere sul campo il rugby di alto livello, un anno dopo quello che mi era successo” – ha spiegato Manu, nato e cresciuto in Nuova Zelanda, ma fiero di portare di portare in alto il nome di Tonga, terra d’origine della sua famiglia.
“Sono molto orgoglioso di rappresentare Tonga. Da piccolo, andavo in una chiesa tongana ogni weekend e in casa abbiamo sempre parlato la lingua dell’isola. Mi sento tongano. I miei nonni si trasferirono in Nuova Zelanda in cerca di opportunità migliori. Tonga è un’isola piccola, con pochi sbocchi lavorativi e ridotte possibilità di studiare”.
“La Nuova Zelanda rappresentava e continua a rappresentare una grande chance a quelle latitudini – ha continuato Manu – Spero, in qualche modo, di aver dato ulteriore valore alla loro scelta, al loro sogno, di garantire alle generazioni successive della famiglia una vita migliore, restituendo qualcosa a loro, in termini di emozioni, ed all’isola”.
Matteo Viscardi
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