Ghiraldini: “Smith può essere l’uomo ideale, io ho delle offerte in Francia”

Torna la rubrica 80° minuto curata da Italrugbystats con il punto di vista dell’ex tallonatore azzurro sul nuovo tecnico della Nazionale

Ph. Sebastiano Pessina

Nuova puntata della rubrica dal titolo “80° minuto” curata da Italrugbystats, una pagina che parla del rugby italiano attraverso numeri e statistiche.
“80° minuto” è pensata come un approfondimento che utilizza i valori matematici espressi in campo per interpretare la storia della partita attraverso i numeri che la caratterizzano.

Il Sei Nazioni 2020 è alle porte. L’Italia ha da poco diramato il proprio gruppo di convocati sotto la direzione di Franco Smith, ma le incognite rimangono molte sulle aspettative che il pubblico azzurro può avere dal torneo di quest’anno. 

Cosa possano aspettarsi tifosi e appassionati da questo primo Sei Nazioni della nuova decade, quindi, è per ora terreno soltanto di ipotesi. Per chiarirci meglio le idee, ne abbiamo parlato con un totem del rugby italiano, che ha nel suo curriculum esperienze dirette sia con l’ex allenatore degli Azzurri Conor O’Shea che con l’attuale tecnico Franco Smith, oltre che un enorme bagaglio di cultura rugbistica: Leonardo Ghiraldini.

Hai conosciuto entrambi gli allenatori della nazionale di quest’ultimo periodo: Franco Smith nel Benetton Rugby, prima nel campionato italiano e poi in quello che oggi è il Pro14, e Conor O’Shea ovviamente in nazionale. Partiamo da Smith, quale è la tua idea sul neo-allenatore della nazionale?

Innanzi tutto Franco è una persona estremamente preparata per quanto riguarda la conoscenza del gioco del rugby. Mi ricordo un tecnico solido, esigente e per certi versi quasi avveniristico per come ci faceva allenare e per il gioco che ci chiedeva. Inoltre ha una forte componente mentale e attitudinale, attraverso la quale cerca di elevare il livello di tutti i giocatori che allena. La sua presenza come head coach ha rappresentato una molla importante per il Benetton Rugby al momento del passaggio dal campionato italiano alla lega celtica.

Cosa intenti per avveniristico, quali sono le peculiarità del suo approccio, e quali pensi possano essere replicate in nazionale?

Era una allenatore che già allora adottava un’enfasi particolare sulla preparazione applicata alla performance, ed è sempre stato conscio di quanto fosse determinante: voleva che noi giocatori fossimo sempre al massimo. Per di più aveva un’attenzione quasi maniacale ai dettagli, come per esempio la qualità e la velocità dei punti d’incontro e le situazioni d’attacco da touche, sia con il gioco alla mano che con la maul. Allo stesso modo era molto bravo a leggere i punti deboli degli avversari e a sfruttarli a dovere. 

Immagino oggi sia migliorato ancora di più, considerando le varie e formative esperienze fatte. I suoi Cheethas, infatti, erano una squadra che muoveva molto il gioco e si è sempre focalizzata sull’avanzamento palla in mano, piuttosto che utilizzare il piede. Chiaramente, la Currie Cup è un torneo particolare sotto certi aspetti tecnici e tattici, e bisogna tenere in considerazione anche le condizioni climatiche differenti da quelle che abbiamo in Europa. Allo stesso modo, anche le capacità atletiche e tecniche dei giocatori a disposizione fanno la differenza sullo stile di gioco. Ciononostante questo da un’idea anche dell’assenza di dogmi specifici nell’approccio di Smith.  

Di quel bel Benetton Rugby, restano nell’immaginario collettivo le giocare incredibili e un po’ pazze di Dingo Williams. Un giocatore simile come caratteristiche, Matteo Minozzi, sta vivendo una stagione positiva a Londra: pensi che possa essere lui la scintilla di imprevedibilità nel gioco di Smith?

Sì, in effetti Dingo era l’unico che poteva in qualche modo uscire dagli schemi, chiamando la palla anche in situazioni che a prima vista sembravano di gestione quantomeno complicata (ride, ndr). Questo perché lui poteva davvero creare qualcosa dal niente, vederlo giocare era incredibile. Anche Minozzi ha questa qualità, vede giocate che non tutti vedono e penso che l’esperienza in Inghilterra lo stia aiutando molto sotto tutti i punti di vista. Detto questo, restiamo nell’ottica che Smith è un tecnico molto competente e pratico, che adora mantenere il possesso e giocare il pallone. Per questo credo che il gioco sarà molto improntato sulle qualità dei giocatori a sua disposizione, utilizzando i ball carrier principali in modo organizzato e lasciando la possibilità di gestire altre situazioni a chi ha più capacità di lettura e movimento

E in fase difensiva?

Al Benetton Rugby considerava la difesa principalmente come un mezzo necessario per avere il possesso. Lo potremmo banalizzare in “quando non hai la palla, fai di tutto per riprenderla”, ovviamente con un piano preciso ed un lavoro collettivo molto strutturato e specifico. Per di più in nazionale potrà contare sulla presenza di Marius Goosen che conosce molto bene e sicuramente gli faciliterà il compito. 

Hai citato il passaggio ad un campionato più impegnativo e l’approccio mentale all’impegno. In effetti quel Benetton Rugby ha vinto subito all’esordio. Pensi questo sia frutto del lavoro di Franco Smith su di voi, e pensi che questo possa essere replicato anche con la nazionale?

Assolutamente, questo è un aspetto chiarissimo dell’approccio di Franco. Quella stagione arrivavamo dall’ultimo campionato italiano vinto dominando tutti gli incontri, e grazie alla lungimiranza della Benetton e di Smith,  è stato usato anche come banco di prova per la Celtic League. Quando abbiamo affrontato gli Scarlets nella prima partita, infatti, vincendo anche in modo convincente (34-28, ndr), eravamo già preparati a quel tipo di livello. Proprio in merito a quell’annata, per far capire la mentalità che era stata costruita e che ha portato ad una grandissima stagione della Benetton e della Nazionale, ho visto pochi giorni fa un breve video della fase finale della partita Italia-Irlanda del Sei Nazioni 2013. Nelle fasi finali del match eravamo in vantaggio di 4 punti ed andammo in touche. Mi ha sorpreso rivedere quelle immagini perché traspariva chiaramente la determinazione ed il focus di tutti nella gestione di quei particolari momenti. Alla fine, per dovere di cronaca, abbiamo vinto la rimessa laterale e conquistato un calcio di punizione che ha portato altri 3 punti, quelli che poi hanno concluso l’incontro. Questo è un lavoro che parte dal club ovviamente, ma sono certo che anche in nazionale si possa contribuire a creare un ambiente competitivo, esigente e vincente. Ovviamente il tutto è molto più difficile.

Perché?

Innanzitutto avrà meno tempo a disposizione e sarà da subito sotto esame. Gli deve essere concessa la possibilità di creare un identità di gioco e di squadra tra tutti i giocatori che prenderanno parte al suo ciclo.
Su questo aspetto mi rifaccio alle parole di Sergio (Parisse, ndr) sulla necessità dei giocatori di prendersi maggiormente le proprie responsabilità: spesso in Italia ci siamo accontentati della prestazione, ma a questo punto storico del rugby azzurro è tempo di iniziare ad essere più insistenti ed esigenti con noi stessi sul risultato richiesto. Ognuno reagisce alle situazioni in modo diverso ed è giusto che sia così, ma penso che ci sia bisogno di “vivere” maggiormente questa pressione nel quotidiano. Da questo punto di vista Franco può essere la persona ideale perché cercherà da subito di improntare un processo di crescita che dia identità e responsabilità a tutti i ragazzi.

Pensi questo possa rappresentare una differenza sostanziale con la gestione di Conor O’Shea?

Conor ha dato tantissimo al rugby italiano, soprattutto in termini di organizzazione. Non a caso, nel suo nuovo impiego sono state premiate le sue capacità gestionali e manageriali. Franco si troverà alcune strade spianate grazie al lavoro fatto finora. Chiaramente Smith è probabilmente un uomo più di campo che come detto lavora molto sulla sicurezza e sull’identità dei giocatori, quindi sulla gestione del gruppo alcune differenze potrebbero uscire fuori.

In questo scenario di grande componente mentale e attitudinale, chi pensi possa essere incluso nel gruppo dei leader a cui Smith chiederà di indirizzare il gruppo?  

Come detto, inizialmente verrà richiesta una crescita globale del gruppo, che poi continuerà in una sorta di fase di affinamento. Non mi piace parlare dei singoli, né vorrei dimenticare qualcuno. Però credo sia inevitabile chiedere ai giocatori che si stanno affermando in Europa di fare quel salto di qualità, anche attitudinale, per prendere in mano lo spogliatoio. Mai come ora è importante comprendere l’urgenza della situazione e la necessità di uscire dalle “comodità” del gruppo.

Nota personale a margine: tanti si aspettano ancora un ruolo di Leonardo Ghiraldini da protagonista, possiamo aspettarci buone notizie a breve?

Da quando sono tornato dal mondiale ho ricevuto delle offerte dall’Inghilterra che mi hanno indubbiamente fatto grande piacere, ma per vari motivi le ho dovute rifiutare. Sono grato anche a Treviso che si era avvicinato per trovare una soluzione. Non sono più un ragazzino e devo inevitabilmente considerare anche gli equilibri della mia famiglia. Detto questo, in questi giorni ho delle opzioni in Francia e le sto seriamente considerando.

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