La prestazione deludente in Galles ha lasciato tanti dubbi, ma anche cose interessanti da cui ripartire. Analizziamole pensando a dove si possa ripartire
La nuova era azzurra, targata Franco Smith (dal quale, va detto, in pochi giorni di lavoro era difficile pretendere un impatto diverso), è iniziata, sotto il tetto chiuso del Principality Stadium, in modo negativo, non tanto per la sconfitta, e per certi versi nemmeno per il pur crudo punteggio finale (42-0) in casa della corazzata gallese, ma per una prestazione nel complesso deludente, in cui tanti, troppi tasselli del puzzle italiano non hanno trovato il giusto incastro, sfaldandosi al cospetto dei dragoni di Wayne Pivac. Eppure, qualcosa da cui ripartire, o, forse, per meglio dire, da cui partire, si è visto.
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Contesto fuori portata
L’handicap per la vittoria gallese, indicato dai maggiori portali di betting alla vigilia dell’incontro di Cardiff, era di 25 punti. Indicatore inequivocabile sulla differenza di cilindrata tra le due squadre protagoniste della contesa, emersa in maniera evidente nel corso degli 80′ di gioco.
Al cospetto della compagine campione in carica (con tanto di Grand Slam archiviato la scorsa stagione), nonché semifinalista Mondiale, che nonostante assenze del calibro di Liam Williams e Jonathan Davies, tra gli altri, è in grado di proporre elementi all’esordio come l’equiparato McNicholl, star degli Scarlets e protagonista con i Crusaders a metà della scorsa decade, e l’inglese Nick Tompkins, trequarti di spicco dei Saracens, era difficile pensare ad un esito tanto diverso per gli azzurri, peraltro subito costretti a rincorrere a distanza oltre il break.
Problematiche emerse
Alcune cose, però, anche contestualizzando il match, sono parse oggettivamente preoccupanti. “Abbiamo perso troppi palloni nel breakdown, è stata la vera grande delusione dell’incontro”, ha dichiarato Franco Smith nell’immediato post partita, indicando nei punti d’incontro il vulnus più critico della performance in terra di Galles. Gli Azzurri sono stati in effetti in difficoltà al breakdown, anche se, statistiche alla mano, i principali problemi si sono evidenziati in fase difensiva, dove l’Italia ha ricevuto 4 calci di punizione in 17 minuti per falli inerenti a punti d’incontro di possesso avversario.
L’Italia ha subito 3 turnover dalla squadra gallese sui propri palloni, ma è stato il tentativo di alzare costantemente il ritmo in fase offensiva che spesso ha finito per isolare i portatori di palla e far perdere di qualità al possesso. In particolare il diktat sicuramente arrivato dallo staff tecnico di accelerare il ritmo con dei prendi e vai degli avanti nei pressi della ruck, allo scopo di mantenere il ritmo avanzante e mettere sui talloni la difesa, è risultato ancora non ben oliato e ha messo più a rischio l’ovale di quanto non gli abbia dato qualità.
Troppi, in casa Italia, anche gli errori gestuali, dovuti spesso a tentativi di continuità dentro la difesa, quindi con un coefficiente di difficoltà elevato. Se da un lato, l’intraprendenza è una qualità positiva e necessaria, soprattutto per quella che è l’idea a medio termine di Franco Smith (“c’è stata una chiara volontà di spostare la palla. Questo è un modo per rompere la difesa contro squadre di questo calibro. Per marcare punti, al Sei Nazioni e nei Test di tale tipo, devi essere più imprevedibile. Questo è il nostro futuro”), dall’altro può diventare controproducente quando non sussistono le condizioni per avventurarsi in gesti tecnici difficili: 11 possessi persi per degli errori gestuali sono tanti, su un totale di 49 possessi totali avuti dagli Azzurri.
Situazioni alla base dell’amaro zero nella casella punti, che mancava dalla trasferta scozzese del 2017, e di quella che, a detta di Smith, è stata una “lezione salata, ma utile”.
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Da dove si può ripartire?
Utile, già, anche se può sembrare paradossale, per capire quali sono i punti su cui lavorare in vista della Francia (domenica, ore 16, DMAX e diretta streaming anche su OnRugby). Utile per comprendere anche tutte quelle cose che invece nonostante il poco tempo per oliare i meccanismi hanno funzionato.
Le fasi statiche, che rappresentavano un punto di domanda di non poco conto alla vigilia, hanno retto l’urto del Principality Stadium, garantendo basi di partenza su cui ancorare l’attacco. Un aspetto rilevante in ottica torneo. La mischia ordinata, sospinta dalle performance consistenti di Zilocchi e di Capitan Bigi, e dall’impatto di Marco Riccioni e dell’esordiente Danilo Fischetti, dalla panchina, non solo non ha sofferto il pacchetto avversario, ma ha forzato diversi calci di punizione (5), sanzionati a Dillon Lewis e Wyn Jones, entrato pesantemente nel mirino della critica gallese, che sta chiedendo a gran voce il ritorno di Rob Evans per la delicata battaglia di Dublino. La touche, seppur sempre costretta a dare il meglio su ogni esecuzione per mantenere il possesso (come ammesso da Smith), ha tenuto il 93% dei palloni (14/15), confermando il trend della passata stagione, in attesa tuttavia di conferme a lungo termine, ed all’interno di sfide equilibrate, con un livello di contest, nel settore, ben diverso.
I singoli, maggiormente sotto esame, poi, hanno dato riscontri oltremodo positivi, detto dei giovani (e dell’esordiente Fischetti) della prima linea, anche l’altro debuttante Niccolò Cannone ha lasciato il segno. La capacità non banale di calarsi subito nel contesto internazionale è emersa prepotentemente sin dai primi minuti di gara, riflessa in modo chiaro anche da statistiche notevoli (15 placcaggi con il 94% di efficienza, 9 cariche e 44 metri corsi, oltre ad una grande partecipazione alle ruck). Ad impressionare positivamente anche la prova, soprattutto difensiva (17 placcaggi fatti su 17 tentati), di un Carlo Canna – che va verso la riconferma a 12 – rivitalizzato da Franco Smith.
Elementi che, da soli, non bastano, per ora, per pensare di invertire il trend azzurro, ma dai quali Franco Smith può ripartire, o per meglio dire, partire, per costruire quella legacy azzurra di cui ha parlato a più riprese prima del torneo.
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